lunedì 8 febbraio 2016

La rivolta araba di Giulio Regeni contro l'ipocrisia del faraone

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La rivolta araba di Giulio Regeni contro l'ipocrisia del faraone


"Il Parlamento egiziano è totalmente in mano al potere di Al-Sisi, appoggiato dal più alto numero di poliziotti e militari della storia del Paese, mentre l'Egitto è in coda a tutte le classifiche mondiali per il rispetto della libertà di stampa". 
Con queste parole il ricercatore Giulio Regeni, ritrovato privo di vita al Cairo, denunciava l'attuale politica del Presidente egiziano Al-Sisi e della mancanza di dialogo con le forze dell'opposizione. Regeni non è stato il solo a esprimersi in questi termini, già tempo addietro alcuni report istituzionali di Human Right Watch (HRW) avevano prepotentemente richiamato all'attenzione le istituzioni internazionali di vigilanza affinché prendessero le dovute precauzioni, ma la diplomazia internazionale è rimasta spesso e volentieri sorda di fronte a queste preoccupazioni.

Ma andiamo con ordine. La rivoluzione del 2011 di Piazza Tahrir aveva creato nell'immaginario collettivo egiziano, e non solo, illusioni che una nuova classe politica, costituita per la maggior parte da giovani universitari come i Fratelli Musulmani, potesse prendere in mano un Paese sull'orlo del baratro e creare le condizioni per un nuovo Egitto, da consegnare agli egiziani e alla Comunità Internazionale. Un sogno che ben presto si è dovuto confrontare e poi scontrare con i residui di un sistema ancorato all'apparato militare. Successivamente alla vittoria del partito dei Fratelli Musulmani e la conseguente nomina di Morsi a Presidente, una serie di vicissitudini interne, aggravate dalla crisi economica che aveva impoverito le classi medie e l'idea di limitare il potere militare (rimasto legato al passato), avevano generato conseguenze, forse prevedibili per i più esperti, di cui oggi l'intero sistema ne piange le conseguenze: la creazione di una nuova opposizione, esclusivamente militare, che aveva puntato il dito sulla incapacità di Morsi a porsi come uomo di fiducia per l'Egitto. Così necessitava un ulteriore cambiamento e,  con un colpo militare, il Presidente Morsi venne destituito, i Fratelli Musulmani uscirono di fatto dal sistema decisionale e il capo dell'esercito, Abdel Fattah al-Sisi annunciò la sospensione della Costituzione. Nel 2014 venne proclamato Presidente, vincendo le elezioni con oltre il 90% dei consensi, la cui regolarità è stata messa in dubbio fin dall'inizio. Comincia, cosi, la nuova era del fantasma di Mubarak.

In un sistema democratico il dialogo, la trasparenza e la partecipazione rappresentano i principi insindacabili per la sopravvivenza dello stesso. In Egitto questo tipo di sistema, oggi, non esiste, lo testimoniano tantissime lettere di protesta di HRW, lo testimoniava soprattutto Giulio Regeni. Il facoltoso dottorando della Cambridge University stava portando avanti le sue silenziose, ma non troppo, indagini sul sistema sindacalista del regime. Nelle sue lettere Giulio scriveva che la repressione e cooptazione da parte del regime avevano seriamente indebolito le iniziative di stampo liberale e associativo, al punto che le due maggiori federazioni, la Edlc ed Efitu, non riunivano la loro assemblea generale dal 2013. Accuse limpide, in cui traspariva la delusione verso un sistema che soffocava ogni idea e principio nato dalla rivoluzione araba, per la quale molti suoi coetanei avevano pagato con il sangue il prezzo della libertà. Giulio ripeteva sempre che sfidare lo stato di emergenza e gli appelli alla stabilità e alla pace sociale giustificati dalla "guerra al terrorismo", significa oggi, pur se indirettamente, mettere in discussione la retorica su cui il regime giustifica la sua stessa esistenza e la repressione della società civile. Significava, quindi, sfidare apertamente Al-Sisi. Studiava la natura dei movimenti operai e la fase delicata che stanno attraversando, spiegava attentamente i motivi della loro repressione, vedendo la causa in un sindacalismo filo-governativo troppo oppressivo. Nel 2011 dopo le rivolte di piazza Tahrir, gruppi di sindacati indipendenti e il partito Wasat erano pronti a creare nuove forze politiche, aumentando il tasso di democraticità. Ma questa splendida realtà è stata insabbiata dal golpe militare del 2013. Giulio si stava occupando di tutto questo, un argomento che non dovrebbe risultare scomodo per un Paese che vuole giungere ad una transizione democratica effettiva, ma che realmente lo diviene se questo sistema lo si vuol contrastare in tutti i modi, cosi come Giulio e molti altri attivisti stavano tentando di fare. Il "Foreign Fighters" della primavera araba, non si serviva di cinture esplosive per gridare la sua rabbia, ma di una penna e di una agenda dove scrivere e esprimere il rancore verso i poteri autarchici del sistema di Al-Sisi. Lo denunciava all'Italia e al giornale presso cui scriveva, Il Manifesto, dietro anonimato, proprio per il timore di subire ritorsioni da chi non gradiva il suo modo di esporsi. Però non si è mai preoccupato di ciò, continuando in maniera esemplare ad appoggiare chi sosteneva un Egitto libero, trasparente e democratico.

Il direttore del Centro Egiziano per i Diritti Economici e Sociali (ECESR), l'avvocato e attivista Malek Adly, ha portato a conoscenza un precedente che potrebbe essere molto simile a quello di Regeni: un cittadino croato è stato rapito, torturato e ucciso dalle forze di sicurezza del governo, cosi come un cittadino francese. A ciò si legano anche migliaia di arresti e circa 90 casi di persone scomparse nel nulla. Alcuni sono stati ritrovati nelle carceri del vecchio regime e la maggior parte sono stati identificati come oppositori al regime di Al-Sisi. Molte altre persone sono scomparse tra l'aprile del 2014 e il giugno del 2015, molte delle quali ritrovate morte. Anche il gruppo indipendente Freedom for the brave ha documentato 340 casi di sparizione forzata negli ultimi due mesi. Se due indizi sono una coincidenza, migliaia di sequestri fanno una prova. L'Italia vuole garanzie certe per una soluzione positiva delle indagini e la più assoluta trasparenza, ma innanzitutto dovrebbe rivedere la sua posizione nei confronti dell'Egitto. In gioco non ci sono solamente le relazioni diplomatiche ma anche e soprattutto i rapporti economici. Senza dimenticare che per Al-Sisi l'Italia è un importante partner commerciale, il primo in Europa e il terzo nel Mondo, dopo Cina e USA. Ammettere le proprie responsabilità significherebbe un grande imbarazzo anche di fronte alle imprese italiane che hanno enormi investimenti nel Paese, come ENI che investirà circa 10 miliardi di dollari per lo sfruttamento integrale del giacimento gasiero "Zohr 1", recentemente scoperto nelle acque egiziane. Sicuramente, quella chiarezza che tutti pretendiamo non arriverà mai, però siamo sicuri di una sola cosa: del grande lavoro svolto da Giulio Regeni. Non tutti lo conoscevano, ma la sua morte ha portato a conoscenza tanti fatti che non rimarranno solo carta scritta. Almeno per chi vuole vedere e sentire.

Davide Daidone

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