mercoledì 27 luglio 2016

La solitudine di Donald Trump


La solitudine di Donald Trump



 



“ Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”. Con questa frase, in Ecce Bombo, Nanni Moretti rendeva evidente come certe assenze, in particolari occasioni, possano risultare fragorosamente stridenti.
E probabilmente il pensiero di quei nomi mancanti alla convention repubblicana, dove è stata ufficializzata la sua nomination, avrà dato al neo candidato repubblicano alla Casa Bianca ben piu’ di un’ amara certezza e parecchi spunti di riflessione.

Ebbene sì, colui che del Self-Made ne ha fatto una filosofia di vita (oltre che un’efficacissima campagna pubblicitaria), l’uomo delle inconsapevoli citazioni a Mussolini, degli slogan a sfondo razziale, e del piu’ generico menefreghismo nei confronti dei media, dell’opinione pubblica e del politically correct, non avrà potuto ignorare l’assenza di fondamentali nomi che hanno retto la storia recente dell’elefantino a stelle e strisce. Parliamo chiaramente dei fautori delle due guerre del Golfo, i due presidenti Bush senior e Bush Junior, una famiglia che ha, in un certo senso, aperto la stagione della controversa ( e fallimentare) lotta al terrorismo americana, è vuoto anche il posto di John McCain, repubblicano di ferro, reduce del Vietnam, uscito sconfitto dal confronto con Obama, e mancano anche i suoi rivali diretti che, nonostante gli iniziali sondaggi, sono finiti uno dopo l’altro, sotto lo schiacciasassi demagogico e populista targato Donald Trump.

Malgrado la sicurezza che ostenta, il contraccolpo sull’astro nascente dal parrucchino platinato, sortirà degli effetti. Si può pensare di vincere facendo leva sulle piu’ ataviche e intime paure legate alle diversità, si puo’ pensare di porsi come colui che rigetta il vecchio appellandosi ai piu’ tradizionali valori dell’America rurale, si puo’ cercare di corteggiare l’elettore medio, promettendo un futuro libero dal crimine degli immigrati latini, un futuro in cui la zavorra Europa non dovrà piu’ essere puntellata con l’aiuto dell’esercito e degli onesti contribuenti statunitensi, perché ” Make America Great Again” non è soltanto uno slogan, ma una filosofia, è l’America che rivuole l’ottimismo, la supremazia, l’apparente inviolabilità dei suoi anni ’50.

Ma non si puo’ sperare di vincere senza l’appoggio del proprio partito, quel partito di cui oggi Trump dice di poter fare a meno ma che costituirà inevitabilmente l’ago della bilancia nello scontro con Hillary. La stessa Hillary che al momento attuale ha sanato i suoi dissapori col rivale Sanders,[1] che è riuscito a strapparle forse la vera vittoria cui ambiva: Il voto giovanile, che la Clinton non potrà non tenere in considerazione, e che dovrà dimostrare di sapersi guadagnare, attuando, se non tutte, almeno in parte, le istanze “socialisteggianti” del navigato Sanders.

Da un lato quindi, un partito repubblicano diviso con un candidato che trae sempre piu’ forza ad ogni attentato commesso o rivendicato dall’Isis, costruendo il proverbiale nemico esterno che deve fare da collante, che vuole smantellare l’ObamaCare[2] e considera diritto di ogni vero, libero, e onesto cittadino americano possedere un’arma a scopi di auto difesa.
Dall’altro un partito Democratico che si dimostra inabile nel saper sfruttare mediaticamente le notizie a proprio vantaggio, trasformandole in percentuale di gradimento, una Hillary che non sa veicolare la generalizzata voglia di rinnovamento presente nell’elettorato e che via via viene percepita sempre piu’ come facente parte di un’epoca già chiusa, di un’America troppo permissiva con gli immigrati e troppo sfruttata dagli alleati. Con un Obama che, allo scadere del suo secondo mandato, non è riuscito a spuntarla circa la sua battaglia piu’ importante: La limitazione nella vendita delle armi da fuoco, anzi, sembra proprio che all’ennesima strage, che sia di matrice islamica, o legata al superomismo bianco, il messaggio che filtra è l’opposto di cio’ che si aspetta Barack: Se i diretti interessati fossero stati bene armati tutto cio’ si sarebbe potuto evitare.

In un mondo sfaccettato, in cui le logiche della guerra fredda sono venute meno, in cui il Drago sovietico è stato sconfitto e gli Stati Uniti, passata l’euforia dei primi anni ’90, si sono ritrovati in una fossa piena di serpenti rappresentati dalla Corea del nord ed i suoi rinnovati propositi nucleari, il terrorismo, la destabilizzazione del medio oriente, il ritorno di una Russia col ruolo di potenza regionale[3] in grado di influenzare la politica dei paesi limitrofi e che si oppone apertamente all’allargamento NATO verso oriente[4], e le rinnovate tensioni razziali sul fronte interno, l’amministrazione Obama si è trovata sempre piu’ in difficoltà nello stare al passo durante questi anni. Difficoltà legate al ruolo di unica superpotenza ereditato dagli USA nel 1991.

Ed e’ qui che il businessman Trump è riuscito a ritagliarsi la propria nicchia facendo credere di nuovo realizzabile un’America sicura, risoluta e salda attorno ai valori tradizionali. Un’America di nuovo grande. Un’America che per milioni di contingenze non potrà piu’ tornare, ma questo l’elettore medio lo ignora, o forse no, di sicuro non vuole accettarlo, e preferisce farsi cullare dalle tanto rassicuranti quanto familiari parole dell’ imprenditore deciso, con fiuto per gli affari, magari mentre accarezza la propria pistola nella fondina, perché difendere se stessi e la propria famiglia è un diritto inalienabile di ogni uomo, soprattutto in un’epoca di incertezze come questa.

E Trump è contagioso quando parla della sua America di nuovo grande. Un’America che per essere “great again” deve liberarsi di certi spettri ( e costruire ciclopiche mura difensive a spese dei messicani) [5]

E l’ago della bilancia probabilmente sarà non la percentuale di chi si recherà alle urne questo Novembre, ma i repubblicani della vecchia guardia, la frangia moderata del partito, quella legata alla tradizione neoliberalista che non si arrocca su posizioni nettamente xenofobe e populiste e che, percependo l’uragano Trump come fonte di imbarazzo e danno di immagine, vaglia concretamente la possibilità dell’astensionismo, o in extremis, l’appoggio velato e l’amara concessione di qualche voto alla Clinton.
In ogni caso l’assenza dei “Big” alla convention di Cleveland, e l’appello all’unità del Grand Old Party, da parte della massima carica istituzionale del partito, Paul Ryan, non lascia spazio a molti dubbi: Nell’elefantino la testa e le zampe comunicano male e vorrebbero andare in direzioni diverse. Di sicuro Trump ci darà nuovi spunti per far parlare di sé, speriamo almeno siano un qualcosa di originale e non soltanto un discorso fotocopia preso dal lontano 2008.[6]


Fabrizio Tralongo


NOTE:


[1] http://www.internazionale.it/video/2016/06/08/clinton-nomination-democratica


[2] http://www.ontheissues.org/2016/Donald_Trump_Health_Care.htm


[3] http://www.limesonline.com/cartaceo/a-che-serve-la-russia?prv=true&refresh_ce


[4] https://www.foreignaffairs.com/articles/russia-fsu/2014-08-11/broken-promise


[5] http://www.politifact.com/truth-o-meter/article/2016/jul/26/how-trump-plans-build-wall-along-us-mexico-border/


[6] http://www.usatoday.com/story/news/politics/onpolitics/2016/07/19/melania-trump-republican-convention-speech-plagiarism/87278088/

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