- EDIZIONE STRAORDINARIA -
Il settore manifatturiero fra tradizione e innovazione
A partire
dalla rivoluzione industriale, l'applicazione di nuove tecnologie alla
produzione tessile, al ferro, all'acciaio e ai trasporti determinò per la prima
volta nella storia un incremento costante dei livelli di produttività del
lavoro. Nasce in Gran Bretagna a metà del diciottesimo secolo, poi si diffonde
nell'Europa occidentale e in Nord America. Uomini e donne abbandonarono i campi
per riversarsi nelle città e soddisfare la crescente domanda di manodopera
delle fabbriche.(1) Grazie all'innovazione,
quel processo che Schumpeter chiamava '' distruzione creativa'', finalizzata a
cambiare regole e tecnologiche, viene meno la capacità stessa dell'impresa di
generare utilità e di valorizzare la manodopera e si interrompe lo sviluppo e
l'evoluzione dei mercati. Nonostante l'incombere della competizione globale che
segna un crescente rafforzamento del posizionamento dei paesi di prodotto a
maggior valore aggiunto, il nostro paese è caratterizzato da un sistema
economico a forte strada dell'innovazione '' informale'' più di quella fondata
sulla ricerca scientifica e tecnologica avanzata e appunto formalizzata. Le
migliorie e le modifiche tecniche, di prodotti, di processi preesistenti,
innovazioni organizzative soft, costituiscono quindi, quell'approccio
innovativo, certamente di secondaria importanza sulla competitività,
rinunciando ad alimentare il proprio sviluppo attraverso quell'innovazione che
fa leva sui grandi progetti di ricerca. La quota di
spesa in ricerca e sviluppo a livello nazionale, è ormai ai minimi Europei
essendo pari al 1% del PIL. Tuttavia, il
sistema manifatturiero Italiano ha avuto nuovi stimoli per creare nuovi
prodotti. Le piccole e medie imprese, che nell'affrontare la competizione del
mercato globale anche all'epoca della crisi, hanno incrementato la qualità dei
prodotti; nel 2008 sono state addirittura il 71%. Secondo molti storici del
pensiero economico, in particolare la scuola dei '' Marxisti',' il progresso
tecnologico indebolì il capitalismo industriale. La produttività del lavoro
nelle industrie manifatturiere aumentò rapidamente, rispetto al resto
dell'economia. La stessa o una quantità maggiore di acciaio, automobili e
componenti elettronici poteva essere ormai prodotta con molti meno operai. Fu
così che i lavoratori '' in eccesso'' s'indirizzarono verso le industrie dei
servizi, quali ad esempio, istruzione, sanità, finanza, svago e pubblica
amministrazione. Ciò segnò la nascita dell'economia post-industriale. Pertanto,
l'economia post-industriale scavò un nuovo divario nel mercato del lavoro tra
chi aveva un lavoro stabile, ben pagato e gratificante nel settore dei servizi e
chi aveva un lavoro instabile, mal pagato e frustrante. Il rapporto
proporzionale tra le due realtà, e quindi la misura della disuguaglianza
prodotta dalla transizione post-industriale, era determinato da due fattori: il
livello d'istruzione e di specializzazione della forza lavoro, e il grado
d'istituzionalizzazione dei mercati del lavoro nei servizi ( in aggiunta
all'industria manifatturiera) . (2)Disuguaglianza, esclusione e contrasto
divennero più netti nei paesi in cui le competenze erano distribuite in modo
disomogeneo.
Il ruolo
dell'industria manifatturiera in Europa si è ridimensionato negli ultimi anni.
Più di 3,8 milioni di posti di lavoro sono stati persi nel settore
manifatturiero in Europa dall'inizio della crisi. Bisogna cogliere
l'opportunità per superare il nuovo gap, quello di evolvere le aziende Italiane
e portarle al modello di fabbrica 4.0. Un modello che favorisce l'evoluzione
del manifatturiero e lo rende più competitivo nel mondo del business. Ci
permette di gestire l’intera catena di trasformazione, dall'input a l'output
del prodotto, ci permette di accedere ai desideri dei potenziali consumatori e
di abbattere costi di gestione, superflui per l'azienda.
L'economia mondiale
e il progresso tecnologico si sono accomunati per alterare la natura del lavoro
manifatturiero, in un modo che rende molto difficile, se non impossibile, per i
paesi in via di sviluppo, emulare il processo di industrializzazione delle
quattro tigri asiatiche, o delle economie europee e nordamericana. Tutto ciò
deriva dall'evoluzione storica, dai tempi della colonizzazione e per le
caratteristiche etnocentriche di prevalere su altre culture. Molti paesi in via
di sviluppo, se non la maggior parte, stanno diventando economie di servizi
senza aver prima sviluppato un ampio settore manifatturiero, un processo che
viene definito ''deindustrializzazione prematura'' . Il mondo deve affrontare
una carenza di domanda aggregata, causata da una combinazione di disuguaglianza
e di un'ondata di austerità fiscale. Chi è più agiato economicamente spende
molto meno di chi lo è meno, in modo che mentre il denaro aumenta, la domanda
scende. Il modo in
cui ci guadagniamo da vivere si sta trasformando, per effetto della
globalizzazione economica, nell'ambito dell'organizzazione sociale, quindi la
prospettiva dei paesi in via di sviluppo, si presenta decisamente contrastante.
Le frenate delle economie emergenti, rallentano le esportazioni italiane; a
Ottobre si è registrato un calo dello 0,4% a fronte di importazioni invariate
con un surplus commerciale che mostra un attivo 4,8 miliardi di euro ( + 5,3
miliardi di un anno fa) . Questo è quanto emerge dalle rilevazioni dell'Istat,
secondo cui in dieci mesi le esportazioni registrano un incremento tendenziale
pari a +3,5% in valore e +1,6% in volume con una crescita sostanzialmente
bilanciata tra paesi UE (+3,5%) e paesi extra UE (+3,7%). Le importazioni,
invece, aumentano più in volume (+7%) che in valore (+3,3%) con un attivo che
da inizio anno sale a 34,8 miliardi. Sull'export ha giocato un ruolo
fondamentale il comparto delle auto, così come avviene per la produzione
industriale: l'aumento tendenziale delle esportazioni ha riguardato, in misura
particolare, le vendite di autoveicoli (+ 30,4%), l'export di articoli
sportivi, giochi, strumenti musicali, preziosi, strumenti medici e altri
prodotti (+8,7%) e di computer, apparecchi elettronici e ottici (+8,6%). (3)
Un cauto
ottimismo prevale fra le imprese e i consumatori. Si aspetta che la crescita
del Pil mondiale passi dal 3,5% del 2015, al 3,7% nel 2016. Tuttavia, tensioni
geopolitiche, diminuzione del prezzo del petrolio e fluttuazioni valutarie,
proiettano incertezza. Alle aziende serve un approccio nuovo, improntato
all'agilità, alla multiculturalità, e alla visione tecnologica. Gli
investimenti avviati nell'Unione Europea potrebbero incrementare il Pil
manifatturiero dal 15% al 20% entro il 2030, con effetti moltiplicativi
ulteriori e la possibilità di creare 6 milioni di nuovi posti lavoro. L'export
sia per il nostro paese, che per gli altri può determinare un surplus, funge da
leva per moltiplicare gli effetti benefici di liquidità per il Paese ; avere
una politica aperta garantisce all'imprenditore di poter uscire dalla
stagnazione dell'economia del paese. Ma, tutto ciò può farlo soltanto
abbassando i costi di produzione e gestione, ma non può contare la piccola e
media impresa su sgravi fiscali, nel sistema Italiano per il disavanzo che il
paese possiede.Evoluzioni
tecnologiche, importanti si vedono nella diffusione della robotica e della
stampa in 3D, per cui può arrivare un aumento del giro d'affari di 8,6 miliardi
l'anno, per il manifatturiero Italiano. L'industria manifatturiera, continua ad
essere fondamentale per il sistema imprenditoriale e per l'economia Lombarda in
generale. Alcune delle sue specializzazioni , tra l'altro, sono riconosciute a
livello internazionale, andando così a contribuire alla specificazione del
famoso '' Made in Italy''. Crescita su
tutto lo stivale Italiano, ricerca e cultura d'impresa possono rinsaldare le
basi per un Made in Italy crescente!
Edward Richard Junior Bosco
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