martedì 9 dicembre 2014

Costruiamo il futuro: Susanna Camusso incontra gli studenti

Costruiamo il futuro: Susanna Camusso incontra gli studenti



Si è tenuto giorno 5 Dicembre l'incontro tra il segretario nazionale della CGIL e gli studenti dell'Università Di Palermo, a termine di un tour che ha visto l'Udu Nazionale e la Rete degli Studenti Medi in giro per 13 regioni e 23 città italiane per  raccogliere testimonianze di ragazzi che hanno deciso di abbattere gli ostacoli e costruire un futuro fatto di speranza, tenacia e diversità.
Palermo, ultima tappa, dove vengono raccontante esperienze positive e negative, a testimonianza che i giovani non sanno solo protestare ma anche proporre, un tour in “direzione diritti”, un'esperienza che nasce in un periodo complesso per il nostro stato, fatto di crisi economica, tagli, licenziamente, immigrazione ed emigrazione. Un viaggio che parte da un provvedimento sull'istruzione, in cui il ruolo della scuola viaggia su due binari diversi, quello della meritocrazia e   della competitività, senza tener   conto di un concetto importante, l'uguaglianza. Mettendo a sistema le tematiche del diritto al lavoro e del diritto allo studio, l'una non può esservi senza l'altra, il “viaggio dei ragazzi” tenta di raccontare storie di studenti e lavoratori. Susanna Camusso ha risposto ad una serie di domande, affrontantado argomenti importanti, dall'istruzione, al lavoro, dall'investimento, alla diversità, fino all'immigrazione, tutto racchiuso nel quadro dell'economia della conoscenza, tema dell'incontro.
“Circa quindici anni fa si diceva che questa società doveva essere basata sull'economia della conoscenza, la formazione avrebbe dovuto creare investimento, potenziare l'economia al ritmo della competizione e dei diritti, ma così non è stato, economia e conoscenza non hanno saputo contaminarsi a vicenda.” Si parla innanazitutto del futuro dell'Europa, nel momento in cui il modello del capitalismo finanziario crolla,  della perenne crescita dei consumi senza avere l'idea di un del rapporto con le persone e il territorio. È necessaria una presa di conoscenza delle ricchezze che ha il nostro territorio, e di come, sulla base di queste, si possa dar vita ad una nuova competizione, che richiede innovazioni ed energia, occupandosi delle nuove generazioni, non guardando sempre al passato. Un paese che dichiara di guardare al futuro dovrebbe garantire il diritto allo studio come premessa per una prospettiva verso il futuro, nasce dunque un conflitto tra chi vuole rimanere nell'economia del risparmio, dei tagli, della compatiblità dei bilanci, e chi invece propende verso un'economia dell'investimento che crede nell'innovazione.
“Serve l'istruzione ? Se serve qual'è il tempo di istruzione perchè sia crescente, se dobbiamo guardare all'economia della  conoscenza, il percorso verso l'apprendimento del sapere ha un suo tempo che va di pari passo con la qualità dell'istruzione.” con questa domanda provocatoria il segretario rompe il silenzio e risponde ad un'altra delle domande postele, affermando che  la prima rivoluzione da fare è rendersi conto della necessità di investire nell'istruzione, universitaria e professionale, non guardando indietro ma avanti, rendendosi conto delle esigenze del mercato. Le esperienze di lavoro non sono quelle di questo periodo, date dal rapporto “stage-tirocino-stage”, tutti senza un compenso. Il tema non è inventare lavoro gratuito, ma  se nei luoghi di lavoro si è in grado di costruire una possibile acquisizione di competenze e di verifica nel rapporto che vi è tra
 chi sta imparando e quello che avviene nei luoghi di lavoro per sancire il rapporto “scuola-lavoro”. Necessaria è una riforma del sistema di istruzione che preveda seriamente lo scambio tra la stagione di studio e la stagione di lavoro, abolire l'idea secondo cui dato il percorso d'istruzione intrapreso è  possibile lavorare gratuitamente. Ciò, non solo è ingiusto ma  svalorizza la prodizione, lascia intendere così che l'obiettivo dell'impresa è creare produzione a basso costo non di qualificare competenze. Chi lotta per delle politiche diverse da quelle che ci sono state imposte è visto come un pericolo per il paese e questo non crea  un punto di interlocuzione tra le parti.
“Un paese che non sa cosa farsene dei giovani è un paese che non sa cosa farsene di se stesso “, si passa dunque al tema della flessibilità che ha progressivamente dato vita a varie forme di precarietà,  si è perso l'effettivo carattere valoriale del lavoro, venendo meno qualità e investimento.  Se un'azienda  non spenderà nulla in training, formazione, responsabilizzazione, la situazione del lavoro rimarrà perennemente svalorizzata.


Si constata la consapelovezza per cui non è più un produttore, ha copiato modelli che a  poco a poco le sono stati propinati, si è persa la concezione del legame che esiste tra la formazione professionale e il lavoro, l'unica idea è quella di ridurre i costi. È dunque   necessaria una discussione culturale fondata sulla conquista dei diritti, gli anni delle conquiste dei diritti sono gli anni di crescita di questo paese.Vi  sono delle forme di organizzazioni dei giovani che sono di reaziona al sistema, le proposte  sono egualitarie, non esistono le gerarchie che sanciscono diversità, il lavoro non può essere parcellizzato in via gerarchica, permane invece l'idea del lavoro secondo cui la subordinazione è necessaria. Anche la professionalità dei lavoratori diventa un tema esclusivamente aziendale, se non si ha  la pienezza dei diritti non si avrà la possibilità di essere un punto di interlocuazione per determinare la professionalità, il lavoro e quindi la qualità.
Susanna Camusso, spazia su vari temi tutti in stretto lagame tra di loro, sottolieando anche un tema cardine qual'è quello della fragilità dell'Italia, non soltanto dal punto di vista lavorativo e territoriale, ma anche sociale.
 La gente si è spostata dalle montagne verso le città abbandonando larga parte del terriotorio, non si è considerato quanto si risparmiasse qualora di intestisse in un risanamento di alcuni luoghi, viene considerato, ancora una volta, il bilancio, buttando via una marea di risorse, rinconrrendo le emergenze, mettendo toppe qui e li.
Un'altra piaga, messa in risalto, è quella della mancata coesistenza tra le persone, della segmentazione del soggetto, vi  è sempre qualcuno che deve sottostare ad un altro. Esiste
una netta  separazione tra italiani e stranieri, bisogna costruire l'idea, non solo di essere ospitali con chi viene in Italia, ma anche quella per cui bisogna ricostruire il lavoro, riqualificarlo, non si può sfuggire alle migrazioni, bisogna avere la capacità di mescolarsi.
Se ci si chiude verso il resto del mondo, vengono meno quelli che sono dei  percorsi di trasfigurazione verso il futuro,.bisogna crare una prospettiva che interloquisce con gli italiani, bisogna avere il coraggio di un cambiamento culturale, e abbattere la concezione secondo cui da soli si fa meglio e l'altro è un nemico.
 “Bisogna misurarsi con le nuove libertà, con la diversità, con i fenomeni di migrazione, con quelli di cambiamento, il tema della diversità riguarda anche le normative di riconoscimento non solo dei matrimoni ma anche delle coppie di fatto. Un paese che invecchia su se stesso,  ha paura di confrontarsi col cambiamento, riconoscere la diversità è motivo di ricchezza.”


M.Martina Bonaffini

mercoledì 3 dicembre 2014

Abolizione della pena di morte nel mondo. Un processo ormai irreversibile

#lavoceinternazionale

L'approfondimento settimanale di I.ME.SI.


Abolizione della pena di morte nel mondo. Un processo ormai irreversibile

a cura di Ezio Savasta 


Prof. Ezio Savasta
La pena di morte può essere considerata la sintesi di molte violazioni dei diritti umani, rappresenta sempre, infatti, una forma di tortura mentale dei condannati, contraddice una visione riabilitativa della giustizia, abbassa l'intera società al livello di chi uccide, legittima una cultura di morte al livello più alto, da parte dello stato, mentre dice di voler difendere la vita umana colpisce in maniera sproporzionata minoranze politiche, etniche, religiose e sociali, umiliando l'intera società.
In un tempo non lontano tutti i popoli, tutte le nazioni e tutti i gruppi umani ritenevano che la pena di morte fosse utile, ovvia o necessaria per punire una colpa grave. Questo tempo è durato dall'inizio della storia al XVIII secolo. Cesare Beccaria in questo periodo scriveva un'opera “Dei delitti e delle pene” in cui si riteneva che la ragione dovesse illuminare il dominio dell'azione penale e dedicava un capitolo all'abolizione della pena di morte. Da allora questa cultura giudica e umana è stata recepita da larghi strati della popolazione mondiale. In Europa ormai la pena di morte è bandita dalla sua costituzione ed è una delle clausole per l'ammissione di nuovi Stati membri del Consiglio d'Europa che si devono impegnare ad adottare una moratoria sulle esecuzioni e a ratificare il protocollo n.6 della convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) che li vincola all'abolizione definitiva della pena capitale.
In Europa si può dire quindi che la pena di morte è debellata anche se non completamente: l'unico stato europeo che la pratica è la Bielorussia, e sono forti le pressioni politiche affinché la abolisca e l'Europa possa dirsi totalmente libera da questo retaggio di una cultura giuridica disumana. Questo processo che è prossimo al completamento in Europa sta marciando a grandi passi nel resto del mondo. Progressivamente ogni anno il numero di paesi che smettono la pratica dell'eliminazione fisica del responsabile di gravi reati aumenta.
Una prova evidente è vedere il cammino della moratoria universale della pena di morte in sede ONU.
Vediamo un quadro dello status dei paesi del mondo sulla pena di morte al marzo 2014 secondo i dati forniti da Amnesty International:
98 paesi hanno abolito la pena di morte per ogni reato
7 paesi l'hanno abolita per reati comuni ma la mantengono in condizioni speciali come in caso di guerra
35 sono i paesi abolizionisti de facto: che hanno la pena di morte nei loro ordinamenti giuridici ma non eseguono da più di 10 anni
58 sono quelli che mantengono la pena di morte.
Ma se vediamo le scelte fatte dai vari paesi per l'approvazione della moratoria i numeri cambiano.
La moratoria ha l'efficacia di salvare vite umane, come una sorta di “cessate il fuoco” in attesa che gli ordinamenti degli stati si adeguino giuridicamente per far sparire dal Codice Penale e dalla Costituzione ogni richiamo alla pena di morte. La moratoria è stata proposta per la prima volta dall'Italia nel 1994, la maggioranza dei favorevoli non venne raggiunta per 8 voti. Nel 1997 la Commissione dell'ONU per i Diritti Umani approvò una risoluzione per "una moratoria delle esecuzioni capitali, in vista della completa abolizione della pena di morte”. La moratoria è quindi diventata un passo più facile da compiere, per non compiere esecuzioni per quei paesi che hanno all'interno dei loro ordinamenti la pena capitale ma che ormai nella prassi l'hanno superata o la vogliono superare. Nel recente voto alla VI Commissione delle Nazioni Unite sulla proposta di moratoria universale della pena di morte 114 Stati hanno espresso voto favorevole alla mozione, tre in più rispetto a due anni fa. Nel mese di dicembre si attende la ratifica del voto in Commissione nella Assemblea generale dell'ONU. E' interessante, per valutare il trend positivo verso l'abolizione della pena capitale, vedere come siano andate le votazioni in sede ONU negli ultimi 7 anni: i contrari sono passati da 52 a 36 (- 30%) e 7 anni sono nulla quando si parla di questi fenomeni. In Africa i contrari sono passati da 11 a 6, in pratica dimezzati, in Asia da 25 a 18 (- 28%). Ma questo processo non è solo giuridico, è culturale. La società civile di molti paesi sta cambiando in questa direzione anche grazie a molte iniziative che stanno svolgendo associazioni che lavorano nel campo dei diritti umani e dell'impegno civile. Tra le tante iniziative una che merita di essere citata per la sua efficacia sulla società civile è “Città per la vita: città contro la pena di morte” promossa dal 2002 dalla Comunità di Sant'Egidio che celebra la giornata del 30 novembre e conta l'adesione di 1950 città del mondo. In questo giorno le città che aderiscono accendono di una luce particolare un monumento significativo della propria città e con i cittadini organizzano un evento pubblico contro la pena di morte. A Roma il Colosseo è diventato un simbolo di vita e ogni anno il 30 novembre si illumina di una luce speciale per dire con tutte le altre città che “Non c'è giustizia senza vita”. Il 30 novembre rappresenta l'anniversario della prima abolizione da parte di una stato della pena capitale, il Granducato di Toscana il 30 novembre del 1786. Il movimento delle “Città per la vita”, ha avviato percorsi di sostegno e di negoziato per paesi mantenitori fino all'abolizione della pena capitale – dal Burundi al Gabon, dall'Uzbekistan ala Kazakistan – e promuove annualmente una Conferenza Internazionale dei Ministri della Giustizia che è un laboratorio di dialogo e un workshop internazionale in chiave abolizionista che coinvolge anno dopo anno paesi retenzionisti e abolizionisti in un lavoro comune. Quest'anno lo sviluppo di questo movimento ha permesso che si potesse organizzare un Convegno Internazionale contro la pena di morte e la difesa dei diritti umani, per la prima volta nella storia in Asia, a Manila nelle Filippine. Forse il cammino per l'abolizione totale della pena di morte nel mondo ha bisogno di altri passi per poter arrivare alla sua conclusione, ma il processo è irreversibile, non ha mai subito a livello planetario pause e tanto meno una inversione di rotta. La pena di morte diventerà un retaggio del passato come lo sono le violazioni palesi dei diritti dell'uomo come la schiavitù che ufficialmente è bandita da tutti gli stati. Nei bracci della morte vivono tanti uomini e donne, solo negli USA sono 3.500, sperano che questo processo sia così rapito da poter salvare la loro vita. Non li possiamo dimenticare: è per loro che molti lottano e vogliono che questo processo continui ad accelerare fino alla totale abolizione della pena di morte e salvare molte vite. Queste sono le parole di una donna di 25 anni nel braccio della morte, in attesa dell'esecuzione in Iran:
"Sono una persona come voi, non voglio morire. Ma, proprio ora, mi sento come un corpo senza vita, un corpo che ha dimenticato la felicità e il sorriso. Sono terrorizzata dall'impiccagione e sono a un passo dalla morte. Io, come tutti voi, ho paura di morire.”
Dalle parole di chi vive nel braccio della morte si rinnova l'impegno perché la giustizia non possa essere mai esercitata senza il rispetto della vita.