venerdì 29 gennaio 2016

Corea del Nord minaccia l'Occidente: possibili soluzioni al disarmo

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Corea del Nord minaccia l'Occidente: possibili soluzioni al disarmo


 “Cominciamo l’anno 2016 – un glorioso e vittorioso anno per la ricorrenza della settima conferenza del Partito dei Lavoratori di Corea – con l’emozionante fragore della prima esplosione della bomba a Idrogeno, cosicchè l’intero pianeta possa guardare alla potenza della nostra repubblica socialista dotata dell’arma atomica e alla grandezza del grande Partito dei Lavoratori di Corea!”. – “15 Dicembre, 2015, Kim Jong Un.”
É con queste parole che il leader nordcoreano augura un felice 2016, contenute nel documento che lo stesso Kim Jong Un rivolge alla sua nazione e in sostanza a tutta l’umanità. Nonostante i poteri mondiali abbiano raggiunto un accordo sul nucleare con l’Iran, la presunta detonazione di una nuova bomba da parte della Corea del Nord rappresenta un clamoroso passo indietro per l’impegno globale volto alla non-proliferazione. Il Consiglio di Sicurezza Onu ha convocato una riunione d’urgenza per condannare Pyongyang e si prepara a rafforzare le già pesanti sanzioni che ad oggi isolano il regime nordcoreano. La Corea del Nord ha già testato per ben tre volte ordigni nucleari dal 2006, subendo risoluzioni ONU e causando indignazione e condanne da parte della Comunità Internazionale. Ma stavolta, nonostante non si abbia ancora la certezza che si trattasse di un ordigno all’idrogeno (comunque di esplosione nucleare si è trattata, e ci vorranno mesi per accertare la presenza d’idrogeno), “la Corea del Nord pone una crescente e diretta minaccia agli Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone” dichiara Bruce Klinger, ex analista della CIA.[1] Gli esperti stimano che Pyongyang al momento possieda dalle 10 alle 16 armi nucleari con una crescita proiettata alle 50 e le 100 unità per il 2020. Combinate con i recenti progressi in ambito balistico-missilistico del paese, la tecnologia farebbe sì che in futuro le principali città dei vicini alleati degli Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone verranno raggiunte. Questo quadro ha la stessa tipologia di destabilizzazione regionale che il mondo ha cercato di evitare ridimensionando il programma iraniano. Nonostante i risultati positivi finora ottenuti con l’accordo iraniano, l’amministrazione Obama viene criticata per avere, nel frattempo, trascurato la minaccia nordcoreana.
Inoltre nel 1994, Stati Uniti e Corea del Nord, tramite la mediazione del ex-presidente Jimmy Carter durante l’amministrazione Clinton, erano vicini ad un accordo di disarmo nucleare del regime nordcoreano in cambio di aiuti economici e riconoscimento diplomatico. Ma successivamente i neoconservatori dell’amministrazione Bush contribuirono a smantellare quest’accordo accusando Pyongyang di possedere materiale nucleare a scopo militare, e collocandolo tra i paesi dell’asse del male insieme a Iran e Iraq. Le convizioni erano che presto la Corea del Nord sarebbe presto crollata da sola a causa delle sanzioni. Cosa che non è avvenuta. Hanno pagato milioni di nordcoreani condannati a morire letteralmente di fame mentre il regime centrale è rimasto stabile fino ad oggi. Ma il fallimento del regime di sanzioni non è soltanto una colpa statunitense. Anche la Cina viene presa in causa, la nazione più vicina e alleata a Pyongyang.
I vertici cinesi hanno dichiarato che si allineeranno all’ulteriore regime di sanzioni Onu e potrebbero anche imporre le proprie sanzioni commerciali. Il test infatti è stato condotto vicino al confine cinese, provocando rilevanti scosse sismiche in varie parti del nordest cinese, facendo evacuare anche scuole. Il ministro degli esteri cinese ha infatti convocato l’ambasciatore nordcoreano a Pechino proprio per palesare la propria opposizione al test, convocando peraltro una squadra di esperti per esaminare l’atmosfera vicino al confine. Tuttavia, la Cina ha una particolare avversione a qualsiasi azione che possa contribuire al crollo del regime di Pyongyang, al cui fianco la Cina ha combattuto durante la guerra di Corea del 1950-53.
Pechino, infatti, teme che un crollo della Corea del Nord possa portare ad un’ondata di profughi seguita da episodi violenti, nella zona di confine. Ed in questa situazione la Cina sarebbe costretta ad agire militarmente per ristabilizzare il Nord. Peraltro, qualora Pyongyang cadesse, la Cina si ritroverebbe l’esercito statunitense ai propri confini, cosa che non accetterebbe mai. La Cina ha sottoscritto le precedenti tornate di sanzioni inflitte dal Consiglio di Sicurezza, e probabilmente le sottoscriverà anche oggi, ma verosimilmente non infliggerà pesanti sanzioni econimiche e commerciali da parte sua tali da indebolire cospicuamente il regime di Pyongyang. Il principale investitore in Corea del Nord è infatti la Repubblica Popolare Cinese, la quale fornisce energia e generi alimentari. Perché Pechino dovrebbe quindi infliggere pesanti sanzioni al regime di Kim Jong Un?
Le esperienze passate peraltro, come durante le sanzioni  degli anni 90, hanno visto mezzo milione di nordcoreani morire di fame a causa delle restrizioni commerciali, ma il regime rimanere stabilmente in piedi, con un programma nucleare in avviamento. La Cina sicuramente ha giocato un ruolo fondamentale anche in passato per tenere in vita il regime di Pyongyang. Complessa sembra anche la situazione della Russia, la quale ha recentemente condannato il test ma ha da poco riallacciato rapporti commerciali con la Corea del Nord. Di diverso avviso sarebbero invece Giappone e Corea del Sud. Il premier giapponese Shinzo Abe ha dichiarato che il test reppresenta “una grave minaccia alla sicurezza nazionale”. Il ministro degli esteri Fumio Kishida chiederà al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di convenire ad un meeting urgente per adottare una nuova risoluzione sulla Corea del Nord. Il Giappone infatti, a partire dal 1° Gennaio 2016 occupa il posto di “membro non permanente” all’interno del Consiglio di Sicurezza ed è, ad oggi, Presidente di turno del Gruppo delle 7 economie mondiali (G7). Per la pozizione che oggi occupa, il Giappone avrà un ruolo preminente nella risoluzione contro il regime di Pyongyang.
La Corea del Sud, tecnicamente in stato di guerra con la Corea de Nord, è in aperta collaborazione militare con gli Stati Uniti, i quali hanno inviato nei giorni scorsi a Seoul due bombardieri stealth B-2 armabili con testate nucleari come dimostrazione di forza. La Corea del Nord ha risposto minacciando un attacco nucleare agli Stati Uniti.
Tuttavia i vertici sudcoreani hanno dichiarato che non considerano al momento il deterrente nucleare nel suo complesso. Gli esperti dicono che diffcilmente gli Stati Uniti reinstalleranno il missile nucleare tattico che hanno rimosso dalla Corea del Sud nel 1991. Ciononostante i vertici militari sudcoreani dichiarano che l’esercito è pronto a rispondere e a punire ulteriori provocazioni del regime nordcoreano. Gli Stati Uniti sono al momento cauti nell’intraprendere azioni militari, poiché la situazione potrebbe precipitare in un inevitabile conflitto tra le due Coree, in cui verrebbero anche coinvolte Cina, Giappone e Stati Uniti.[2] Ma cosa rende così forte e stabile il regime di Kim Jong Un? La Corea del Nord al giorno d’oggi possiede 53 ambasciate a consolati all’estero. Viene riconosciuta da 72 nazioni di cui 34, inclusa la Gran Bretagna, hanno proprie ambasciate a Pyongyang. Le altre mantengono liaison offices nelle nazioni vicine. I rapporti commerciali con Russia e Cina sono tuttora stabili, e attraverso un sistema di purghe il giovane leader nordcoreano è riuscito ad accentrare quasi tutti i poteri nelle sue mani e nel Partito dei Lavoratori. Attraverso il test la Corea del Nord sta percorrendo un sentiero pericoloso ma ben ideato.
Come ogni nazione che ha scelto il nucleare a scopo militare, La Corea del Nord vede questa opzione strategicamente necessaria. Ecco perché decenni di sanzioni e condanne non hanno funzionato. Lo sviluppo di una credibile forza nucleare rappresenta nel lungo periodo, una scelta più economica e vincente per Pyongyang rispetto alla creazione e al mantenimento di numerose e altamente sofisticate forze militari convenzionali che dovrebbero agire da deterrente a un presunto attacco statunitense. La corsa all’arma nucleare nordcoreana è stata condannata da paesi come Stati Uniti, Cina, Russia, Gran Bretagna, Francia e India, i quali ,si stima, posseggano tutti insieme un totale di 15.000 armi nucleari.[3] L’unico paese senza arma nucleare ad avere condannato il test è il Giappone, il quale è l’unico nella storia ad aver subito lo sgancio della bomba atomica nel ’45 ad Hiroshima e Nagasaki. Ma mentre molte nazioni da Oriente a Occidente, convengono a non accettare una Corea del Nord come potenza nucleare, una domanda sorge spontanea: quanto diritto hanno le nazioni nel dire ad altre nazioni cosa fare? Ma più nello specifico, quanta legittimità hanno le potenze nucleari, che non hanno intenzione di ridurre i loro arsenali, nel domandare ad altre nazioni di ridurre i propri? La Corea del Nord naturalmente risponde : nessuna.
E quindi cosa fare? Sicuramente, in primo luogo gli sforzi alla non proliferazione e alla riduzione di armamenti dovrebbero essere comuni a tutti i paesi del mondo. In secondo luogo riguardo la situazione nordcoreana i tre paesi alleati, Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti, dovrebbero offrire alla Corea del Nord in cambio di un processo di de-nuclearizzazione, un trattato di pace che preveda: il riconoscimento diplomatico, l’adesione alle principali organizzazioni internazionali, la fine delle sanzioni economiche, aiuti umanitari, la sospensione di esercitazioni militari unificate e una possibile apertura di una discussione volta al ritiro delle truppe statunitensi. Allo stesso tempo i tre paesi alleti dovrebbero promettere di condividere i costi per la salvaguardia dei nordcoreani, e di ripristino dell’ordine in caso di crollo del regime. Gli Stati Uniti dovrebbero accettare un possibile e temporaneo intervento militare cinese volto a stabilizzare la situazione nel nord del paese, in caso di violenze e squilibri al confine. Seoul dovrebbe accettare e rispettare gli interessi economici cinesi in una possibile futura Corea unificata. Infine Washington dovrebbe accettare di ritirare le proprie truppe in caso di unificazione.Solamente intraprendendo un fitto legame di cooperazione con la Cina si potrà nel lungo periodo arginare il problema di una possibile e reale minaccia di guerra nucleare nel Nord est asiatico.

Danilo Lo Coco


[1] AFP-JIJI, Wahington, “Bomb test is a setback for global arms control”, in “The Japan Times” – 08/01/2016
[2] Cordesman A, Washington-based Center for Strategic and International Studies think tank, in “The Japan Times” – 08/01/2016
[3] Talmadge E., Chol Jin J., “North challenges the nuclear club”, Pyongyang AP, in “The Japan Times” 11/01/2016

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