giovedì 3 settembre 2015

Dentro gli accordi di Vienna: un'intesa oltre il nucleare

#Pensatodavoi

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Dentro gli accordi di Vienna: un'intesa oltre il nucleare


Al termine di una maratona negoziale durata anni, l’Iran ed i Paesi del gruppo P5 +1 (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Russia, Cina e Germania) hanno raggiunto a Vienna un’intesa sul programma nucleare iraniano. L’intesa rappresenta un potenziale nuovo inizio per le relazioni tra Teheran e Washington, drasticamente interrotte nel 1979, all’indomani della rivoluzione iraniana e della crisi degli ostaggi. Da più parti gli accordi di Vienna sono definiti di portata storica, ma sarà davvero così ?
I sei punti fondamentali dell’intesa raggiunta riguardano: sanzioni, centrifughe, commissione di controllo, uranio, embargo sulle armi, limitazioni. Le sanzioni saranno rimosse di pari passo con la verifica da parte dell’Aiea del rispetto dell’accordo. L’Iran potrà tornare ad esportare petrolio ed accedere al sistema bancario internazionale. Inoltre, ridurrà di due terzi il numero delle centrifughe attive, portandole da 19mila a 6mila; le centrifughe non più utilizzate verranno poste sotto il monitoraggio dell’Aiea. Una commissione composta dai rappresentanti dell’Iran e del gruppo P5 +1 valuterà eventuali violazioni dell’accordo ed il possibile ripristino delle sanzioni. L’Iran ridurrà del 98% le sue scorte di uranio a basso arricchimento, portandole a 330kg. Teheran avrà bisogno di almeno un anno qualora volesse dotarsi di un’arma atomica. L’embargo sulle armi convenzionali verso Teheran sarà rimosso fra cinque anni mentre quello sui missili balistici resterà in vigore per otto anni.Ulteriori restrizioni impediranno all’Iran di sviluppare la propria tecnologia nucleare a scopi militari (costruzioni di testate o meccanismi ad inneschi multipli).

Ad ostacolare il processo negoziale è stato anzitutto il profondo senso di diffidenza tra le parti coinvolte nei negoziati. Le motivazioni di tale diffidenza hanno radici storiche per quanto riguarda soprattutto Usa ed Iran, veri protagonisti dell’intesa. La loro storia di contrapposizione radicale li vedeva ormai da 37 anni considerarsi reciprocamente come “il Grande Satana” e “minaccia del terrore”. Occorre infatti rammentare quanto nella memoria storica di questi due Stati abbiano influito da una parte la lunga guerra Iran-Iraq, dall’altra parte la crisi degli ostaggi del 1979.
Ulteriore ostacolo ai negoziati è stata l’eterogeneità degli attori coinvolti. L’obiettivo comune alle sei delegazioni del P5+1 era quello di arginare il programma nucleare iraniano, ma ciascun Paese, dalla Russia alla Cina, passando per i diversi attori europei, perseguiva una propria agenda. Infine, a mettere in pericolo l’intero processo, sono intervenute le azioni di diversi attori, accomunati dal chiaro intento di far naufragare l’intesa. Gli oppositori dell’intesa sono rappresentati in primis dal Congresso statunitense a maggioranza repubblicana e dagli integralisti iraniani guidati da Alì Khamenei. Tra le fila del fronte del “no” troviamo poi “la strana coppia” formata da Israele ed Arabia Saudita, i cui segni di malcontento e di avversione ai negoziati sono stati sempre palesi nei mesi scorsi: intervento di Netanyahu al Congresso americano ed assenza di re Salman al summit di Camp David convocato da Obama per rassicurare gli alleati del Golfo.

Questo quadro complesso di rapporti e di interessi in gioco dimostra come la rilevanza degli accordi di Vienna oltrepassi la questione del nucleare iraniano ed abbia quindi delle implicazioni ben più ampie. La portata storica degli accordi di Vienna emerge con forza alla luce di come tutte le parti in causa hanno saputo portare a termine le trattative, difendendo sì i loro rispettivi interessi nazionali, ma ben sapendo che un fallimento avrebbe rappresentato non solo uno smacco in termini di prestigio internazionale ma soprattutto un errore politico-strategico. L’aver dimostrato che sia possibile una soluzione negoziata in materia di armamento nucleare, fondata sulla forza delle diplomazie e non su quella delle armi, rappresenta un’ulteriore conferma della rilevanza dell’intesa. Il rapprochement tra gli Usa e l’antico nemico persiano non porterà sic et simpliciter ad una totale distensione dei rapporti, ma di certo è un primo passo nella direzione del superamento delle reciproche ostilità; esso è da inquadrarsi inoltre nella nuova strategia di politica estera americana in Medio Oriente.    

Quali le conseguenze dell’accordo ? Cosa cambia in concreto nelle relazioni tra Usa ed Iran ?
Il raggiungimento di questa storica intesa che ripercussioni potrà avere sul piano interno per l’Iran (una vittoria per il presidente Rouhani ?) , sul piano regionale negli equilibri con Israele ed Arabia Saudita ed infine su scala globale ? Al di là delle valutazioni geopolitiche, andranno considerate altresì le implicazioni strettamente tecniche dell’intesa, come l’analisi del potenziale ritorno dell’Iran sui mercati energetici mondiali e di un’eventuale apertura agli investimenti stranieri.
La linea di condotta di Teheran per quanto concerne l’osservanza delle verifiche periodiche e degli Usa nei prossimi due mesi (il Congresso potrà rivedere il testo nei prossimi 60 giorni ma Obama potrà avvalersi del suo potere di veto) contribuiranno a dare alcune risposte. L’applicazione pratica di questi accordi ed il loro scrupoloso rispetto potranno confermare o smentire la portata storica dell’intesa.

Ciccio Polizzotto


 Per saperne di più :
• “Iran: un’intesa storica per quattro ragioni”, Armando Sanguini, commentary ISPI , 16 luglio 2015 • “Accordo sul nucleare iraniano: il trionfo della realpolitik”, Roberto Toscano, commentary ISPI, 16 luglio 2015 
“Iran after the deal: the road ahead” (available from september), report ISPI 

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