giovedì 19 febbraio 2015

Stop ai lavori del Muos, arriva la sentenza del Tar: pericoloso per la salute

#Pensatodavoi

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Stop ai lavori del Muos, arriva la sentenza del Tar: pericoloso per la salute




Nei giorni scorsi, i giudici del Tar di Palermo hanno accolto il ricorso presentato dal Comune di Niscemi (Caltanissetta) contro la realizzazione del Muos (Mobile User objective System), il sistema di comunicazione satellitare della marina militare statunitense in fase di realizzazione in Sicilia. L’impianto, in fase di esecuzione, era stato inizialmente avversato anche dal governatore regionale Rosario Crocetta che aveva sospeso i lavori in attesa di una valutazione tecnica da parte dell’Iss (Istituto Superiore di Sanità) sugli eventuali rischi legati all’impatto ambientale e alla salute. Nel marzo del 2013, la Regione revoca in via definitiva  l’autorizzazione alla costruzione della stazione Muos a Niscemi. Ma non finisce qui. Infatti, nel mese di luglio il Presidente Crocetta, smentendo quanto precedentemente affermato, pone in essere la “revoca della revoca” consentendo la prosecuzione dei lavori. La sentenza del Tar ha dichiarato che le “revoche” delle autorizzazioni operate dalla Regione Siciliana erano da qualificare come “annullamenti in autotutela con effetto definitivo”. Pertanto, la successiva “revoca della revoca” del 24 luglio è inefficace dal momento che l’annullamento opera con effetto “ex tunc”.  Di conseguenza, “i lavori compiuti dalla Marina Statunitense sono da considerare integralmente abusivi in quanto iniziati e proseguiti in assenza di autorizzazioni.” Inoltre, il  Tar ha ritenuto  insufficienti i documenti su cui l’Assessorato all’ambiente della Regione Sicilia ha fondato il provvedimento di revoca della precedente revoca delle autorizzazioni. Difatti, come si evince dalla sentenza “l’Iss (Istituto Superiore di Sanita) si è basato su procedure di calcolo semplificate che non forniscono accettabili indicazioni nell’ottica del caso peggiore”. Fondamentale per l’emissione del giudizio è stata l’analisi condotta dal professor Marcello D’amore (ordinario di Elettronica all’Università Sapienza  di Roma) verificatore nominato dal Tar dopo il ricorso del Comune di Niscemi con lo specifico compito di integrare la precedente verifica compiuta dall’Istituto superiore di sanità.Quella sul Muos è sicuramente una sentenza storica. Una vittoria per i comitati e i cittadini onesti che hanno combattuto e combattono per la smilitarizzazione della nostra terra, per rivendicare i nostri diritti e, in particolare,  per coloro i quali credono nella Sicilia come base di pace e non come territorio stuprato dallo straniero come piattaforma di guerra. 
Antonio Alfonso

sabato 14 febbraio 2015

Quale democrazia in Europa?

#Pensatodavoi

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Quale democrazia in Europa?




È facile parlare del "dover essere" dell'Europa.  Lo è meno fare i conti con la sua essenza reale. Ancor più interessante sarebbe azzardare un’ analisi che tocchi le ragioni politico istituzionali all'interno del contesto storico Europeo. L'UE è un unicum storico. Stati sovrani, a partire dal dopoguerra, mettono in comune parte delle loro prerogative per seguire un percorso che va dalla composizione di un mercato unico fino a una futuribile federazione. Dal dopo guerra ad oggi gli Stati sovrani sono aumentati sensibilmente, in seguito al processo di decolonizzazione e allo scioglimento di unioni e federazioni dal passato pesante. Il processo d’ integrazione europeo è una vera e propria avanguardia, soprattutto se si guarda il proliferare di unioni doganali ed esperimenti più avanzati in giro per il mondo come l’ASEAN. Posta questa doverosa premessa, che ricorda la forte ambizione del progetto comunitario, il quesito rimane: quale Europa?
La vulgata ufficiale del buon europeista progressista, suona più o meno così : "L' Europa unita è un bellissimo sogno democratico, ma i cattivi e intransigenti übermensch tedeschi non vogliono cooperare e ne impediscono il ridente avvenire". A questo discorso segue poi l’impossibilita’ di trarne le logiche conseguenze, fermandosi ad un generico “ci vuole più Europa”. La deflazione, la disoccupazione, i morti dei paesi del sud possono infatti tranquillamente aspettare, data da destinarsi, un fantomatico rinsavimento della Germania, nemico su cui sempre più si scaricano tensioni non esattamente conformi al pacifico spirito comunitario. Per provare a spingersi oltre questa rappresentazione quantomeno farsesca della crisi europea, a mio avviso, bisogna cercare di toccare i reali problemi dell'impalcatura democratica dell'unione e cambiare domanda: quale democrazia in Europa?  L'UE pone le sue fondamenta nella costituzione di presunti organismi "tecnici" come la BCE e la Commissione, che pongono al di fuori dal controllo democratico importanti aree della sovranità ex-statuale. L'indipendenza della BC, (che ha natura politica e lo dimostra di continuo, da ultime le misure nei confronti del sistema bancario greco) è l'esempio più evidente di questa tecno-burocratizzazione delle sovranità popolari. Storicamente la costruzione europea si è sviluppata a partire dal cosiddetto asse franco-tedesco, seguendo un’impostazione essenzialmente centralista. I paesi periferici hanno di fatto inseguito, a volte arrancando, un progetto portato avanti da Francia e Germania pensando potessero essere quella "locomotiva" che li avrebbe trainate in quel “progresso comune”, di cui qualcuno ancora oggi vaneggia. La realtà ci consegna un’Unione che di fatto manca di una vera accountability democratica. Pensare di continuare su questa strada centralista, semplicemente riequilibrando i poteri tra Parlamento e Consiglio, o giungere a pensare addirittura l'eleggibilità di un improbabile esecutivo della Super-Nazione europea, non solo non tiene conto delle realtà storiche (un bavarese oggi non ha più alcuna voglia di pagare per un sassone, figurarsi per un portoghese), né dà una risposta necessaria e praticabile ai paesi in difficoltà (che possono sempre aspettare), ma non coglie la questione democratica.  Le istituzioni nazionali e internazionali sono sempre più distanti dai cittadini. La disaffezione verso il momento elettorale è una piaga comune in tutta Europa. Privare le singole comunità nazionali e regionali di ulteriore sovranità, spostandola a Bruxelles e Francoforte, potrebbe contribuire solamente ad aggravare la crisi europea. La centralizzazione delle istituzioni democratiche facilita un controllo maggiore, su queste ultime, da parte delle lobbies, le quali, agendo su scala europea, risultano evidentemente meno controllabili. La riduzione degli spazi di governance democratica è quindi accompagnata da un'inevitabile deriva oligarchica che matura sotto la crescente pressione del lobbismo internazionale. Ristabilire accountability democratica a livello europeo è l'unico modo per salvare un'idea sostenibile e solidale di Europa, e di ridare autorevolezza a quel che rimane delle mai abbastanza osannate costituzioni democratiche del dopoguerra, sempre più svuotate da questo processo di tecno-burocratico europeo. Proposte che passino dalla messa in discussione del dogma della BCE indipendente, dall'istituzione di meccanismi di riequilibrio delle asimmetrie economiche, fino alla costruzione di nuovi spazi di governace democratica, sono perfettamente contrarie e alternative alla struttura costitutiva dell'Unione. Va da sé che un percorso di questo tipo non sembra minimamente percorribile. "Less Europe is more”, parafrasando la massima del modernista L.M. van der Rhode, può forse essere la risposta più sincera alle domande poste dalla crisi europea. 
Luca Scaglione

giovedì 5 febbraio 2015

Quale Unione europea?

LA PAROLA ALL’ESPERTO

La rubrica mensile di IMESI che riporta la voce degli esperti sulle maggiori tematiche di politica internazionale

Quale Unione europea?
a cura di 
Rosario Fiore docente di diritto internazionale Università degli Studi di Palermo


Questa Europa così com'è non è certamente quella tratteggiata, sognata, invocata da Altiero Spinelli e da Ernesto Rossi nel famoso Manifesto di Ventotene. Che cos'è oggi l'Unione Europea? Una via di mezzo, un ibrido tra una confederazione di Stati e uno Stato federale, una organizzazione internazionale sui generis che, proprio perché ne' carne ne' pesce, rischia di essere un niente. Spesso molti dicono che all'unione economica e monetaria non sia corrisposta una incisiva unione politica. Verissimo! Le istituzioni europee, ad eccezione del Parlamento, non sono organi a rappresentanza politica diretta degli interessi dei cittadini. Il Consiglio dell' Unione, che condivide, in posizione dominante con il Parlamento Europeo, la funzione legislativa e di bilancio, è un organo a composizione ministeriale, che raggruppa i ministri dei Paesi membri in ragione delle materie da trattare. Il che implica che in quella sede le decisioni politiche, che sono le più importanti per l' UE, non vengono assunte in ragione dell'interesse generale, ma vengono mediate tra i contrapposti interessi particolari dei singoli Stati, soprattutto di quelli più forti, come la Germania. Già, la Germania con le sue aspirazioni pangermanistiche, con la intramontabile idea della Grande Germania, di una Europa a guida tedesca. Passano i secoli, ma cambia poco nella politica estera tedesca, nel loro tentativo di inglobare il resto del vecchio continente, nel fare risorgere, in una sorta di renovatio imperii, il glorioso Sacro Romano Impero. In questa ottica, tutti gli Stati europei dovrebbero limitarsi a svolgere esclusivamente il ruolo di vassalli dell'impero tedesco, come accadde a partire da Carlo Magno fino ad arrivare all'ultimo imperatore tedesco Guglielmo II di Hohenzollern ed oggi con Angela Merkel. La vittoria di Tsipras in Grecia deve fare riflettere molto: non vince la sinistra estrema in quanto tale, ma vince l'idea del fallimento dell'Unione Europea, di una moneta unica che somiglia più ad un vecchio franco tedesco. Ha vinto la ribellione contro il pangermanesimo in salsa merkeliana, ha vinto l'idea di una Europa solidale contro l'idea di una Europa dal rigorismo asfissiante, che se da un lato tiene a posto i conti, dall'altro frena lo sviluppo e la crescita, a danno soprattutto delle classi più povere. Ecco allora che queste spinte antieuropeiste, in Italia sostenute dalla Lega e dal M5S e non dalla sinistra radicale di Vendola e compagni, rischiano di diffondersi sempre più in maniera incisiva, fino all'estrema conseguenza di una Unione Europea sempre più debole e sempre più lontana dai popoli. Cosa serve? Se Unione deve essere, allora bisogna che sia una unione politica, il che significa che ciascuno stato deve rinunciare non ad una parte della propria sovranità, ma alla propria totale sovranità e dare vita ad un nuovo foedus, cioè ad un nuovo patto federativo tra tutti gli Stati che, in tal modo cessano di essere tali e diventano macro regioni all'interno degli Stati Uniti d' Europa: unica politica estera, unica politica di difesa e sicurezza, unica politica monetaria, in altre parole serve passare dall' Unione Europea all' Europa Unita. Solo in questo modo, quando non esisteranno più la nazione italiana, la nazione francese, la nazione tedesca e così via, ma esisterà un unico grande Stato federale, con un Parlamento federale unico detentore della funzione legislativa, senza più la presenza di organismi di mediazione degli interessi nazionalistici, tra cui anche la stessa Commissione Europea, allora avremo compiutamente realizzato il sogno di Ventotene, saremo finalmente cittadini europei. Certamente, il Trattato di Lisbona ha compiuto dei passi in avanti in questa direzione, anche se la mancata approvazione della prima vera Costituzione europea, fa si che ancora una volta il compromesso al ribasso, che ha mantenuto in piedi il costrutto bicefalo tra rappresentatività popolare e rappresentanza statale, ha finito con l' accentuare le condizioni politiche per il proliferare delle spinte antieuropeiste. Troppo poco e troppo al ribasso il compromesso di Lisbona: serve di più, serve più coraggio, serve rinunciare all'idea di sovranità nazionale in favore della piena sovranità europea, al netto del pangermanesimo ovviamente.

martedì 3 febbraio 2015

Il coraggio del volontariato, chi siamo per giudicare?

#Pensatodavoi

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Il coraggio del volontariato, chi siamo per giudicare?


"Purtroppo le cose sono andate così ma è la guerra, noi continueremo a dedicarci e ad aiutare da qui, non ci arrendiamo." Commenta così Greta Ramelli, una delle due cooperanti rapite in Siria il 31 luglio, la liberazione sua e di Vanessa Marzullo. Vanessa Marzullo e Greta Ramelli sono due ragazze di venti e ventuno anni, studentesse di Mediazione linguistica e Scienze infermieristiche, attiviste, impegnate in progetti umanitari, fino al giorno del loro rapimento, il 31 luglio.  Ma cosa c'entrano queste due ragazze con l'Isis? Nulla. L'Isis è la più feroce, sanguinaria e pericolosa organizzazione terroristica esistente, attiva in Siria e in Iraq il cui attuale leader, Abu Bakr al-Baghdadi, è al momento l'uomo più ricercato al mondo. La Siria, paese in larga maggioranza sunnita, dal marzo 2011 è lacerata da una guerra civile che vede contrapposte le forze governative e quelle non governative.  La maggior parte di questi miliziani ha ingrossato le file delle formazioni jihadiste, in prevalenza quelle del Fronte al-Nusra e dello Stato Islamico dell'Iraq e Levante. Greta e Vanessa, volevano partire, volevano aiutare, da anni volontarie in Italia e all'Estero, anche in zone di guerra, volevano partecipare attivamente a quella azione umanitaria, spesso invisibile, che però c'è, esiste, fatta di persone coraggiose, di un coraggio che non tutti possiamo comprendere fino in fondo: il coraggio del volontariato.  L'hanno fatto. Sono partite.  Ma noi non siamo un paese all'altezza di un gesto del genere, facciamocene una ragione.  Un paese all'altezza non avrebbe dibattuto così come ha fatto la liberazione di due volontarie, con esperienza pregressa in Italia e all'Estero, denigrandole in modo sessista.  Il nostro è un paese perbenista e bigotto.  Un paese che addita e che giudica e lo fa perché da noi "non è di moda" partire come volontarie in zone di guerra, non è comune sentire l'esigenza di volere aiutare un popolo sotto assedio, e sì, magari prendendo anche posizioni radicali. Noi non siamo un paese dove le donne hanno gli stessi diritti, sostanziali e non formali, degli uomini, ammettiamolo. In un paese egualitario nei diritti, il vice presidente del Senato non si sarebbe permesso di offendere due volontarie partite nell'ambito di un progetto di cooperazione internazionale, due cittadine italiane, due donne. Non avrebbe messo tutto, vergognosamente, sul piano del sesso. Noi non siamo neanche un paese solidale. Un paese solidale non augura la morte a nessuno.  Noi siamo un paese che si dovrebbe solo vergognare.  E nonostante tutto, forse, non basterebbe a chiedere scusa a Greta e Vanessa, che continuano a sorridere e con la forza della loro età dicono: "non vogliamo smettere di aiutare il popolo Siriano."
Angiolina Ferraiolo

domenica 1 febbraio 2015

Sergio Mattarella, l'uomo che ragiona a bassa voce

- EDIZIONE STRAORDINARIA -

Sergio Mattarella, l'uomo che ragiona a bassa voce

a cura di Rosario Fiore, docente di Diritto internazionale Unipa
e Gabriele Messina Presidente I.ME.SI


L'elezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica rappresenta, certamente, un motivo di orgoglio per tutti i siciliani, qualunque sia il colore politico. Palermitano, docente universitario di diritto parlamentare, sia a Giurisprudenza che a Scienze Politiche dell'università di Palermo, Matarella appartiene ad una famiglia politica assai importante. Il padre Bernardo fu potente Ministro democristiano dal secondo dopoguerra fino alla metà degli anni sessanta, ingiustamente additato dal sociologo Danilo Dolci di contiguità mafiose, circostanza questa smentita in maniera netta sia dal Tribunale di Roma che in via definitiva dalla Corte di Cassazione. Sergio Mattarella non era destinato a fare politica: schivo, di poche parole, grande studioso, si dedicava assiduamente all'insegnamento universitario del diritto pubblico, in modo particolare del diritto parlamentare fino a quando, il 6 Gennaio 1980, Cosa Nostra uccide il fratello Piersanti, all'epoca Presidente della Regione Siciliana: e' questo il periodo degli omicidi eccellenti, con la morte l'anno precedente del segretario provinciale della DC palermitana Michele Reina, poi Pio La Torre, il Generale Dalla Chiesa, magistrati, poliziotti. Siamo in piena guerra di mafia in Sicilia, con l'ascesa dei corleonesi al vertice mafioso siciliano e l'inizio di una vera e propria contrapposizione tra lo Stato e la mafia. In questa contrapposizione, il fratello Piersanti era schierato dalla parte dello Stato, proteso ad un profondo rinnovamento interno della Democrazia Cristiana siciliana, fino ad allora dominata da Lima e Ciancimino, ma soprattutto proteso a rivoluzionare la macchina amministrativa e degli appalti della Regione. Morto il fratello, Nel 1983 Sergio Mattarella continua l'impegno politico della propria famiglia, risultando eletto alla Camera dei Deputati nella lista della DC, di cui diviene successivamente uno dei maggiori rappresentanti della sinistra interna, tanto da ricoprire importanti ruoli di ministro nei governi, De Mita, Goria e Andreotti, dal quale governo, come noto, si dimise nel 1990 per protesta contro l'approvazione della legge Mammi, che tutelava gli interessi imprenditoriali di Silvio Berlusconi e della Fininvest.  Mattarella certamente e' ricordato soprattutto per essere il padre della legge elettorale che, nel 1993, sostituì il sistema proporzionale puro con il sistema maggioritario dei collegi plurinominali, noto come Mattarellum per la definizione del politologo Giovanni Sartori. Tra i fondatori del Partito Popolare Italiano prima e dell'Ulivo di Romano Prodi, Mattarella ritorna a ricoprire ruoli di primo piano sul finire degli anni 90, quando con i due governi D'Alema e col governo Amato, diviene Vice premier e Ministro della Difesa per poi, nel 2011, essere eletto dal Parlamento giudice costituzionale. Mattarella è un uomo politico assai navigato, come disse di lui Giuliano Amato "un uomo che quando tutti gridano, lui ragiona a bassa voce". Questa sua caratteristica, ossia un moderatismo accentuato, fatto di poche parole, garbo e sensibilità istituzionale, potrà conciliarsi col renzismo dei tweet, dell'immagine a scapito della sostanza? Molti, oggi, sono convinti che l'elezione di Sergio Mattarella al soglio quirinalizio abbia rappresentato la fine del patto del Nazareno, cioè l'accordo Renzi-Berlusconi sulle riforme elettorali e istituzionali; molti, anzi gran parte, lo hanno votato non tanto per le sue doti politiche e le sue sensibilità istituzionali, ma per sabotare le riforme in cantiere, tra tutte la nuova legge elettorale, l'Italicum, approvato in seconda lettura la scorsa settimana. Certamente in questa direzione si sono mossi sia Sel che la minoranza Dem, nell'ovvia convinzione che l'Italicum con i capilista bloccati ed il premio di maggioranza alla lista più votata farebbe di Renzi il padrone dell' Italia per i prossimi anni. Da questo punto di vista, l'elezione di Mattarella, apparentemente, affossa il patto del Nazareno, allontanando l'approvazione della nuova legge elettorale e l'abolizione del Senato.  Ma solo apparentemente! Se Renzi avesse proposto al suo partito il nome di Mattarella, con l' accordo di Berlusconi, oggi Mattarella non sarebbe il 12simo Capo dello Stato, poiché ne' Sel ne' sinistra Dem avrebbero mai votato una personalità espressione del patto del Nazareno. Ecco, allora, la necessità di indicare una personalità in disaccordo, ma solo apparente, con Berlusconi, il cui partito decide alla fine di votare scheda bianca. Ed è' questa la prova che Berlusconi finge quando dichiara che il nome non e' condiviso. Diversamente Forza Italia, come ha fatto la Lega di Salvini, avrebbe votato un proprio uomo. Ecco allora che il nuovo Capo dello Stato si colloca perfettamente nel solco del patto del Nazareno, col vantaggio che, date le sue doti politiche e istituzionali nonché giuridiche, riuscirà a mitigare le irritanti renzate. Ed ancora una volta, mentre tutti grideranno, lui sarà l'unico a ragionare in silenzio.