lunedì 20 luglio 2015

Scenari dallo Yemen

LA PAROLA ALL’ESPERTO

La rubrica mensile di IMESI che riporta la voce degli esperti sulle maggiori tematiche di politica internazionale

Scenari dallo Yemen


a cura di s.e. l'ambasciatore Armando Sanguini 


Lo Yemen sembra un paese lontano e comunque trascurabile in quanto parente povero del Golfo. In realtà ci è vicino perché il Golfo non solo perché fa parte del nostro intorno geo-politico, ma anche perché il suo posizionamento alle bocche del mar Rosso ne fa una sorta di porta d’accesso al gigantesco traffico marittimo diretto agli scali del Mediterraneo dall’Oriente. Anche dallo stesso Golfo con le sue cospicue risorse energetiche. Se poi allarghiamo lo sguardo agli altri paesi che compongono la penisola arabica, l’Arabia saudita in particolare e l’Iran, protagonisti di un duro scontro politico-settario per la conquista dell’egemonia nella regione - che l’Arabia saudita rivendica sull’altare della custodia dei luoghi santi dell’Islam sunnita e l’Iran reclama in forza della rivoluzione dell’islam sciita lanciata nel ’79 - la valenza dello Yemen assume un rilievo di innegabile rilevanza.
Su questo paese si sta infatti giocando la parte più cruenta di questo scontro per procura attraverso gli Houthi, un’importante componente della popolazione yemenita (20% del totale) colpevolmente trascurata dal Presidente Abedrabbo Mansour Hadi nelle sue istanze di partecipazione politico-governativa e di assetto costituzionale del paese. Tanto trascurata da indurre gli Houthi, attestati da sempre nel Nord del paese, a sventolare la bandiera di una dura opposizione al governo di Hadi che nel corso del 2014 muta da “politica” a “politico-militare” e da locale a nazionale con una progressione e una aggressività che sorprende e preoccupa. Sorprende perché fa affiorare l’esistenza di un’alleanza con il deposto predecessore Saleh costretto a lasciare la presidenza, ma colpevolmente lasciato in condizione di continuare a gestire il patrimonio di potere tribale, economico e militare costruito in decenni di autocrazia. Sorprende e preoccupa perché denuncia il rischio di una ulteriore frattura profonda nel già tormentato tessuto politico-tribale yemenita e alimenta il non infondato sospetto nell’Arabia saudita e nelle altre monarchie del Golfo che dietro a quest’operazione di rivolta vi sia la longa manus di Teheran, proprio l’odiato antagonista di fede sciita, prodiga di armi, consulenti militari e intelligence. Insomma il segno di un’altra manovra mirante a creare o meglio a rinnovare una spina nel fianco dell’Arabia saudita con la quale condivide una frontiera lunga ben 1.700 Km.     
E in effetti in pochi mesi si assiste alla formazione di una massa critica di deciso contropotere rispetto al legittimo, anche se improvvido, Presidente Hadi. Con uno slancio travolgente gli Houthi arrivano infatti ad occupare la stessa capitale Sanàa e nei mesi successivi a porre fuori gioco il suo intero governo. Questa spirale militare conferma nell’Arabia saudita e nelle altre monarchie del Golfo il disegno destabilizzatore di Teheran che ben poco fa, occorre sottolinearlo, per allontanare da sé quel sospetto. Reitera, è vero, la propria estraneità ai fatti bellici in corso, ma ne sostiene la causa politica.
La veemenza con la quale si accusa Teheran riflette però anche un’altra realtà: il progressivo emergere di questa conflittualità sarebbe stato ben più evidente se Riyadh e la stessa Washington non fossero state distratte dall’assorbente attenzione riservata alla minaccia dell’Al Qaeda yemenita, la più aggressiva e attrezzata del Medio Oriente. Sta di fatto che gli Houthi dilagano e sembrano sordi ai richiami al rispetto dell’ordine politico-istituzionale del paese provenienti dal Consiglio generale del Golfo ma anche dalle Nazioni Unite. Non sortiscono effetto neppure i moniti ad accedere ad una mediazione politica.
Le truppe degli Houthi avanzano sulle direttrici principali del paese e marciano sulla stessa Aden costringendo Hadi che vi si era rifugiato a prendere il volo per Riyadh non senza aver prima lanciato una chiamata al soccorso militare alla Lega araba e al GCC per fermare l’avanzata degli Houthi ed evitare il baratro della guerra civile.

Riyadh che per bocca dell’allora suo Ministro degli Esteri, Saud bin Faysal, aveva dichiarato che l’Iran non meritava la conclusione dell’accordo sul nucleare per la sua politica destbilizzante nella regione – citando Siria, Iraq, Libano, Bahrein e adesso Yemen - lasciava chiaramente intendere la sua determinazione ad intervenire con la forza.
Aveva dalla sua sufficienti elementi di legittimazione: la richiesta di immediato sostegno armato da parte di Hamdi, per l’appunto, e la ferma presa di posizione del Consiglio di Sicurezza a favore del legittimo Presidente Hadi
E Teheran? Dalla capitale iraniana erano già giunti, come detto prima, segnali che indicavano vicinanza agli Houthi sostanziatisi con la sinistra dichiarazione dell’Ayatollah Ali Saeedi, Commissario religioso delle Guardie rivoluzionarie iraniane, secondo la quale “Il popolo yemenita si è congiunto con Iran, Iraq, Siria e Libano nella comune lotta per la gloria dell’Islam” (sciita naturalmente). Così come si era confermata l’azione d’appoggio da parte dell’estromesso Ali Abdullah Saleh che alla fine del 2014 era arrivato a far espellere Hadi dal suo partito, il Congresso generale del popolo, di cui aveva mantenuto la presidenza.
Aggiungiamo a ciò la prospettiva di un Iran reso più forte dalla prospettiva di una positiva conclusione della trattativa con i 5+1 (i membri permanenti del CdS delle Nazioni Unite + la Germania) sul suo programma nucleare.
Su questo sfondo, marcato dalla successione di un decisionista come Salman al Saud sul trono di Riyadh, non stupisce il lavorio dell’Arabia saudita per aggregare il consenso del mondo sunnita arabo e turco, agli Houthi ma anche a Teheran. Lascia piuttosto impressionati il fatto che il 26 marzo, quando dà il via ad un massiccio attacco militare contro il gruppo ribelle, Riyadh possa presentarsi alla testa di una coalizione cui partecipano non solo le altre monarchie del Golfo, salvo l’Oman, com’era da attendersi, ma anche Egitto, Giordania, Marocco e Sudan: dando con ciò un’inedita prova di forza e allo stesso tempo una dimostrazione del suo livello di credibilità e di influenza politica, in nome di un ruolo nella regione che non accetta di essere messo in discussione. Prova che non si attenua per l’importanza nevralgica del libero passaggio del Mar Rosso per l’Egitto e il Sudan. Riyadh riesce anche ad acquisire la dichiarata disponibilità degli USA ad assicurare appoggio logistico e di intelligence. Riuscirà poche settimane dopo a ricevere anche l’appoggio indiretto da Mosca per il varo di una Risoluzione del Consiglio di sicurezza decisamente anti-Houthi.
Inizia così una fase bellica che nei poco più dei tre mesi trascorsi ha fatto piombare lo Yemen in una stato di disastro umanitario gravissimo, per le migliaia di vittime e di feriti, per le migliaia di fuggitivi e per le immani distruzioni provocate dagli attacchi e dalle risposte militari degli Houthi che sono giunti a controllare gran parte della strategica città di Aden.
Da allora vi è stata una duplice tregua, violata.
Vi sono state due iniziative finalizzate a ottenere una soluzione negoziata alla guerra civile. Da parte di Riyadh, timorosa dello spazio aperto alle manovre di al Qaeda e dello stesso Califfato, e delle Nazioni Unite, con una mediazione dell’Oman che ancora non ha rinunciato a interporre i suoi buoni uffici. Ma tutto lascia ipotizzare che gli Houthi non siano disposti a cedere se non sotto il peso della ineluttabilità di una sconfitta militare. Non è mancato neppure il tentativo iraniano di ingaggiare una prova di forza in mare, all’imbocco del mar Rosso.
Adesso sembra che dopo una fase in cui gli Houthi prevalevano, pur sotto un violento fuoco aereo, dal sud del paese, si stiano mobilitando forze di terra che addestrate anche con l’aiuto degli USA, Gran Bretagna e Francia, hanno ben coadiuvato l’azione degli attacchi aerei della coalizione. Ed è arrivata una sua prima vittoria: la liberazione di Aden. Importante ma tutt’altro che decisiva, anche se marcata emblematicamente dal ritorno di alcuni ministri di Hadi. E ciò sia perché Aden è la capitale dell’indipendentismo yemenita, sia perché manca ancora all’appello Taiz perchè gli Houthi possano essere indotti a più miti consigli. Sempre che la coalizione non pensi di attaccarli anche nel Nord del paese, dove sta la loro vera patria e il fulcro del loro potere. La guerra civile in Yemen è ancora tutta lì con un costo sempre più doloroso per la popolazione yemenita.

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