Terrorismo e disintegrazione mediorientale
Il Medio Oriente
continua ad infiammarsi: procede la lotta su più fronti contro l’IS ma siamo
ancora lontani dalla fine del conflitto. Iraq e Siria sono frammentati e la più
grande sfida del futuro sarà la pacificazione etnico-religiosa della regione.
In difficoltà in casa, l’IS fa sentire i propri colpi di coda altrove: dal
mondo islamico all’Occidente, che si tratti di “lupi solitari” convertiti
all’estremismo o di cellule jihadiste (spesso cresciute e pasciute nelle
metropoli occidentali). Molti in Occidente cadono nella paura dello “scontro di
civiltà” e in Italia tornano di moda gli scritti di Oriana Fallaci.
Parlare di uno “scontro di civiltà” è però sbagliato nonché
funzionale alla propaganda jihadista: più se ne parla più lo si fomenta di
fatto. Lo storico Franco Cardini ci ricorda che l’Islam non conosce autorità di
tipo ecclesiale abilitate a parlare a nome di tutte le comunità islamiche, che
sono di fatto autocefale[i]
ed è bene tenere presente che la maggior parte delle vittime del terrorismo
islamico sono esse stesse musulmane. Massimo Campanini, storico del mondo
islamico, fa notare come la lotta interna “civile” scatenata dalle organizzazioni estremiste e terroriste sia
essenzialmente anti-slamica, proprio perché scatena una “fitna” intesa come
guerra civile tra islamici[ii]. Inoltre – come ho avuto modo di argomentare altrove[iii] – nel subbuglio
mediorientale le questioni geopolitiche e geoenergetiche prevalgono sul pur
influente discorso settario. La partita iraniano-saudita è essenzialmente
geopolitica e spiegazioni di tipo esclusivamente “culturale” non riescono a
mettere in luce le complesse dinamiche regionali e il gioco di alleanze che ne
consegue.
Quale è stato il ruolo dell’Occidente? La
frammentazione politico-religiosa dell’Iraq ha antiche origini ma è stata
certamente ravvivata e fomentata dalla sconsiderata e criminale guerra del
2003. Il rapporto Chilcot ha fermamente condannato l’intervento e l’operato di
Blair (e Bush), mettendo in luce sia i presupposti sbagliati che le conseguenze
prevedibili. Cose note da anni, ma finalmente è possibile leggerle nero su
bianco sulla stampa internazionale. La guerra in Iraq è stata certamente una
catastrofe: ha ravvivato lo scontro interreligioso e settario, ha distrutto un
paese provocando centinaia di migliaia di morti e profughi e ha posto le basi
per la nascita dell’IS. Senza guerra oggi non ci sarebbe il fantomatico “Stato
Islamico”: la storia non si fa con i “se” ma è bene mettere in evidenza le
enormi responsabilità di chi – se non in tribunale – sarà “processato” dagli
storici del futuro.
Non bisogna però cadere nella tentazione di
attribuire all’Occidente tutto ciò che accade da quelle parti. Le responsabilità delle potenze occidentali sono
enormi ma non sono gli unici fattori determinanti. L’estremismo islamico e la
relativa interpretazione ultra-conservatrice della religione sono figli del
fallimento della “Nahda” (il cosiddetto riformismo islamico affermatosi a
partire dal XIX secolo) e del fallimento del nazionalismo panarabo, peraltro osteggiato
in ogni modo dalle potenze occidentali.
Le potenze occidentali – Usa in testa – hanno utilizzato il
jihadismo per i propri fini geostrategici (si pensi alla lotta antisovietica in
Afghanistan, al sostegno ai ribelli libici e siriani; alla sottovalutazione – quando non lo si difendeva espressamente – del
terrorismo ceceno). Esiste però una componente radicale all’interno del mondo
islamico, influenzata dal wahabismo saudita che è tale al di là dell’Occidente,
così come lo stesso Islam Politico in generale. L’IS non è una creazione a tavolino di alcune potenze
(come alcuni sostengono) né oggi una pedina dei sauditi, che lo considerano un
“male minore” e lo tollerano fintanto che tiene impegnati i propri nemici al di
fuori del Regno (preferendogli altri gruppi estremisti più facili da
controllare).
La guerra in Iraq e il supporto all’internazionalismo jihadista
contro la Siria di Assad – che ha visto unite potenze occidentali
e monarchie del Golfo – sono certamente tra le cause primarie
della disintegrazione siro-irachena (un memorandum firmato da 51 diplomatici
statunitensi ha addirittura criticato la politica di Obama contro Assad,
considerata troppo “attendista”![iv]).
Il giornalista Fulvio Scaglione nel suo recente libro dal forte titolo metaforico “Il patto con il diavolo” (Bur, 2016) mette molto bene in luce i rapporti tra potenze occidentali ed Arabia Saudita, dalla quale fondi privati e organizzazioni cosiddette “benefiche” contribuiscono largamente al finanziamento dei gruppi estremisti e terroristi. Ma gli affari sono affari e le potenze occidentali continuano a chiudere un occhio. Come si può pensare però di sconfiggere il terrorismo se non si colpiscono le fonti di finanziamento e se “noi” europei non rivediamo le nostre priorità in Medio Oriente (e non solo)?
Federico La Mattina
[i] Cfr. F. Cardini, Il califfato e l’Europa. Dalle crociate
all’Isis: mille anni di paci e guerre, scambi, alleanze e massacri, Novara,
Utet, 2016, p. 237.
[ii]
http://www.tpi.it/mondo/africa-e-medio-oriente/massimo-campanini-fondamentalismo-islamico-isis
[iii] Cfr. F. La Mattina, Libia, Siria, Ucraina: una critica del
discorso dominante, in “MarxVentuno” 1-2 2016, pp. 137-160.
[iv]
http://www.nytimes.com/2016/06/17/world/middleeast/syria-assad-obama-airstrikes-diplomats-memo.html?_r=0
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