martedì 16 febbraio 2016

Temi e personaggi di un'elezione senza novità apparenti

#Pensatopervoi

La rubrica settimanale con le nostre proposte

Temi e personaggi di un'elezione senza novità apparenti


A circa nove mesi dalla tornata elettorale più importante e significativa del mondo, che decreterà il nuovo inquilino della casa bianca, il clima è già incandescente e l’Europa resta a guardare col fiato sospeso, chi si porrà alla guida della potenza egemone di turno, tirando le fila dei destini dei propri alleati. Alla repentina diminuzione del numero dei competitors si è assistito al moltiplicarsi dei temi caldi da affrontare: si passa dalla riforma del sistema sanitario, al controllo delle armi, dall’immigrazione alle questioni internazionali: la missione in Siria in testa e poi i cambiamenti climatici, i rapporti con Israele all’indomani dell’accordo sul nucleare Iraniano e quelli con la Russia. L’anacronismo di alcune proposte in favore di diritti che in Europa vengono già garantiti, insieme ad un sistema maggioritario secco, culminano con il comune interesse di democratici e repubblicani di mantenere ad ogni costo la leadership statunitense a livello globale, dando quindi agli States una parvenza di immobilismo perenne. Hillary Clinton è sicuramente l’esponente di spicco all’interno del mondo democratico. Ex first lady, ex segretario di stato, da anni all’interno del sistema partitico Americano, si presenta all’elettorato portando avanti la propria esperienza e cercando al contempo di scrollarsi di dosso la fama di donna di potere e politicante membro dell’establishment statunitense. Il suo obiettivo è quello di attrarre i voti della classe media, forte nei sondaggi tra le donne e le famiglie borghesi, risulta essere molto più debole tra i giovani, dove è invece l’avversario Bernie Sanders a farla da padrone. L’ex first lady si trova schiacciata tra l’oscura ombra dei suoi potenti finanziatori, Goldman Sachs e il miliardario George Soros in primis, e la pressione dell’avversario socialista, che spinge il confronto su tematiche marcatamente più liberali. Assicurando di riuscire a smarcarsi dalle richieste dei propri finanziatori, la Clinton ha rivalutato molte delle sue posizioni passate in tema di diritti civili, dichiarandosi ora a favore del matrimonio egualitario e del sistema sanitario previsto dall’Obamacare, e in politica estera avversando la guerra in Iraq e il TTP (scelte entrambe precedentemente sostenute e promosse). Ancora più a sinistra si colloca, all’interno dell’ambiente democratico, Bernie Sanders unico innovatore, seppur parziale, nel panorama politico statunitense. Nulla a che fare con i leader anti-sistema europei o di sinistra radicale, ma comunque un esponente del “socialismo democratico” come da lui stesso dichiarato. Contro la pena di morte, in favore di un aggiornamento dell’Obamacare per un sistema sanitario ed educativo nazionale aperto alle classi meno abbienti, il senatore del Vermont si schiera contro la guerra in Iraq e sostiene un modello incentrato sul paradigma della cooperazione liberale, che prevede interventi esteri quanto più inclusivi possibili e che spronino una maggiore collaborazione degli alleati direttamente coinvolti, come l’Arabia Saudita in Siria, e interventi congiunti contro la Russia. La sua “guerra” alle maggiori banche d’affari americane e la sua difesa dei diritti dei lavoratori nell’ambito del Trans-Pacific Partnership gli sono valsi il sostegno dei giovani, che ai caucus in Iowa lo hanno portato ad un serrato testa a testa contro l’ex first lady (49,6%lui, 49,9% lei)e nel New Hampshire lo hanno addirittura decretato come vincitore, costringendo il terzo candidato Martin O’Malley a ritirarsi. Allo schieramento opposto la competizione, seppur maggiormente ricca di competitors, risulta più morigerata. Malgrado l’alto numero di partecipanti, pochi sono riusciti ad ottenere dei risultati degni di nota ai caucus in Iowa. Primeggia tra tutti Ted Cruz, senatore Texano con una lunghissima esperienza da brillante avvocato tra i più celebri degli stati uniti. Privo della fama del miliardario Donald Trump, del blasonato cognome di Jeb Bush e dell’appeal di Marco Rubbio, risulta comunque essere il candidato maggiormente gradito all’elettorato repubblicano. Ultra conservatore, contro ogni forma di controllo del mercato delle armi e di legalizzazione della marijuana, si è da sempre opposto con fermezza ai matrimoni omosessuali e ad un’ulteriore tassazione dei grandi patrimoni, proponendo un netto taglio alla spesa pubblica e a diverse agenzie governative come il Dipartimento Dell’istruzione e maggiori investimenti del settore privato. Le sue orazioni, molto convincenti dal punto di vista della retorica, ripercorrono il leitmotiv Repubblicano, permeate di un forte patriottismo e presentano numerosi riferimenti religiosi e richiami diretti a Dio. Sul fronte estero si dichiara molto vicino alle posizioni Israeliane, critica Obama per il suo eccessivo interesse nella deposizione di Bashar Al Assad, anteposto al primario interesse di distruzione dell’autoproclamato Stato Islamico, propone l’accoglienza per i soli immigrati cristiani e promuove l’attuazione del TTP in una chiave maggiormente “conservatrice”. Avverso all’establishment Repubblicano, da lui considerato eccessivamente ripiegato su posizioni centriste e corrotto da diversi gruppi di interesse, Cruz vuole riportare l’America ai fasti di un tempo, sulla base di idee ultraliberiste e valori evangelici. Donald Trump invece, dopo aver ammesso con un inaspettato fair play la sconfitta in Iowa, si gode il suo trionfo nel New Hampshire, consapevole che la vera sfida sia riuscire a pescare anche nel bacino elettorale della base del partito. Non molto lontano dalle idee del primo classificato, Trump si caratterizza per uno stile comunicativo molto particolare, ricco di provocazioni e dichiarazioni fortemente xenofobe al limite col razzismo e col giustizialismo, arrivando a considerare anche la tortura come un mezzo necessario. Se da un lato i candidati bianchi e protestanti sembrano non essere più sufficienti per la vittoria dei Repubblicani, a fronte di un elettorato sempre più caratterizzato dalla presenza di minoranze etniche quasi del tutto spostate a sinistra, dall’altro lato la discesa in campo di Marco Rubio di origini cubane e di Ben Carson, afroamericano, (rispettivamente terzo e quarto ai caucus in Iowa) punta invece a raccogliere proprio i delusi da Obama appartenenti alle minoranze etniche del paese. Nessuna certezza invece sulla possibile discesa in campo del magnate dell’editoria Michael Bloomberg. La partita si gioca dunque su dei binari prestabiliti: nessuna reale lotta alle numerose lobbies che assediano il senato, nessuna distinzione reale tra banche popolari e banche commerciali, nessun dietrofront rispetto alle mire espansionistiche in Medioriente o in Ucraina. Sorge quindi naturale chiedersi se, in un contesto del genere, l’elevato astensionismo che da sempre caratterizza le elezioni presidenziali, non sia da attribuirsi ad una mancata percezione dell’incisività del proprio voto e se la libertà di esso, non sia fortemente condizionata dal clamore mediatico esercitato sui candidati col maggior numero di sponsor. Questioni queste a lungo discusse, ma alle quali non si è mai riusciti a trovare una risposta univoca.
Gabriele Tusa

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