- EDIZIONE STRAORDINARIA -
L'Iran del dopo elezioni: un paese destinato a cambiare volto o illusione di un sogno mai realizzato?
Da venerdì 26 febbraio l'Iran si tinge di un colore mite: quello della
moderazione. Sembra infatti che il paese
stia respirando l'humus di un cambiamento sul quale la politica iraniana ha
gettato i semi già da diversi anni. E profuma di nuovo anche l'Assemblea degli
Esperti che, nell'obiettivo di rinnovare i suoi candidati, introduce ora la
componente femminile. Secondo quanto riportato da fonti interne e ufficiali
sembrano ammontare già a tredici le donne iraniane elette. Il dato per lo più
fondamentale è che buona parte di tali risultati andrebbero a incidere anche
sul piano dei rapporti internazionali - soprattutto con riguardo alla questione
delle sanzioni imposte al paese per il suo contestato programma nucleare - ,
sul futuro delle libertà personali e sociali dei cittadini iraniani, di
movimento e di espressione, ormai notoriamente monopolizzate dai principali
uomini politici che non permettono nemmeno il più semplice accesso ai social
networks, nonché sull'esito della prigionia di Hasan Karroubi e Mir Hossein
Mousavi, i leader del movimento Onda Verde costretti ai domiciliari dal 2011
per aver protestato contro un apparato legislativo decisamente obsoleto, seppur
in attesa di una liberazione tanto promessa dal Presidente Rouhani. Ma prima di avviare qualsiasi pronostico, può
risultare utile approfondire alcuni concetti - chiave nel quadro delle presenti
elezioni, specialmente in vista di un esito parzialmente definitivo previsto
solo per lunedì.
Il
Majiles, cos'è?
Per quanto rappresenti l'organo del
potere legislativo, il Parlamento iraniano condivide la sua funzione con il Consiglio dei guardiani. Quest'ultimo è
un organo costituzionale composto per metà da teologi e per metà da giuristi ed
ha il compito di vegliare sulla conformità delle norme prodotte dal Parlamento
alla Costituzione e all'Islam. Con riguardo alle elezioni presidenziali, il
Consiglio vaglia la validità delle candidature. Tutto ciò lascia presagire
dunque quale ruolo preponderante occupi all'interno degli automatismi politici
iraniani; e come tale "condivisione delle funzioni" segni, secondo
diversi studiosi, il destino di un'istituzione quasi priva di utilità. Si badi
a non dimenticare, comunque, che il Parlamento deve approvare la nomina e
l'operato dei ministri e che può altresì costringerli alle dimissioni. In altri
termini, può ostacolare (cosa che ha fatto negli ultimi anni) o favorire la
politica del governo dell'attuale presidente. Nelle elezioni correnti, i voti
raccolti durante l'affollamento della popolazione iraniana alle urne sembrano
propendere per la formazione di una compagine moderato - riformista (con buona
pace del fronte conservatore, spalleggiato dall'ayatollah Ali Khamenei, nel
ruolo di Guida Suprema) laddove dei 290 seggi parlamentari 96 sono ormai di
proprietà riformista contro i 91 rimasti ai fondamentalisti. Agli indipendenti
sono andati invece 25 seggi. Tuttavia, per i restanti 52 si dovrà aspettare di
andare al ballottaggio alla fine di aprile.
Non sorprenderà scoprire che il ruolo dei riformisti resta abbastanza
marginale: la vera partita si giocherà tra l'asse Rouhani-Rafsanjani e quello
Khamenei-Pasdaran, dunque tra moderati e conservatori o, per dirla in termini
europei, tra centro e destra. Il centro - sinistra resterà un sogno non
completamente irrealizzabile ma certo ben lontano per un paese ancora confuso
sulla direzione del proprio futuro politico. Prova ne è il fatto che dei
tremila candidati di stampo riformista che hanno fatto domanda - compresi entro
i totali dodicimila, insieme ai rivali dell'area moderata - soltanto 50 sono
sopravvissuti alla scure del Consiglio dei guardiani riuscendo ad ottenere la
"qualificazione". Come se non bastasse, i conservatori partivano già
da una posizione di netto vantaggio grazie ad un maggior numero di candidati
nell'area elettorale, oltre a dichiararsi irremovibili nell'obiettivo di
mantenere la maggioranza in Parlamento così da poter esercitare la loro
superiorità politica anche all'interno dell'Assemblea degli Esperti.
L'Assemblea
degli Esperti, quale ruolo?
Formata da 88 mujtahids (teologi
dell’Islam) nei prossimi otto anni, ovvero la naturale durata del loro incarico,
potrebbe essere chiamata ad eleggere una nuova Guida Suprema. E ne sarebbe ben lieta la popolazione iraniana. Ma
al di là di qualsiasi preferenza politica di massa, sembra vera la malaugurata
notizia che riporta gravi condizioni di salute per la Guida della Rivoluzione
Ali Khamenei.
Il ruolo della Guida Suprema è centrale
in Iran, molto più di quanto lo sia quello
dei presidenti o dei primi ministri di qualsiasi democrazia occidentale,
tanto da rimanere in carica a vita salvo per particolari eccezioni. Fin dalla fondazione della Repubblica
islamica dell'Iran, il paese ha annoverato solo due Guide Supreme, ormai
passate alla storia quasi fossero delle istituzioni: l'Ayatollah Ruhollah
Khomeini e Ali Khamanei, attualmente in carica dal 1989. Ma
cosa succede durante le elezioni del 2016? Quali sono i meccanismi politici e
sociali che scattano e, last but not least, quali saranno le conseguenze del
dopo elezioni sul piano internazionale per l'Iran?
Elezioni
femminili e stop al conservatorismo, le due grandi novità
Attualmente tredici donne risultano
elette nel nuovo Parlamento. Erano circa 500 le candidate su un totale di quasi
cinquemila aspiranti deputati. Per l'Assemblea
degli Esperti invece, il Consiglio dei Guardiani aveva bocciato tutte le domande
presentate da una ventina di religiose. Ma la novità delle quote rosa, nella
Repubblica orientale non proprio avulsa da atteggiamenti sessisti, è talmente
dirompente che il Presidente ha twittato così: "Avete creato una nuova atmosfera con il vostro voto". In una considerazione più generale
Rouhani intende rivolgersi agli elettori iraniani, spiegando come il paese
sembra avviarsi sul sentiero di un rinnovamento senza precedenti: donne che
prendono decisioni in Assemblea, un futuro di riforme per il decimo Majalis,
che sia ora un Parlamento dal volto nuovo e ben lontano dal precedente di
stampo ultraconservatore, e maggiori libertà nel paese per quanto riguarda
l'espressione, non ultimo l'accesso alla rete e la libertà di stampa sembrano
gli ingredienti - base della nuova ricetta iraniana. Rouhani gioisce soprattutto per
l'indiretta umiliazione inferta agli ultraconservatori di cui non dimenticherà
mai gli ostruzionismi ricevuti per tutto l'arco del nono Majalis sulla
questione del programma nucleare, nonostante l'Iran avesse correttamente
adempiuto ai suoi obblighi di responsabilità internazionale. La direzione verso
cui si vuol muovere il Presidente - appoggiato dai cittadini, a ben vedere
dalle stime elettorali - è quella di una maggiore apertura verso l'Occidente al
fine di permettere futuri negoziati e di poter assorbire quei valori di libertà
e democrazia che ancora mancano all'Iran. Inoltre, l'alleanza tra i due primi vincitori
nell'Assemblea degli Esperti, Rafsajani - ex candidato alla corsa per le
presidenziali nel 2013, nonchè noto discepolo dell'Ayatollah Khomeini - e
Rohani, potrebbe dar luogo a degli scenari inediti nel caso si dovesse eleggere
una nuova Guida Suprema, in un'era post-Khamenei. “E’ finito il tempo dello scontro, ora è
il momento della cooperazione”, in questo commento si può riassumere la linea politica che vuole
intraprendere Rafsanjani.
Cos'ha
comportato l'accordo sulla revisione del programma nucleare?
Con l’accordo, l’Iran aveva accettato di
ridurre sensibilmente le sue capacità in campo nucleare fino al punto che oggi
avrebbe bisogno di almeno un anno per ottenere abbastanza materiale radioattivo
con cui costruire un'eventuale bomba atomica. Gli accordi hanno sensibilmente
cambiato lo scenario in quanto, prima di questi, il tempo necessario era di
qualche mese. In cambio, il paese aveva ottenuto un allentamento delle sanzioni
che dal 2006 gli avevano imposto Unione Europea e Stati Uniti. Ma diverse erano le attese sul fronte
della crescita economica iraniana del dopo sanzioni: si pensava che da allora
il paese avrebbe potuto aumentare le sue esportazioni di petrolio e portare ad
una consistente riduzione del greggio, attirare gli altri attori
internazionali, primo fra tutti l'Italia, nel quadro di investimenti di capitali
e altri affari commerciali, oltre ad attirare potenziali viaggiatori
incuriositi dalla scoperta di un paese che è rimasto l' unico visitabile in
quello che è oggi un Medio Oriente in fiamme. Eppure non mancano intellettuali,
sostenitori di diritti umani e oppositori di varia natura che alternano il
ritornello "In Iran cambierà tutto,
in Iran non cambierà nulla". Come dar loro torto, se si considera che
il metodo con cui sono avvenute le elezioni sembra uscito da un'asta
d'antiquariato: il Consiglio dei Guardiani ha posto il veto sulla candidatura
di migliaia di riformisti proprio per evitare che la collaudata rotta politica
dell’Iran potesse essere dirottata. Ciò ha rafforzato il sentimento scetticista
sul possibile rinnovamento iraniano non tanto nei rapporti del paese con
l'estero, quanto più al suo interno dove, in aggiunta alla già poca fiducia
concessa agli effetti degli accordi sul nucleare, serpeggia la convinzione che
andare alle urne sia inutile.
L'Iran
che cambia?
Il motivetto ricorrente circa un presunto
cambiamento dell'Iran trova la sua ragion d'essere in tutte le contraddizioni -
ed eventuali controindicazioni - sopra indicate. Non siamo ancora di fronte a
un paese che ha delle Istituzioni stabili a supporto di un cambiamento e, se
pure questo dovesse verificarsi, sarebbe caratterizzato da una certa
gradualità. Oltre al ristabilimento sul piano politico, l'elettorato è in
attesa di vedersi riconosciuta la piena libertà personale e sociale all'interno
di un territorio che dovrebbe rappresentare "casa". Il riconoscimento delle libertà personali
e sociali deve prescindere da qualsiasi orientamento politico di governo, siano
esse nella forma della pacifica protesta e/o nella possibilità di accedere alla
rete globale come ogni cittadino di qualsiasi Repubblica democratica fa al
giorno d'oggi. La contraddizione per cui tale accesso è negato al comune
cittadino mentre i principali politici, tra i quali anche la Guida Suprema, si
servono dei social networks per impartire direttive è aberrante. Ma l’Iran è
terra di paradossi: raggiunto il 16 gennaio scorso l’Implementation Day
dell’accordo sul nucleare, che sanciva la pace con gli Stati Uniti, l’11
febbraio il paese celebrava il 37° anniversario della costituzione della
Repubblica Islamica ancora con manifestazioni in chiave anti statunitense. La
spiegazione è qui semplice: la legittimità del sistema iraniano si è appoggiata
per più di trent'anni sul confronto con gli Usa, un valido motivo che ha fornito ora una certa
coesione interna a dispetto delle tensioni tra le varie fazioni della stessa
ala. Non esistendo più un nemico comune
esterno, adesso la leadership dovrà concentrarsi sull'impegnativa costruzione
di una unità nazionale.
Tuttavia, non è ancora chiaro chi avrà la
maggioranza più uno dei 290 seggi parlamentari. Molto resterà a lungo incerto
poiché per avere un quadro definitivo, secondo il ministero degli Interni,
bisognerà aspettare lunedì se non addirittura martedì prossimo, quando tutti i
milioni di voti deposti nei 52 mila seggi del paese saranno stati scrutinati
dal Consiglio dei Guardiani. E neanche allora la partita sarà finita, in quanto
in alcuni collegi elettorali per il raggiungimento del quorum, ovvero il 25%
dei voti, sarà necessario andare al ballottaggio, previsto per fine aprile. É abbastanza chiaro come riforme e
cambiamento verso un sistema meno ideologico, ma più trasparente ed efficace,
richiedano tempi lunghi. A ciò dovrà unirsi la pazienza della popolazione
iraniana, benché ormai da tempo depositaria di importanti valori quali
resilienza e speranza.
Giulia Guastella
Fonti:
http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/dopo-le-sanzioni-un-iran-piu-forte-14721
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