giovedì 30 ottobre 2014

Ebola: il coraggio della verità

#lavoceinternazionale

L'approfondimento settimanale di I.ME.SI.

Ebola: il coraggio della verità

a cura del
Prof. Francesco Scarlata
 Docente di malattie infettive presso l'Università degli studi di Palermo

Come spesso accade in Italia, dall’ampia trattazione di un argomento sui media sfuggono alcuni elementi essenziali alla comprensione della problematica.
Ebola (dal nome di un fiume africano) è un virus dei pipistrelli e delle scimmie africane che si è adattato alla specie umana e può trasmettersi da uomo infetto ad uomo sano attraverso  la contaminazione di cute lesa o di mucose (congiuntivale, orofaringea, genitale) sia lese che integre con  sangue o secrezioni (saliva, feci, urine, fluidi genitali, etc..).In teoria quindi la trasmissione potrebbe essere evitata con l’adozione di grossolane precauzioni e indossando dei semplici guanti.
Purtroppo abbiamo visto come decine di operatori sanitari si siano ammalati pur indossando dispositivi di protezione individuale ben più efficienti, inclusi gli “scafandri” delle infermiere americane che assistevano il paziente deceduto a Dallas.
L’elevata contagiosità dell’Ebola dipende dalla sua alta virulenza (cioè capacità di indurre malattia), così che piccolissime quantità del virus, presente anche su oggetti o alimenti contaminati da secrezioni dell’infetto sono in grado di trasmettere il contagio e la stessa protezione con “scafandri” non esclude la contaminazione durante il processo di svestizione e di discarica dei dispositivi di protezione a perdere.
Inoltre le linee guida internazionali, adottate a metà ottobre anche dal Ministero della Salute italiano, considerano a rischio anche chi, pur senza alcun contatto, si sia avvicinato a meno di un metro ad un paziente con Ebola. E’ lecito pertanto supporre che, malgrado le rassicurazioni sulla non trasmissibilità del virus per via aerogena (cioè inalando con il respiro particelle virali disperse nell’aria sotto forma di aerosol), non vi siano certezze a proposito.
Viene inoltre ripetuto fino alla noia che il virus non si trasmette durante il periodo di incubazione e che pertanto debba essere considerato possibile fonte di contagio soltanto chi inizia ad avere sintomi.
Tuttavia tale asserzione (che d’altra parte non mi risulta ad oggi poggiare su dati virologici significativi) contrasta con quanto è da tempo ben noto nelle altre malattie infettive (dall’influenza alle malattie esantematiche, dalle gastroenteriti alle epatiti) laddove senza dubbio alcuno la maggiore contagiosità si ha nella seconda parte del periodo di incubazione quando una già ampia replicazione microbica non è ancora contrastata dalla produzione di anticorpi.
D’altra parte se l’infetto ancora senza sintomi non può trasmettere il virus, per quale motivo l’efficientissimo servizio sanitario dell’esercito americano mette in quarantena tutti i suoi militari di ritorno dalle aree di epidemia?
Un altro interrogativo che è lecito porsi è quello relativo al livello di rischio Ebola per la Sicilia e all'efficienza delle nostre strutture sanitarie di fronte ad un caso probabile o accertato di infezione.
In atto la possibilità che un paziente con Ebola giunga in Sicilia è di certo un evento molto più improbabile rispetto ad altre regioni italiane od europee che hanno voli diretti o comunque intrattengono rapporti più stretti con le aree di epidemia (Liberia,Sierra Leone,Guinea). Gli stessi immigrati che giungono sulle nostre coste, ancor che la provenienza sia difficilmente tracciabile (mancanza di documenti di identità, false dichiarazioni, etc..), sbarcano dopo un viaggio attraverso il deserto e un soggiorno sulle coste libiche di diverse settimane o mesi, ampiamente superiore ai 21 giorni di massima incubazione.
Bisogna tuttavia ammettere che l’operazione Mare Nostrum (“ servizio informale di taxi sul mare”, come affermato da una Commissione UE) ha portato non soltanto ad un aumento dell’immigrazione clandestina ma anche ad una notevole accelerazione dei tempi della migrazione dall’Africa Nera alle coste nord-africane e da qui in Sicilia per cui non si può escludere che focolai di Ebola possano verificarsi nei campi profughi di quella terra di nessuno che è diventata la Libia e in questo caso la Sicilia diverrebbe da regione europea a bassissimo rischio a ventre molle dell’importazione del virus in Europa in quanto la nostra “frontiera” marittima non potrebbe filtrare i casi come si cerca oggi di fare in ogni parte del mondo con i controlli allo sbarco in porti e aeroporti.
Per quanto riguarda infine l’eventuale isolamento di casi sospetti o accertati (questi ultimi in attesa di essere trasferiti allo Spallanzani di Roma, unico centro deputato alla loro cura) non mi risulta che negli ospedali siciliani vi siano posti letto con i criteri di sicurezza biologica da tempo codificati per le febbri emorragiche virali, alle quali la malattia da virus Ebola appartiene. Ad oggi non sono neppure pervenuti i dispositivi di sicurezza individuale dal cui assemblaggio deriva l’ormai ben nota bardatura dei sanitari predisposti all’assistenza degli ammalati o dei sospetti.

giovedì 23 ottobre 2014

‘Clash of the Titans’

‘Clash of the Titans’

Un articolo di Zbigniew Brzezinski e John J. Mearsheimer tratto da Foreign Policy, No. 146 (January/February 2005)
La Cina è più interessata ai soldi o ai missili? Proveranno gli Stati Uniti a contenere la Cina così come facevano una volta con l'Unione Sovietica? Un faccia a faccia tra Zbigniew Brzezinski e John Mearsheimer su se queste due grandi potenze sono destinate a scontrarsi, prima o poi.


Fate soldi, non la guerra - di Zbigniew Brzezinski 


Oggi, in Asia orientale, la Cina sta crescendo pacificamente finora. Per motivi comprensibili, la Cina nutre risentimento e persino umiliazione per alcuni capitoli della sua storia. Il nazionalismo è una forza importante, e ci sono gravi lamentele riguardanti questioni di politica estera, in particolare Taiwan. Ma il conflitto non è inevitabile e addirittura probabile. La Leadership cinese non è incline a sfidare gli Stati Uniti militarmente, e la sua attenzione rimane posta sullo sviluppo economico e sul guadagnare consenso come grande potenza.
La Cina è preoccupata, e quasi affascinata, dalla traiettoria della propria ascesa. Quando ho incontrato i vertici politici cinesi, non molto tempo fa, quello che mi ha colpito è stata la frequenza con cui mi sono state chieste previsioni circa i prossimi 15 o 20 anni. Non molto tempo fa, il Politburo cinese ha invitato due distinti professori occidentali per una riunione speciale. Il loro compito era quello di analizzare nove grandi potenze dal XV secolo per capire il motivo per cui sorgevano e poi cadevano. E' un esercizio interessante per la Leaderhisp di un paese tanto vasto e complesso.
Questo interesse per l'esperienza delle grandi potenze del passato potrebbe portare alla conclusione che leggi di ferro possono condurre a qualche scontro o conflitto inevitabile. Ma ci sono altre realtà politiche. Nei prossimi cinque anni, la Cina ospiterà diversi eventi che limiteranno la conduzione della sua politica estera. I Giochi Olimpici del 2008 sono l’evento più importante, naturalmente. L’ammontare degli investimenti economici e psicologici nei giochi di Pechino è sbalorditivo. La mia aspettativa è che saranno magnificamente organizzati. E, naturalmente, la Cina intende vincerle le Olimpiadi. 
Una seconda data è il 2010, quando la Cina ospiterà il World Expo di Shanghai. Organizzare con successo questi incontri internazionali è importante per la Cina e suggerisce che una politica estera prudente prevarrà.
Più in generale, la Cina è determinata a sostenere la sua crescita economica. Una politica estera conflittuale potrebbe altrimenti disturbare la crescita, danneggiare centinaia di milioni di cinesi, e minacciare la presa del partito comunista al potere. La Leadership cinese sembra comportarsi razionalmente, e consapevole non solo della crescita della Cina, ma anche della sua continua debolezza.
Ci saranno inevitabili attriti nel momento in cui la Cina proverà ad aumentare il suo ruolo a livello regionale e quando una "sfera di influenza" cinese si svilupperà. Il potere degli Stati Uniti potrebbe affievolirsi gradualmente nei prossimi anni, e il declino inevitabile dell’ influenza giapponese potrebbe aumentare il senso di preminenza a livello regionale della Cina. Ma perché si crei un vero e proprio scontro, la Cina ha bisogno di un apparato militare che sia in grado di competere con quello gli Stati Uniti. A livello strategico, la Cina mantiene una posizione di deterrenza minima. Quarant’anni dopo aver acquisito la tecnologia di armi nucleari, la Cina ha solo 24 missili balistici in grado di colpire gli Stati Uniti. Anche al di là del regno della guerra strategica, un paese deve avere la capacità di raggiungere i propri obiettivi politici prima che possa impegnarsi in una guerra limitata. E 'difficile immaginare come la Cina potrebbe promuovere i suoi obiettivi quando è altamente vulnerabile a un blocco e all’isolamento imposto dagli Stati Uniti. In un conflitto, il commercio marittimo cinese si bloccherebbe. Il flusso di petrolio cesserebbe, e l'economia cinese si paralizzerebbe.
Ho la sensazione che i cinesi sono cauti su Taiwan, malgrado i loro ruggiti. Lo scorso Marzo, una rivista del Partito comunista ha dichiarato che "abbiamo sostanzialmente contenuto la manifesta minaccia dell’indipendenza di Taiwan nel momento in cui [il presidente] Chen [Shuibian] è entrato in carica, evitando uno scenario peggiore e mantenendo lo status di Taiwan come parte della Cina." Un sondaggio dell’opinione pubblica fatto a Pechino, allo stesso tempo ha rilevato che il 58 % pensava che l’intervento militare non era necessario. Solo il 15 % era a favore dell'azione militare per "liberare" Taiwan.
Sicuramente, la stabilità di oggi non assicura la pace di domani. Se la Cina dovesse soccombere alla violenza interna, per esempio, tutte le scommesse sarebbero perse.
Se le tensioni socio-politiche o le disuguaglianze sociali diventassero ingestibili, la Leadership potrebbe essere tentato a sfruttare passioni nazionalistiche. Ma la remota possibilità che questo tipo di catastrofe si verifichi, non indebolisce la mia convinzione che siamo in grado di evitare le conseguenze negative che spesso accompagnano l'ascesa di nuove potenze. La Cina si sta chiaramente assimilando al sistema internazionale. La sua Leadership sembra rendersi conto che il tentativo di far sloggiare gli Stati Uniti sarebbe inutile, e che una cauta estensione dell’ influenza cinese è la strada più sicura per la preminenza globale.

Meglio essere Godzilla che Bambi - By John J. Mearsheimer

La Cina non può crescere pacificamente, e se continua la sua drammatica crescita economica nei prossimi decenni, gli Stati Uniti e la Cina sono propensi a impegnarsi in una intensa competizione riguardante la sicurezza, comportando un notevole rischio per una possibile guerra. La maggior parte dei Paesi vicini alla Cina, tra cui India, Giappone, Singapore, Corea del Sud, Russia e Vietnam, sarebbe lieti di supportare gli Stati Uniti per contenere il potere della Cina.
Per prevedere il futuro in Asia, bisognerebbe disporre di una teoria che spieghi come i poteri in ascesa agirebbero con ogni probabilità e come reagirebbero gli altri Stati. La mia teoria di politica internazionale dice che gli Stati più potenti tentano di stabilire l'egemonia nella propria regione, assicurandosi contemporaneamente che nessuna grande potenza rivale domini un'altra regione. L'obiettivo finale di ogni grande potenza è quello di massimizzare la propria porzione di potere mondiale e infine dominare il sistema.
Il sistema internazionale ha diverse caratteristiche distintive. Gli attori principali sono Stati che operano nell’anarchia - il che significa semplicemente che non vi è alcuna autorità superiore al di sopra di questi. Tutte le grandi potenze hanno una qualche capacità militare offensiva, il che significa che possono farsi male a vicenda. Infine, nessuno Stato può conoscere le intenzioni future di altri Stati con certezza. Il modo migliore per sopravvivere in un tale sistema è quello di essere il più potenti possibile, rispetto a potenziali rivali. Più potente è uno Stato,  meno è probabile che un altro Stato lo attaccherà.
Le grandi potenze non puntano meramente ad essere il potere più forte. Il loro obiettivo finale è quello di essere la potenza egemone - l'unica grande potenza nel sistema. Ma è quasi impossibile per qualunque Stato ottenere l'egemonia globale nel mondo moderno, perché è troppo difficile da mostrare e mantenere. Persino gli Stati Uniti sono un potere egemone a livello regionale, ma non globale. Il risultato migliore a cui uno Stato può aspirare è quello di dominare il proprio cortile di casa.

Gli Stati che ottengono l'egemonia regionale hanno un ulteriore obiettivo: impedire che altre grandi potenze dominino altre aree geografiche. I Paesi che esercitano egemonia su una regione, in altre parole, non vogliono concorrenti. Al contrario, vogliono mantenere altre regioni divise tra diverse grandi potenze in modo da farle entrare in competizione. Nel 1991, poco dopo la fine della Guerra Fredda, la prima amministrazione Bush ha coraggiosamente dichiarato che gli Stati Uniti avevano raggiunto lo status di Stato più potente del mondo e che l’intenzione era quella di mantenerlo. Lo stesso messaggio è stato ripreso nella famosa National Security Strategy rilasciata dalla seconda amministrazione Bush nel settembre 2002. La posizione di questo documento sulla guerra preventiva generò aspre critiche, ma a malapena una parola di protesta ha accolto l'affermazione che gli Stati Uniti dovrebbero controllare l’ascesa di certi poteri e mantenere la propria posizione dominante nel bilancio globale del potere.

La Cina probabilmente cercherà di dominare l'Asia allo stesso modo in cui gli Stati Uniti dominano l'emisfero occidentale. In particolare, la Cina cercherà di massimizzare il divario di potere tra se ei suoi vicini, in particolare il Giappone e la Russia, e per assicurarsi che nessuno Stato in Asia possa minacciarla.
E’ improbabile che la Cina esca di senno e conquisti altri Paesi asiatici. Piuttosto, la Cina vorrà dettare i limiti del comportamento accettabile per i paesi limitrofi, così come gli Stati Uniti fanno nelle Americhe. Una Cina sempre più potente cercherà anche, con ogni probabilità, di spingere gli Stati Uniti fuori dall'Asia, più o meno come gli Stati Uniti hanno spinto le grandi potenze europee fuori dell'emisfero occidentale. Non a caso, guadagnare l'egemonia regionale è probabilmente l'unico modo che la Cina ha per riavere indietro Taiwan.
Perché dovremmo aspettarci che la Cina agisca diversamente dagli agli Stati Uniti? I politici americani, dopo tutto, reagiscono duramente quando altre grandi potenze inviano forze armate nell’emisfero occidentale. Tali forze straniere sono sempre viste come una potenziale minaccia alla sicurezza americana. Sono i cinesi più saggi, più morali, meno nazionalisti, o meno preoccupati per la loro sopravvivenza degli occidentali? Non sono nessuna di queste cose, che è il motivo per cui la Cina rischia di imitare gli Stati Uniti e tenterà di diventare una potenza egemone nella propria regione. La Leadership cinese e la gente ricordano bene quello che è successo nel secolo scorso, quando il Giappone era potente e la Cina era debole. Nel mondo anarchico della politica internazionale, è meglio essere Godzilla che Bambi.
Grazie alla storia è prevedibile come reagirebbero i politici americani se la Cina tentasse di dominare l'Asia. Gli Stati Uniti non tollerano rivali. Come hanno dimostrato nel 20 ° secolo, sono determinati a rimanere l’unico potere egemone regionale del mondo. Pertanto, gli Stati Uniti cercheranno di contenere la Cina e, infine, indebolirla a tal punto da non essere in grado di dominare l'Asia. In sostanza, gli Stati Uniti rischiano di comportarsi nei confronti della Cina così come si comportarono con l'Unione Sovietica durante la Guerra Fredda.

Le testate nucleari cambiano  tutto - Zbigniew Brzezinski risponde:

Come studioso occasionale, sono rimasto colpito dal potere della teoria. Ma la teoria - almeno nelle relazioni internazionali - è essenzialmente retrospettiva. Quando succede qualcosa che non rientra nella teoria, viene rivisitata. E ho il sospetto che accadrà nel rapporto Usa-Cina.
Viviamo in un mondo molto diverso da quello in cui potenze egemoniche potevano andare in guerra senza cancellarsi l’un l'altra come società. L'era nucleare ha modificato le politiche di potenza in un modo che era già evidente nella competizione USA-URSS. L'elusione di un conflitto diretto in quella situazione di stallo deve molto a quelle armi che rendono la totale eliminazione delle società conseguenza dell’escalation dinamica della guerra. A questo proposito, dice qualcosa il fatto che i cinesi non stiano cercando di acquisire le capacità militari per raggiungere gli Stati Uniti.
Il modo in cui si comportano le grandi potenze non è predeterminato. Se i tedeschi e i giapponesi non si fossero comportati così come hanno fatto, i loro regimi potrebbero non essere stati distrutti. La Germania non era tenuta ad adottare la politica che ha adottato nel 1914 (anzi, il cancelliere tedesco Otto von Bismarck ha seguito un percorso molto diverso). I giapponesi nel 1941 avrebbe potuto rivolgere il loro espansionismo verso la Russia, piuttosto che verso la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Da parte sua, la Leadership cinese appare molto più flessibile e sofisticata di molti precedenti aspiranti allo status di grande potenza.

Mostrando la porta agli Stati Uniti - John J. Mearsheimer risponde:

La dicotomia che lei ha sollevato tra la teoria e la realtà politica è importante. La ragione per cui dobbiamo privilegiare la teoria sulla realtà politica è che non possiamo sapere quale sarà la realtà politica se guardiamo ad esempio l'anno 2025. Lei ha detto di aver viaggiato in Cina di recente e parlato con i leader cinesi che le sono sembrati molto più prudenti riguardo  Taiwan. Questo può essere vero, ma è in gran parte irrilevante. La questione chiave è: cosa penseranno riguardo Taiwan i leaders ed il popolo cinese nel 2025?
Non possiamo saperlo saperlo. Quindi, realtà politiche odierne vanno eslcuse dall'equazione, e ciò che conta davvero è la teoria che si impiega per predire il futuro.
Lei sostiene anche che il desiderio della Cina per la continua crescita economica rende il conflitto con gli Stati Uniti improbabile. Una delle principali ragioni per cui la Cina ha avuto tanto successo economico negli ultimi 20 anni è che ha scelto di non scontrarsi con gli Stati Uniti. Ma la stessa logica avrebbe dovuto applicarla nel caso della Germania prima della Prima Guerra Mondiale e in Germania e in Giappone prima della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1939, l'economia tedesca era in forte crescita, ma Hitler iniziò la Seconda Guerra Mondiale. Il Giappone ha dato via al conflitto in Asia, nonostante la sua impressionante crescita economica. Chiaramente, ci sono fattori che a volte sostituiscono le considerazioni economiche e spingono le grandi potenze ad iniziare una guerra - anche quando le danneggia economicamente.
E 'anche vero che la Cina non ha i mezzi militari per competere con gli Stati Uniti. Questo è assolutamente corretto - per ora. Ma ancora una volta, ciò di cui stiamo parlando è la situazione nel 2025 o 2030, quando la Cina avrà un apparato militare tale da raggiungere quello degli Stati Uniti. Cosa succederebbe, poi, quando la Cina avrà un prodotto interno lordo molto più grande e un esercito molto più temibile di quello che ha oggi? La storia delle grandi potenze offre una risposta immediata: la Cina cercherà di spingere gli americani fuori dall'Asia e dominare la regione. E se dovesse riuscirci, sarà la situazione ideale per affrontare Taiwan.

La capacità di resistenza Americana - Zbigniew Brzezinski risponde:

Come può la Cina spingere gli Stati Uniti fuori dell'Asia orientale? O, più acutamente, come può la Cina spingere gli Stati Uniti fuori del Giappone? E se gli Stati Uniti venissero in qualche modo spinti fuori del Giappone o decidessero di abbandonarlo a se stesso, che cosa farebbero i giapponesi? Il Giappone ha un imponente programma militare e, nel giro di pochi mesi, potrebbe avere un significativo deterrente nucleare. Francamente, dubito che la Cina potrebbe spingere gli Stati Uniti fuori dell'Asia. Ma anche se potesse, non credo che vorrebbe subirne le conseguenze: un Giappone potente, nazionalista, e dotato di armi nucleari.
Naturalmente, le tensioni con Taiwan sono il pericolo strategico più preoccupante. Ma qualunque pianificatore militare cinese deve tener conto della probabilità che, anche se la Cina potesse invadere Taiwan, gli Stati Uniti si intrometterebbero nel conflitto. Tale prospettiva vizia qualsiasi calcolo politico che giustifichi un'operazione militare finché e a meno che gli Stati Uniti restino fuori dal quadro. E gli Stati Uniti non saranno fuori del quadro per molto, moltissimo tempo.

Non è uno scenario sereno - John J. Mearsheimer risponde:

Se i cinesi sono intelligenti, sceglieranno di non attaccare Taiwan ora. Non è il momento giusto. Quello che dovrebbero fare è concentrarsi sul costruire la loro economia in modo che diventi più grande di quella statunitense. Poi potranno tradurre quella forza economica in potenza militare e creare una situazione in cui sarebbero in grado di tenere in pugno gli Stati della regione e di dare gli Stati Uniti filo da torcere.
Dal punto di vista della Cina, dominare l'Asia sarebbe l’ideale, e per il Brasile, l'Argentina, o il Messico, sarebbe ideale diventare una grande potenza e costringere gli Stati Uniti a concentrarsi sul proprio territorio. Il grande vantaggio che gli Stati Uniti hanno in questo momento è che nessuno Stato nell'emisfero occidentale può minacciare la sua sopravvivenza o la sicurezza dei suoi interessi. Così gli Stati Uniti sono liberi di vagare per il mondo disturbando le altre persone nei propri cortili di casa. Altri Stati, tra cui la Cina, naturalmente, hanno acquisito interesse nel causare difficoltà nel cortile di casa degli Stati Uniti per concentrare lì l’attenzione. Il quadro che ho dipinto non sereno. Vorrei poter raccontare una storia più ottimista per il futuro, ma la politica internazionale è un business brutto e pericoloso. Neanche tutta la buona volontà del mondo potrebbe migliorare l’intensa concorrenza esistente tra gli Stati in termini di sicurezza che si metterà in moto non appena un aspirante egemone apparirà in Asia.
 
Da Mearsheimer, J. J., and Z. Brzezinski, ‘Clash of the Titans’, Foreign Policy, No. 146 (January/February 2005)

mercoledì 15 ottobre 2014

Consulenza legale: da oggi attivo l'ufficio legale di IMESI

Consulenza legale: da oggi attivo l'Ufficio Legale di I.ME.SI



L' Istituto Mediterraneo di Studi Internazionali (I.ME.SI) garantisce consulenza legale di elevata specializzazione a tutti coloro che necessitano di ricorrere, avverso a sentenze passate in giudicato in campo penale, innanzi alla Corte Europea dei diritti dell'uomo. A tal fine, è possibile prendere contatti informativi con il dottor Messina o in alternativa con il dottor Polizzotto e concordare un appuntamento con l'Ufficio Legale dell'Istituto medesimo.
Per info imesipalermo@gmail.com

venerdì 10 ottobre 2014

Scenari di crisi


"Scenari di crisi"

Tre incontri per riflettere sulle principali crisi internazionali


Un ciclo di seminari per riflettere sulle principali crisi internazionali. L'iniziativa organizzata dall'Istituto Mediterraneo di Studi Internazionali vuole, grazie al supporto di specialisti ed esperti delle discipline internazionalistiche, analizzare da vicino le dinamiche che muovono tre diversi conflitti. Tre incontri pomeridiani per riflettere su un tema specifico. Si parlerà del conflitto arabo-israeliano, della crisi russo-ucraina e dell'avanzata dell'ISIS in Medio Oriente.  A breve, sul blog di I.ME.SI. saranno pubblicate le date degli incontri. 

lunedì 6 ottobre 2014

Fecondazione eterologa: finalmente un' Italia un po’ più “Europea”

#lavoceinternazionale

L'approfondimento settimanale di I.ME.SI.

Fecondazione eterologa: finalmente un' Italia un po’ più “Europea”

A CURA DELL'AVV. GIORGIA ALLEGRA
L'Avvocato Giorgia Allegra
All’indomani della pronuncia della Corte costituzionale sul tema della fecondazione eterologa tutta la comunità scientifica e tutta quella Italia che crede nel progresso e nella ricerca scientifica non può che tirare un sospiro di sollievo: adesso anche le coppie costrette a ricorrere alla donazione dei gameti potranno provare a coronare il sogno di avere un bambino senza dover migrare all’estero.
E già, poiché, fino allo scorso mese di aprile gli italiani rappresentavano la fetta più importante del c.d. “turismo procreativo” in Europa; erano circa 4.000 le coppie che ogni anno si rivolgevano a strutture straniere per accedere a tecniche di fecondazione eterologa, nonostante in Italia vi fossero innumerevoli centri competenti e attrezzati a ricevere questo tipo di richieste e ciò a causa di un divieto ingiusto, discriminatorio e irragionevole posto dall’art. 4 della legge n.40 del 2004 che vietava e puniva severamente l’applicazione delle tecniche di fecondazione eterologa. Sono passati quasi 10 anni da quel giugno del 2005 quando, con un referendum, si provò a cancellare questo assurdo divieto: allora la politica dell’astensionismo vinse la battaglia, oggi  il diritto di autodeterminazione del singolo ha vinto la guerra. 


La procreazione medicalmente assistita è da sempre un tema fortemente controverso e dibattuto poichè mette in gioco considerazioni non solo scientifiche e giuridiche, ma anche e soprattutto etiche e morali, considerazioni che rendono difficilissimo, per non dire utopico, elaborare una regolamentazione che riesca a mettere “d’accordo tutti”…. nonostante ciò, la normativa italiana degli ultimi 10 anni, colma di veti, divieti e sanzioni ha certamente rappresentato un pessimo esempio legislativo.

La legge n.40 del 2004 è, infatti, una normativa che se da un lato si vanta di porre l’accento sulla finalità perseguita tramite le tecniche di riproduzione medicalmente assista, vale a dire quella di favorire la soluzione di problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dall’infertilità (art. 1), dall’altro non fa che prevedere limiti e paletti all’applicazione delle tecniche stesse fino a svilirne la pratica.
Oggi, fortunatamente, la legge sulla procreazione medicalmente assistita, venuta alla luce al seguito di forti scontri politici e portatrice di una visione ancorata al dettato della Chiesa Cattolica è stata letteralmente smontata pezzo per pezzo attraverso molteplici e ripetuti interventi giurisprudenziali.
Nella motivazione della recentissima pronuncia costituzionale, che ha fatto venir meno uno dei paletti più rigorosi posti dal legislatore del 2004, i giudici costituzionali sottolineano come il divieto di fecondazione eterologa (ricordiamo, in cui uno dei gameti, ovocita o spermatozoo, proviene da un donatore esterno alla coppia) sia contrario ad alcuni valori cardine del nostro ordinamento, quali il principio di uguaglianza (art. 3 Cost), la libertà di autodeterminazione dell’individuo, la tutela della famiglia (art. 29 Cost) e il diritto alla salute inteso nella sua accezione più ampia (art.32 Cost).  
E in fondo, bastava anche solo volgere lo sguardo oltralpe per accorgersi dell’arretratezza della normativa italiana rispetto al panorama legislativo offerto dai vicini Paesi europei.
Erano soltanto tre i Paesi che vietavano tout court la fecondazione eterologa: oltre all’Italia, la Lituania e la Turchia.Per il resto, tutti i Paesi di un Europa che cerca costantemente di affermare la sua dignità di Unione di Stati, mostravano la giusta e necessaria apertura verso il futuro della medicina riproduttiva. La procreazione medicalmente assistita costituisce un campo di confronto tra le varie legislazioni nazionali, un confronto spesso “mediato” dagli interventi della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, ma che necessita di una continua divulgazione e conoscenza per consentire una disciplina comune “europea” che, quanto meno, condivida i principi fondamentali regolanti la materia.

Le normative europee sulla PMA sono tutte relativamente recenti, poiché risale soltanto alla metà degli anni ’80 l’inizio del dibattito circa le implicazioni etiche, scientifiche e giuridiche degli avanzamenti della scienza nel settore dell’embriologia umana. Il primo Paese ad adottare una legislazione in materia fu la Svezia nel 1984 e, a seguire, con la rapidissima diffusione mondiale delle tecniche di riproduzione assistita tutta l’Europa provvide a dotarsi di norme ad hoc.
Al giorno d’oggi  si riscontra un diffuso e consolidato “consenso europeo” sulla pratica della fecondazione eterologa, seppur vi siano comunque Paesi che hanno assunto un atteggiamento più liberale ed altri che ancora stentano a riconoscere ampia libertà di azione in questo campo, quali la Germania, l’Austria, la Croazia e la Svizzera che vietano la donazione di ovociti (consentendo, però, quella di spermatozoi), garantiscono l’accesso alle tecniche solo alle coppie eterosessuali e non prevedono l’anonimato a tutela del donatore.

Tra i Paesi più all’avanguardia si possono sicuramente menzionare la Grecia, il Belgio e la Danimarca, paesi nei quali è consentita la donazione di ovociti, spermatozoi ed embrioni (tranne la Danimarca che vieta la donazione di questi ultimi) in forma anonima e con la possibilità di accedere al trattamento da parte di coppie eterosessuali, omosessuali e donne single; ed ancora, la Finlandia, la Gran Bretagna e l’Olanda le cui legislazioni vietano, però, l’anonimato del donatore con la possibilità per il nato di conoscerne l’identità raggiunta l’età indicata dalla legge.
Francia, Repubblica Ceca e Spagna, quest’ultima meta preferita delle coppie italiane costrette a migrare all’estero fino a pochi mesi addietro e capitale europea della riproduzione assistita secondo un’indagine condotta dall’ESHRE (European Society of Human Reproduction and Embriology), garantiscono, invece, l’anonimato del donatore ma prevedono che possano beneficiare delle tecniche eterologhe solo le coppie eterosessuali sposate o conviventi (fatta eccezione per la penisola iberica dove l’accesso è garantito a tutte le donne maggiorenni).

La panoramica europea sopra riportata rende evidente come il mondo della medicina della riproduzione abbia un’evoluzione che viaggia ad una velocità degna dei nostri tempi e, come sia, dunque, doveroso da parte di Paesi che si definiscono “sviluppati” dotarsi di legislazioni nazionali che siano anch’esse flessibili e in rapida evoluzione.
All’indomani della pubblicazione della sentenza n.162 del 2014 della Corte costituzionale che ha tacciato di incostituzionalità il divieto di fecondazione eterologa posto dalla legge n.40/2004, i centri italiani di fecondazione assistita sono stati letteralmente inondati di richieste: l’infertilità è una patologia, così come riconosciuto dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), e come tale va trattata riconoscendo alle 3.400 coppie di pazienti che hanno domandato di accedere alle tecniche la dignità di essere curati come meritano e mettendo a loro disposizione tutte le metodiche ad oggi esistenti.
Il giorno 4 settembre u.s. si è riunita la Conferenza delle Regioni che ha approvato, all’unanimità e con l’ausilio di esperti del settore, i requisiti tecnici cui si dovranno attenere i centri specializzati e che garantirà i pazienti che si sottoporranno alle tecniche eterologhe.
Sono già diverse le regioni che hanno recepito il documento contenente le Linee guida in materia e sono oramai tantissimi i Centri italiani, ed anche siciliani, che si dichiarano pronti a partire, nel rispetto del dettato della Corte costituzionale, al fine di offrire finalmente un’opportunità in più a tutte quelle coppie che desiderano realizzare il sogno di diventare genitori e che, a causa di una legge ingiusta, hanno già aspettato fin troppo tempo. 

venerdì 3 ottobre 2014

Diversamente nati: il «turismo procreativo» è davvero un problema?

#lavoceinternazionale

L'approfondimento settimanale di I.ME.SI.

Diversamente nati: il «turismo procreativo» è davvero un problema?

 a cura di

Matteo M. Winkler, Assistant Professor presso HEC Paris

Il 22 settembre scorso la Cour de Cassation francese ha rilasciato un importante «doppio» parere (nn. G1470006 e J1470007), concernente una prassi sempre più ricorrente in Francia come nel resto d’Europa: il ricorso a procedure di fecondazione medicalmente assistita all’estero (PMA). Volgarmente chiamato, nel dibattito tipicamente povero del nostro Paese, «turismo procreativo».
Il caso dal quale il parere trae origine riguarda una coppia di donne francesi e la loro figlia, nata appunto grazie alla PMA. La compagna della madre biologica chiedeva di poter adottare la bambina, ma questa ipotesi non è espressamente disciplinata in Francia, dal momento che la legge del 17 maggio 2013 sul matrimonio egualitario (Mariage pour tous), che tanto ha fatto discutere, si è limitata a riconoscere l’accesso delle coppie gay e lesbiche al matrimonio e all’adozione, senza spendere nemmeno una parola sulla PMA. Secondo la legge attualmente in vigore, possono quindi sottoporsi a PMA soltanto le coppie di sesso diverso, coniugate, affette da infertilità ovvero soggette al rischio di trasmettere patologie gravi al bambino o alla madre. Secondo alcuni tribunali francesi, quella della PMA all’estero sarebbe una prassi illegale, in quanto volta a stemperare il rigore della legge francese e dunque a scavalcarla.
Oltrepassare i confini nazionali per poi rientrare e domandare diritti che non vengono riconosciuti sul piano interno rappresenterebbe, secondo questa visione, non solo una patente violazione della legge, ma anche un’autentica «frode alla legge» (fraud à la loi).
La Cour de Cassation ha però smentito questa interpretazione: il fatto che le due donne abbiano fatto ricorso alla PMA all’estero, infatti, «non urta alcun principio fondamentale del diritto francese».

Il caso
Il caso in questione, che in Francia ha fatto molto discutere generando reazioni di segno opposto, raccoglie da una parte il dilemma della determinazione dello statuto giuridico delle «nuove famiglie» (ricomposte, omogenitoriali, monogenitoriali), che si stanno aprendo una strada nel travagliato sentiero del diritto di famiglia. Dall’altra parte, sarebbe ipocrita mascherare l’autentica genesi del problema, che risiede nel fatto che, oggi, i confini nazionali presentano una porosità senza precedenti, e che quindi, come scrive Hugues Fulchiron, «il turismo procreativo prospera sulla diversità dei sistemi giuridici che, comunque li si veda, risultano interdipendenti, dai più rigorosi ai più liberali».
Le risposte nazionali appaiono pertanto del tutto insufficienti, ed è ben difficile che gli Stati si accordino su un trattato internazionale in materia, visto l’alto tasso di criticità della materia stessa, che va a toccare nervi sensibili del dibattito pubblico, in bilico tra etica, morale, diritto ed esigenze di vita concreta.

La questione
Per fare un po’ d’ordine, è anzitutto importante considerare che i figli dei procedimenti di PMA non godono, alla luce della maggior parte delle leggi nazionali, di uno statuto giuridico specifico, ma sono vittime innocenti di un sistema ingiusto che discrimina le famiglie da cui provengono. Basti pensare, a tale riguardo, che la PMA è dichiaratamente, in molti Paesi, un rimedio contro l’infertilità, mentre in altri è una tecnica al servizio di un «progetto genitoriale» posto in essere dalla coppia; in altri ancora, essa rappresenta uno strumento finalizzato ad assicurare un diritto individuale alla procreazione.
Dal modo di intendere la PMA e, di conseguenza, dalla disciplina concreta approntata dal legislatore nazionale in materia, dipende il carattere proibitivo o liberale dell’ordinamento di riferimento. In Italia, ad esempio, l’attuale impianto normativo, costituito com’è noto dalla Legge 19 febbraio 2004, n. 40, somiglia ormai, più che a un sistema coerente di regole e principi, a una minuscola forma di gruviera: fatto a pezzi progressivamente dai giudici di merito e dalla Corte costituzionale, da ultimo con la sentenza che ha dichiarato incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa, esso si pone di traverso rispetto a un più generale diritto — del quale non possono che essere titolari tutti, senza distinzioni fondate sul genere o sull’orientamento sessuale — «di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli[, quale] espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi» (Corte cost., 10.6.2014, n. 162, § 6). Il modello scelto dal nostro legislatore, che è uno dei più restrittivi al mondo, non è dunque più in grado di sostenere l’urto dell’onda dei diritti fondamentali.
Ad ogni buon conto, a prescindere dal modello prescelto, una cosa è certa: i figli nati da PMA non possono essere diversi dagli altri bambini, se non altro perchè non è il modo con cui nasciamo a determinare la nostra esistenza futura. La Cassazione francese lo dice forte e chiaro nel suo parere: alla compagna della madre biologica deve essere riconosciuto lo status di madre perché in Francia la filiazione va stabilita «senza alcuna restrizione relativa al modo con cui il bambino è stato concepito». Privilegiare la famiglia cosiddetta «tradizionale», nella quale prevale sempre — e senza pietà — il legame biologico e la discendenza da un rapporto sessuale, magari occasionale, trascura quella che Stefano Rodotà chiama «la famiglia fondata sulla spontaneità degli affetti».

Il ruolo del giurista
Il giurista che si interroghi sul problema dei figli nati da PMA all’estero deve allora fare i conti non solo con un mondo sempre più globale e con un diritto di famiglia sempre più variegato, ma pure con la logica pregnante dei diritti fondamentali, che attribuisce dignità umana anche ai figli nati da tecniche di PMA.
Non solo. Come ha correttamente evidenziato la Corte costituzionale austriaca in una sua importante decisione del 2013, quando si dà la giusta rilevanza al progetto procreativo deve necessariamente concludersi che, senza tale progetto, I bambini nati da PMA non esisterebbero. Coloro che hanno veramente a cuore la tutela degli indifesi non possono semplicemente ignorare questo principio elementare e di civiltà.

Bibliografia recente
­— H. Fulchiron, La lutte contre le tourisme procréatif: vers un instrument de coopération internationale?, in «Journal du droit international», 2014, 563 ss.
— S. Tonolo, La trascrizione degli atti di nascita derivanti da maternità surrogata: ordine pubblico e interesse del minore, in «Rivista italiana di diritto internazionale privato e processuale», 2014, 81 ss.
­— G.O. Cesaro, P. Lovati, G. Mastrangelo (cur.), La famiglia si trasforma. Status familiari costituiti all’estero e loro riconoscimento in Italia, tra ordine pubblico e interesse del minore, Milano, 2014.
— S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Milano, 2012.

martedì 2 settembre 2014

Un’analisi giuridica del caso Marò

LA PAROLA ALL’ESPERTO

La rubrica mensile di IMESI che riporta la voce degli esperti sulle maggiori tematiche di politica internazionale


Un’analisi giuridica del caso Marò

Il Dott. Rosario Fiore, cultore di Diritto pubblico comparato ed assistente della cattedra di Diritto internazionale dell’ex Facoltà di Scienze Politiche di Palermo, spiega i fatti e i punti dolenti della vicenda

In foto il Dott. Rosario Fiore
Il fatto
Nel mese di febbraio del 2012, due fucilieri della marina militare italiana, che si trovavano a bordo della nave petroliera Enrica Lexie, con il compito di proteggerla da attacchi di pirati, hanno sparato contro un peschereccio con a bordo undici pescatori, confondendoli  per pirati, e cagionando la morte di due di essi. Dopo l’incidente, le autorità indiane hanno fermato la petroliera Enrica Lexie, battente bandiera italiana, costringendola ad entrare nel porto di Kochi, dove hanno proceduto al fermo dei due marò per interrogarli e, dopo aver valutato le responsabilità su chi ha sparato, accusarli del reato di omicidio.

La posizione dei due Stati
Secondo le autorità indiane, essendo i fatti avvenuti nel mare territoriale, la giurisdizione esclusiva è dell'India. Per il Governo italiano, invece, i fatti sono accaduti in mare internazionale e pertanto, sia per una antica norma consuetudinaria sia in virtù dell'art. 87 della Convenzione di Montego Bay, la giurisdizione spetta allo stato della bandiera, cioè all'Italia. In ogni caso, sostiene sempre il Governo italiano, in virtù dell'immunità funzionale di cui godrebbero i due fucilieri, l'India non può giudicarli.

Il lato giuridico della vicenda
La questione giuridica ruota intorno all'esistenza di una norma consuetudinaria relativa all'immunità funzionale e all'applicabilità, al caso concreto, dell'art. 87 della CMB.
In ordine a quest'ultimo punto, mi trovo d'accordo con Benedetto Conforti allorquando sostiene che “nel caso di un reato la cui azione è commessa a bordo di una nave straniera ma l’evento si verifica a bordo di un’altra nave e a danno di un cittadino dello Stato al quale tale nave appartiene, quest’ultimo ha due titoli per esercitare la giurisdizione: la nazionalità della vittima e l’evento occorso sulla nave che ha la sua nazionalità. Trattasi di giurisdizione concorrente con quella dello Stato della bandiera o dello Stato nazionale dell’autore del reato, concorrenza che si risolverà di fatto in favore dello Stato nel cui territorio l’autore del reato si trova, Stato che ovviamente sarà libero di consegnarlo ad uno degli altri Stati o avrà l’obbligo della consegna se vincolato da un trattato di estradizione.”
Per quanto attiene poi, all'esistenza o meno di una norma consuetudinaria di diritto internazionale relativa all'immunità funzionale, mi permetto di fare notare che la Corte di Cassazione italiana, Sezione V Penale, il 29 novembre 2012, nella nota vicenda Abu Omar, ha escluso l'esistenza nel diritto internazionale, sia consuetudinario che pattizio, di una norma sull'immunità funzionale.

La soluzione

Ritengo che l'India abbia più di una ragione per potere giudicare i due marò per il reato di omicidio colposo. Successivamente alla definizione del procedimento penale in India, se dovesse essere emessa la condanna, e una volta che la sentenza sia divenuta definitiva, è possibile rendere operativo il Trattato Italia – India sul trasferimento delle persone condannate e chiedere che i marò siano trasferiti in Italia. Tale trattato, adottato con la legge n.183 dell’ottobre 2012, con cui il nostro Paese l’ha ratificato e ne ha dato esecuzione, determina le condizioni per il trasferimento di un individuo condannato in uno dei due Stati per scontare la condanna ricevuta nell’altro Stato. Secondo l’accordo bilaterale italo – indiano, gli organi dello Stato ricevente sono tenuti ad eseguire la condanna rispettando la natura e la durata della pena inflitta dalla sentenza dello Stato trasferente.

Per saperne di più ...
- "Il caso dei fucilieri di marina in India: una 'Caporetto' diplomatica, politica e giudiziaria", di Carlo Curti Gialdino 
- "Diritto internazionale, immunità, giurisdizione concorrente, diritti umani,le questioni aperte nel caso dei Marò e la posizione della corte suprema indiana" di Fabio Licata 
- "I due marò, tutto quello che non vi hanno detto" di Matteo Miavaldi 
- "Il caso di due pescatori indiani e la crisi diplomatica tra Italia ed India" di Francesco Brunello Zanitti