mercoledì 29 luglio 2015

Tunisia: una democrazia minacciata

#Pensatodavoi

Lo spazio settimanale, a misura di lettore, per le vostre riflessioni



Tunisia: una democrazia minacciata


Le tragiche stragi avvenute in Tunisia in questi ultimi mesi, costituiscono una grave minaccia alla stabilità dell’area nordafricana, già gravemente compromessa dalla situazione di completa anarchia della Libia, dell’autoritarismo egiziano e dall’estremismo dormiente in Algeria. La Tunisia, anche se non riveste una particolare rilevanza strategica se non per i gasdotti che l’attraversano, è stretta da due giganti energetici, Algeria e Libia, i cui destini potrebbero influire sulle dinamiche interne tunisine. L’Algeria è oggi un paese quasi anestetizzato dal punto di vista politico, dato il fatto che le nuove èlite al potere non riescono a dare una spinta significativa verso il progresso, e i gruppi jihadisti sono tuttora in crescita con alcune brigate di Aqmi (Al Qaeda nel Mahreb) da cui, sembra, provengano in origine gli attentatori del Bardo (Aqmi è a sua volta in collegamento con la tunisina Ansar al sari’a). La Libia, a sua volta è un mix di violenza e assenza di istituzioni che produce alla frontiera tunisina un’area grigia fatta di profughi, economia sommersa, traffici di uomini e merci, contrabbando. In Libia, tra l’altro si trovano diversi punti di raccolta e addestramento dei jihadisti. Ed è proprio in Libia che Seiffedine Rezgui, l’attentatore della spiaggia di Susa, che lo scorso 26 Giugno ha ucciso 38 turisti a colpi di kalashnikov, sarebbe stato addestrato assieme ai due attentatori responsabili, poi, dell’attacco al Museo del Bardo di Tunisi del 18 Marzo scorso nel quale sono morte 22 persone. La Tunisia, come la Giordania qualche mese fa, è un chiaro obiettivo di destabilizzazione da parte dello Stato islamico e di Al Qaeda nel Maghreb, i quali sfruttano la precaria situazione politica ed economica interna per creare divisioni tra la popolazione: tra chi vuole la democrazia e chi vuole vivere secondo i dettami della dottrina salafita. La Tunisia, al momento, costituisce l’unico esempio di processo democratico in atto in tutto il mondo arabo. In Tunisia si è votato diverse volte ed il processo che ha determinato la situazione attuale non è stato indolore e porta con sé questioni insolute e contraddizioni, tuttavia ha seguito il percorso di massima predisposto nei mesi seguenti all’uscita di Ben Ali dagli organi che via via sono stati creati: elezioni per l’Assemblea costituente (ottobre 2011), legislazione speciale provvisoria per promulgare la costituzione (10 dicembre 2011), elezione di un presidente della Repubblica (12 dicembre 2011, Moncef Marzouki), formazione di un governo di transizione (14 dicembre 2011) con Hamadi al-Gibali come primo ministro, appartenente al partito islamista Ennahda ,elezioni legislative (26 ottobre 2014) vinte dal partito Nida’Tunus (Appello della Tunisia), promulgazione della nuova costituzione (7 febbraio 2014 ), elezione a suffragio universale del nuovo presidente della Repubblica (23 novembre e 21 dicembre 2014, vinte da Essebsi.  La Tunisia di oggi, ha visto quindi un’alternanza democratica fra i due principali partiti del paese: Ennahda e Nida Tunus. Il primo, inizialmente aveva contatti con gli imam radicali, ma quando questi hanno cominciato a predicare l’uso delle armi, Ennahda si è opposto categoricamente ad ogni forma di violenza in nome dell’islam politico. Il fatto che ha spinto Ennahda a questa presa di posizione è stato l’assassinio dell’allora leader di sinistra dell’opposizione: Chokri Belaid del partito unificato dei patrioti democratici (6 febbraio 2013) e capofila del nascente Fronte popolare (fondato il 7 ottobre 2012). La natura prettamente politica dell’atto, ancora in fase d’indagini ma con forti sospetti nei confronti dei gruppi estremisti salafiti, ha provocato molte proteste fra cittadini tunisini. Ennahda avrebbe quindi “chiuso” le sue relazioni con i gruppi estremisti. Ne è stata la prova il divieto da parte del governo Ennahda del raduno di Ansar al Sharia a Kairouan, nel 2012, dichiarando fuori legge l’organizzazione. Tuttavia il partito islamista ha deluso fortemente le aspettative, non facendo decollare economicamente il paese, concentrandosi sull’occupazione dei posti di comando, accompagnando la sua inazione a politiche di repressione. Il nuovo partito al comando, Nida’Tunus, accusata da più parti di aver riassorbito parte del personale della vecchia dittatura, rappresenta invece un’alternativa laica e democratica di cui il paese avrebbe adesso bisogno, includendo gli altri partiti ad un’unità nazionale. Tuttavia al giorno d’oggi, il partito sembra aver perso la sua iniziale capacità di proporsi come forza di cambiamento. Il problema fondamentale della Tunisia oggi, è il rilancio economico. Nell’ultimo periodo della dittatura di Ben Ali, e successivamente con il governo Ennahda, vi erano delle importanti proposte ad aprirsi alla finanza islamica, che avrebbe attratto i principali investitori del Golfo. Ad oggi, la proposta parrebbe accantonata, lasciando il posto ad un’apertura alle convenzioni occidentali, puntando su istituti bancari e finanziari globali: il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale. La Tunisia intende attrarre investimenti esteri ed integrarsi con i mercati internazionali, offrendo agli investitori stranieri una manodopera qualificata a costi salariali irrisori. Questa strategia è fortemente minacciata dal terrorismo, se pensiamo che ad ogni attentato la Tunisia riceve un terribile colpo d’arresto, soprattutto adesso nel settore turistico. Inoltre in Tunisia, non esiste un tessuto produttivo locale, il modello è rimasto immutato e le politiche sono assenti. Mancando lo sviluppo autoctono guidato da investimenti pubblici e alimentato dalla domanda interna, questo modello fa aumentare il divario tra ricchi e poveri, col rischio che l’economia informale e il contrabbando si espandano, riducendo il gettito fiscale, e facendo prosperare le cellule jihadiste. Le periferie sia delle città, che delle regioni limitrofe, sono spesso ignorate dallo Stato, dove i giovani non vedono prospettive e rispondono agli annunci delle cellule jihadiste e dello Stato islamico, il quale promette alti stipendi ai combattenti. Il contingente tunisino in Siria e in Iraq è infatti il più numeroso, si parla di almeno 3 mila persone. La principale minaccia jihadista in Tunisia, infatti non è tanto la presenza interna delle cellule jihadiste fortemente ridimensionate dall’esercito e dalla polizia, ma il ritorno dei foreign fighters, agendo spesso da lupi solitari e quindi difficilmente disinnescabili. Nonostante ciò, la maggioranza del popolo tunisino, si oppone ad ogni forma di violenza, non essendo presente peraltro alcuna divisione settaria al proprio interno. Questo fattore deve farci riflettere al fatto che noi, Occidente, dovremmo far di tutto affinché la Tunisia non si divida, come è già avvenuto in Libia. È necessario un serio intervento di cooperazione da parte dell’Italia supportata dall’Europa, affinché l’economia tunisina possa decollare e soprattutto possa essere un’economia inclusiva. È importante supportare una politica economica interna volta allo sviluppo endogeno e all’inclusione sociale e al recupero delle regioni limitrofe, oggi fortemente depresse. È necessario unire gli sforzi, affinché in Libia si raggiunga un accordo di unità nazionale per scongiurare il pericolo jihadista presente proprio a sud delle nostre coste, e che è pronto ad allargarsi a macchia d’olio in tutto il Maghreb. La Tunisia è inoltre fondamentale per l’Europa nella cooperazione per combattere il traffico di esseri umani, argomento che oggi divide l’opinione pubblica europea. Il Mediterraneo è un’area in crisi, priva di sistemi di raccordo economico, politico e sociale e fonte di ansie per le democrazie europee. La Tunisia è quindi intrappolata nelle partite che si giocano ai suoi confini, mentre a nord resta sigillata, anziché collegata da un mare che è anche il nostro. Sta a noi, quindi, considerare seriamente di supportare e cooperare con l’unico stato democratico del Maghreb.
 Danilo Lo Coco

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