domenica 1 marzo 2015

L’intervento militare non è un rimedio ai fallimenti in politica estera

LA PAROLA ALL’ESPERTO

La rubrica mensile di IMESI che riporta la voce degli esperti sulle maggiori tematiche di politica internazionale

L’intervento militare non è un rimedio ai fallimenti in politica estera
a cura del Prof. Fulvio Vassallo Paleologo, Università degli studi di Palermo


Sono giorni in cui stanno cambiando molte cose con una tale velocità che diventa persino difficile scriverne. Alcuni fatti erano già prevedibili, come la deflagrazione della Libia, dopo anni di politiche pavide e contraddittorie, culminate nel "Processo di Khartoum", opera del governo italiano nel semestre di presidenza dell'Unione Europea. L'Italia è riuscita puntualmente a schierarsi dalla parte sbagliata, come già aveva fatto con Karzai in Afghanistan, ed in Libia ha perduto ogni credibilità dopo la frettolosa archiviazione della richiesta, giunta da più parti in conflitto, di una mediazione da affidare a Prodi. Il vero artefice del riallineamento della Libia a livello mondiale, quando a partire dal 2004 veniva sospeso l’embargo e riprendeva il commercio internazionale.
Ma oggi non sembra più tempo di mediazioni di pace. E’ ormai guerra globale, dalla Nigeria all'Ucraina, dalla Libia alla Danimarca, una serie di conflitti armati che si intrecciano sempre più con episodi di terrorismo, da Parigi e Copenaghen, a Derna, in Libia, o ad Alessandria in Egitto. Una partita difficile, che si gioca su scenari diversi, nei paesi di transito, nelle zone di guerra, nei territori dell'Europa di Schengen, nelle città soprattutto, dove tra le seconde generazioni ed i nuovi convertiti all’Islam, cresce il consenso verso le formazioni islamiste armate. Piuttosto che tra i migranti appena arrivati, i veri rischi per la convivenza pacifica e la coesione sociale si annidano nel tessuto urbano dei paesi occidentali, luoghi di lacerazione crescente anche per effetto di una crisi economica devastante, culmine di processi di esclusione e di marginalizzazione che hanno colpito ovunque i ceti più deboli e tra questi gli immigrati.
In Libia intanto è guerra aperta tra le diverse milizie armate e si avvicina uno scontro, a Misurata, che potrebbe essere cruciale per l'esito finale del conflitto in corso. Dopo le sortite interventiste di Gentiloni e della Pinotti, Renzi ha tirato il freno, ma la frittata ormai è fatta. I problemi in Libia non nascono all’improvviso negli ultimi mesi, ma discendono dalla gestione puramente economica del dopo-Gheddafi, con il ruolo di rappresentanti del governo italiano, come di altri governi, a gruppi di multinazionali. La politica estera italiana è stato di fatto appaltata ai vertici della grandi società che operavano in Libia. Nel tentativo di contrastare l'avanzata delle milizie islamiste, in questi ultimi mesi, ci si è affidati a regimi dittatoriali, e si è abbandonata  l'opposizione democratica e la nascente società civile che, dopo la stagione delle "primavere arabe" nel 2011 aveva cercato con diverse modalità, dalla Siria all'Egitto ed ancora dalla Libia al Marocco, di costruire una alternativa alle dittature, militari o religiose che fossero. Si è preferito ricorrere al generale Haftar che intendeva "normalizzare" la Libia con i bombardamenti aerei, piuttosto che fornire un supporto effettivo al faticoso percorso di pace avviato dalle Nazioni Unite con i colloqui a Ginevra tra le diverse fazioni che si contendono la Libia. Ed adesso i bombardamenti di Haftar sono supportati dai caccia egiziani.
Adesso lo "stato di guerra" alimenta le spinte più pericolose, dalla prospettiva di un intervento armato in Libia, caldeggiato dai vertici militari egiziani, fino alla caccia al "nemico interno" nei territori dell'Unione Europea, soprattutto dopo i più recenti attentati. I rischi di una islamofobia di massa sono sempre maggiori, e la società civile europea rischia una frammentazione senza precedenti. Perchè ormai gli immigrati e le comunità musulmane sono parte costituente della società europea, non saranno certo eliminabili con bandi o misure di stampo repressivo. La vera sfida oggi sta tutta nella capacità di raccordare, nel rispetto delle differenze, di aumentare la conoscenza, l'ascolto, il confronto, di costruire un fronte unico contro la violenza di qualsiasi matrice sia. Una partita che si gioca in Europa, che deve servire anche a smorzare le spinte interventiste e che deve comportare una svolta nella politica estera fin qui adottata anche dal nostro paese.


Per approfondire  tematiche relative all'immigrazione è possibile consultare anche il blog:  www.dirittiefrontiere.blogspot.it a cura del  Professor Fulvio Vassallo Paleologo

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