- EDIZIONE STRAORDINARIA -
Il ruolo della Russia nel conflitto siriano
La
situazione odierna dello scacchiere mediorientale appare giorno dopo giorno
sempre più complicata e continuamente soggetta a cambiamenti. Il conflitto
siriano e la presenza del sedicente Stato Islamico rende sempre più difficili soluzioni poltiche alla stabilità nella
regione. I recenti negoziati sulla Siria, condotti dall’inviato delle Nazioni
Unite, Staffan de Mistura, si sono rivelati fallimentari, dove le parti in
causa si sono accusate a vicenda senza mai arrivare ad un accordo. Il risultato
è stato che, negli ultimi giorni, la città di Aleppo è stata assediata
dall’esercito di Assad, coperto dai raid aerei russi, facendo arretrare
considerevolmente i ribelli. Ad oggi, le forze ribelli, al cui interno sono
presenti formazioni legate ad Al-Qaeda come Jabhat al Nusra, ( differente dallo
Stato Islamico che rimane asserragliato nei territori conquistati tra Siria ed
Iraq ) appaiono considerevolmente isolate e con scarse possibilità di
riprendere la città di Aleppo, fino ad adesso città contesa e simbolo della
resistenza al regime di Assad, e snodo strategico per i collegamenti con la
Turchia, principale alleato delle forze ribelli in campo. La capitolazione di
Aleppo, rappresenterebbe una svolta nel conflitto siriano, a favore di Assad e
dei suoi alleati in campo quali la Russia, l’Iran e le milizie sciite di
Hezbollah.[1] Ma il vero
alleato di cui Assad ha potuto beneficiare, alla luce degli ultimi successi
militari sul campo, è sicuramente Vladimir Putin, il quale agli occhi dell’Occidente
appare oggi come il più interventista nel contrasto allo Stato Islamico in Siria e in Iraq.
La
Russia di Putin, combatte da sempre qualsiasi formazione terroristica di
matrice islamica, per il fatto che, molte di esse sono presenti in alcune
regioni russe, come la Cecenia e il Nord del Caucaso, da dove diversi foreign
fighters hanno arricchito le fila dell’esercito dello Stato Islamico. La Russia
ha anche pagato le conseguenze di questo
interventismo, quando un suo aereo di linea, con a bordo 224 passeggeri,
precipita in territorio egiziano per un’esplosione a bordo, rivendicata dai terroristi dello Stato Islamico della
Provincia del Sinai. La
Russia, comincia i suoi bombardamenti in Siria il 30 Settembre 2015, schierandosi
apertamente col regime di Bashar al Assad, uno dei suoi principali partner
commerciali e strategici e dichiarando guerra alle due forze in campo opposte
ad Assad, ma anche in conflitto fra loro, che sono l’Esercito Libero Siriano (
che al suo interno contiene Jabhat al Nusra ) da una parte, e lo Stato Islamico
dall’altra. Tuttavia,
diversi analisti ed attivisti rivelano che, gli strike aerei russi, hanno
colpito in maniera sproporzionata obiettivi ribelli non jihadisti, allo scopo
di sostenere l’avanzata delle forze di Assad. Il sostegno russo ad oggi si è
infatti rivelato vincente, ma a quale reale scopo? Qualora
la città di Aleppo ricadesse in mano al regime, Putin potrebbe ottenere
numerosi vantaggi. Infatti l’obiettivo principale della coppia Putin-Assad è
quello di riconquistare la più sviluppata e popolata Siria occidentale e
costiera. Questo permetterebbe così a Putin di riottenere le proprie basi, sia
navali che aeree, e ad Assad di controllare la parte occidentale del paese
lasciando agli americani il difficile compito di combattere lo Stato Islamico
ad est, dove è molto più potente. Al momento il piano sta funzionando.[2]
Tuttavia,
per il Cremlino, la Siria è importante ma è parte di un più grande disegno
strategico. Lo scopo ultimo di Vladimir Putin è quello di restituire nuovamente
alla Russia lo status di superpotenza mondiale. La Siria rappresenta parte di
questo disegno. E l’intensificarsi dei raid ad Aleppo contro le forze ribelli
ne sono la prova. Una vittoria ad Aleppo avrebbe inoltre un effetto positivo
per la politica interna in Russia, che oggi fa i conti con la crisi economica che
sta piano piano abbassando gli standard di vita ed erodendo i redditi reali. Appoggiato
e protetto da fedeli media di stato, con
uno stretto controllo del sistema politico e la mancanza di una vera
opposizione, Putin gode di un tasso di gradimento dell’80% della popolazione. La
narrazione della guerra in Siria, portata avanti dai media di stato,
costituirebbe un’utile distrazione per il popolo, rinforzando in esso l’idea di
una Russia tornata nuovamente sul palcoscenico internazionale come grande
potenza, sostituendo le percezioni di ansia sociale con idee di unità e
supporto verso le autorità, sostiene il sondaggista indipendente, Stepan
Goncharov, del Levada Center.[3] Anche se parte
della popolazione percepisce quest’impegno militare come una guerra in un paese
distante che non le appartiene, mettendo a rischio le proprie forze in campo.
Lo scopo di Putin, tuttavia è ben delineato e orientato a conseguire una
vittoria militare considerevole in Siria, al fine di restituirla ad Assad. Da
quando è appoggiato dai russi, il presidente siriano è sempre meno incline a
trattare con i ribelli, e sempre più restio a fare concessioni nei loro
confronti, proprio perché la carta militare si rivella adesso vincente. Lo
dimostra il rinvio dei negoziati sulla Siria a Ginevra che al momento non
mostrano alcun progresso per una soluzione politica al conflitto.
Le
forze ribelli siriane dall’altra parte si sentono invece tradite dai loro
sponsor internazionali. Ed il motivo sarebbe perché al loro interno continuano
ad avere alleanze di comodo con le formazioni qaediste di Jabhat al Nusra e
possibili infilitrazioni dello Stato Islamico. Gli Stati Uniti infatti, sempre
più vicini all’Iran che all’Arabia Saudita, hanno recentemente negato l’invio
di contraerea militare alle formazioni ribelli, per timore che ricadesse nelle
mani dei jihadisti di Al Nusra o dello Stato Islamico. Ed episodi del genere
sono già accaduti, con numerose armi e mezzi militari adesso in dotazione del
califfato. Tuttavia,
nei giorni scorsi, la Turchia, principale alleato dei ribelli anti-Assad e con
una posizione ambigua nei confronti di Daesh, ha annunciato che potrebbe
procedere in tempi imminenti ad una “invasione della Siria”. I dettagli di
questa operazione non sono ancora resi noti, ma sicuramente Erodogan tutto
vuole, tranne che Assad riprenda il controllo dei territori presi
dall’opposizione. Ma se la Turchia, paese Nato, si ritrovasse a combattere contro
le forze di Assad e quindi contro la Russia di Putin, quali sarebbero le
conseguenze? Sicuramente il conflitto si allargherebbe e si sposterebbe sul
fronte Assad/ribelli e il nemico comune che adesso tutti nel mondo dovremmo
combattere, lo Stato Islamico, continuerebbe a risiedere indisturbato nei
territori che già possiede in Siria, con qualche raid statunitense, ma senza un
reale oppositore sul campo. Rimarrebbe aperto soltanto il fronte iracheno, dove
le milizie curde sono adesso ben equipaggiate e appoggiate dai raid della coalizione
a guida USA, le quali recentemente hanno liberato la città yazida di Sinjar,
nel Kurdistan iracheno, e che piano piano avanzano nel nord dell’Iraq.
Per cui
l’unica soluzione al dramma siriano è quella di intavolare una trattativa tra
Assad e i ribelli, al fine di permettere una maggiore coesione per combattere
sul campo, quello che è il nemico di tutti, l’Isis. Appoggiare militarmente una
parte piuttosto che un’altra, sicuramente non aiuta, anzi peggiora la situazione
di un paese che è in guerra da cinque anni e vede milioni di persone scappare e
arrivare alle nostre porte, gridando aiuto. Le
Nazioni Unite stimano che quasi 40,000 nuovi profughi si sarebbero ammassati al
confine siriano con la Turchia, nei giorni scorsi, dopo i bombardamenti di
Aleppo, dove adesso si trovano più di 350,000 civili asseragliati tra raid
russi ed esercito di Assad che punta all’assedio della città. L’inviato Onu per
la Siria, Staffan de Mistura, ha dichiarato che i negoziati non sono terminati,
e che le discussioni tra le parti restano aperte. Proprio per questo i
negoziati riprenderanno il prossimo 25 Febbraio a Ginevra. Molti analisti
ritengono che i negoziati daranno scarsi risultati, anche perché la politica
americana appoggia i negoziati, ma rimane ancora poco attiva. Staremo a vedere
cosa produrranno i prossimi negoziati, considerata la gravità della situazione
mediorientale, riversata nel completo caos, con interessi e alleanze ancora
poco chiari. Ci si auspica almeno, che si possa raggiungere il consenso per un
fronte comune , contro lo Stato Islamico, la vera e reale minaccia per l’Occidente.
Danilo Lo Coco
[1] Balanche F., “The
opposition wanted to make Aleppo and Idlib province the base of a free Syria”, Washington
Institute think tank, 2016
[2] Hoyakem, E. , “Syrian rebels face
collapse amid Russia-led advance”, International Institute for Strategic
Studies, 2016
[3]Goncharov S., “Are russians afraid
of war against Isis?”
http://intersectionproject.eu/article/society/are-russians-afraid-war-isis
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