Libia: il difficile cammino verso l'unità
La settimana appena trascorsa vede
importanti sviluppi della situazione politica interna ed esterna della Libia
alla luce del summit avvenuto a Vienna, giorno 18 Maggio 2016, organizzato da
Stati Uniti e Italia, a cui hanno partecipato insieme al nuovo presidente libico
di unità nazionale, Fayez al Sarraj, i
primi ministri di 20 paesi tra cui i membri del Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite e l’Egitto. I delegati hanno sottoscritto una
dichiarazione che riconosce l’operatività del governo di unità nazionale del
premier designato Fayez al Sarraj e apre la strada all'alleggerimento
dell’embargo sulle armi, all'addestramento ed equipaggiamento della Guardia presidenziale
soprattutto in chiave anti-Isis, a una strategia concreta per il contrasto al
traffico di esseri umani.[1] La proposta di “eccezione
all'embargo” ( che quindi rimarrà per altre milizie ) è stata accolta dai
delegati dei 20 paesi più l’ONU, l’UE e l’Unione africana, che hanno aperto
alla richiesta di armare la “Guardia presidenziale” appena creata a Tripoli.[2] La Guardia nei piani di Sarraj non
dovrebbe essere l’embrione di un nuovo esercito nazionale libico. Ma comunque
potrebbe diventare la struttura attorno a cui ricomporre prima o poi le forze
armate nazionali. Fayez Sarraj ha un Consiglio
presidenziale, riconosciuto come “governo di unità nazionale” da parte
dell’ONU, ma i suoi ministri non sono stati ancora votati dal Parlamento,
quindi non sarebbero “legali”. Tuttavia, quello di Sarraj viene considerato
l’unico governo riconosciuto dall’ONU, e quindi la sua richiesta di ricevere
armi in deroga all'embargo Onu è stata accolta positivamente dagli Usa e dagli
altri paesi riuniti a Vienna. Sarraj quindi non richiede un intervento
straniero in Libia, bensì “assistenza con addestramento della Guardia
presidenziale, per combattere lo stato islamico. Il premier libico ha inoltre chiesto
ai suoi 18 ministri di entrare nei ministeri ed iniziare a lavorare anche senza
il voto del parlamento di Tobruk e la mossa è stata approvata dai 20 ministri
degli Esteri, riuniti a Vienna. Nonostante l’importante
riconoscimento da parte delle Nazioni Unite del governo Sarraj, la solidità e
il consenso politico interno alla Libia è tutt'altro che raggiunto. Al fine di
comprendere la frammentarietà della nazione libica e del suo ruolo all'interno
della comunità internazionale, è utile analizzare tre variabili che definiscono
e contraddistinguono la situazione politico-economica della Libia contemporanea:
1) politica interna e formazione del governo Sarraj; 2) nascita e sviluppo
dello Stato Islamico; 3) Interessi petroliferi.
Politica
interna e formazione del governo Sarraj
La Libia, a partire dalla caduta di
Gheddafi, ha visto un complicato percorso di transizione, che ha portato ad una
complessa frammentarietà politica e militare.
Ad oggi, l’accordo politico che vede
Sarraj al comando è abbastanza fragile. I principali centri di potere presenti
in Libia sono essenzialmente quattro:
- Il governo risultante dal processo
politico e conosciuto come Governo di concordia nazionale ( Gna, dall’acronimo inglese “Government
of National Accord” );
- Il “governo di salvezza nazionale dei
filoislamisti di Tripoli”,con la sua forza militare che fa capo alle
milizie della città stato di Misurata.
- Il governo di Tobruk vicino al
generale Haftar e all’Egitto, appoggiato dalle milizie della città di
Zintan.
- Lo Stato Islamico centrato su Sirte,
appoggiato dalle milizie qaidiste di Ansar al-Sharia.
L’accordo
politico libico negoziato dall’Onu e firmato in Marocco a dicembre è basato sui
due “parlamenti” di Tobruk e Tripol, facenti capo rispettivamente al generale
antislamista Halifa Haftar e a un coacervo di milizie antigeddafiane e islamiste. Quest’ultimo punto è molto importate
da comprendere al fine di inquadrare le due principali divisioni in Libia, che
superano la conformazione e l’ostilità di natura tribale che contraddistingue il
popolo libico dagli albori della sua nascita. Le divisioni di oggi, nascono durante
la rivoluzione contro Gheddafi: Gli ex ufficiali e dipendenti del raìs contro
le forze islamiste. Tuttavia, i due parlamenti
praticamente non funzionano più, non è chiara neanche la loro composizione e
politicamente rappresentano solo un terzo circa dell’arco politico libico.[3] Nonostante ciò,
l’accordo Onu è costruito per funzionare solo con il consenso di questi due
parlamenti. Principalmente quello di Tobruk, che dovrebbe garantire la fiducia
del governo di unità nazionale e svolgere
il ruolo di suprema autorità legislativa del paese. Quello di Tobruk, tuttavia
non è mai stato il vero parlamento unitario della Libia, essendo stato eletto
il 25 giugno 2014 senza accordo tra le parti per riconoscerne i risultati. A
partire da quella data, una serie di vicissitudini e dissidi interni, portarono
a una serie di forzature condotte dalle Nazioni Unite, col proprio inviato
Bernardìno Lèon, che agiva anche negli interessi degli Emirati Arabi Uniti,
alleati insieme all’Egitto con il generale Haftar. Tuttavia la Camera di Tobruk non ha
mai approvato veramente l’accordo dell’Onu, a parte un voto in cui astutamente
rigettava solo le clausole ostili ad Haftar. Il nodo rimaneva di dare la
fiducia ai ministri del neo-nato governo di unità nazionale. Così, tra la fine
di febbraio e la prima metà di marzo è maturata un’altra soluzione: accogliere
una lettera firmata da 101 parlamentari come surrogato di un voto di fiducia[4]. Nonostante le
delegazioni libiche si siano rifiutate di riconoscere questo meccanismo, il
Consiglio di Sicurezza dell’Onu, attraverso una dichiarazione, insieme a
statunitensi ed europei riconoscevano il governo di unità nazionale come
governo legittimo della Libia, invitando a rompere ogni legame con i governi di
Tobruk e Tripoli e, anzi, spingendo il primo ministro del governo unitario Fayz
al Sarrag a insediarsi quanto prima nella capitale. Nonostante le forzature, la Camera
dei rappresentanti rimane l’organo centrale dell’accordo che dovrà concordare
molte nomine con il Consiglio di Stato, una rivisitazione del parlamento di
Tripoli. Arrivati a questo punto cruciale, i
paesi occidentali, che probabilmente eviteranno di rinegoziare una nuova intesa
sotto la guida Onu, dovranno andare avanti con una serie di forzature per far
funzionare il nuovo governo libico.
Nascita
e sviluppo dello Stato islamico in Libia
Ad oggi, i rami del califfato nero in
Libia si trovano in tre regioni libiche: uno in Tripolitania, uno in Cirenaica
e uno nel Fezzan. In un anno circa, lo Stato islamico in Libia (Isl) si è
consolidato nella sua capitale de facto nel Nordafrica, Sirte,
plasmandola sul modello di Raqqa e istituendo i suoi tribunali, i suoi uffici amministrativi,
le sue prigioni e la sua polizia.[5] Oggi, lo Stato Islamico in Libia si
trova a dover fronteggiare altre realtà salafite-jihadiste sul terreno, in
quella che è una proiezione dello scenario siro-iracheno, mentre nel paese sono
in corso diverse battaglie su più fronti, in particolare contro le forze
islamiste di “Alba libica” e quelle laiche di Haftar con “l’Operazione
Dignità”, che, da vecchi nemici, sono oggi alleati di fronte al nemico comune:
Isl. La prima rilevante comparsa mediatica
dell'Is in Libia risale al febbraio 2015, quando l’organizzazione diffonde il
video della decapitazione di 21 egiziani copti a Sirte. Tra maggio e giugno
2015, l’Isl conquista Sirte e ne fa la sua roccaforte libica.
Contemporaneamente viene sconfitto nella storica roccaforte jihadista della
Libia: Derna. È stato il fronte libico del jihad
che ha alimentando la propaganda dell’Is contro la nuova “campagna crociata”.
L’esistenza di una strategia elaborata dalla leadership dell’Is per consolidare
la propria presenza in Libia come base per la conquista del Nordafrica è emersa
dopo gli attentati in Tunisia e Libia. Una forte spinta a questa
delocalizzazione è stata data dall'inizio della campagna militare anti-Is
avviata dalla coalizione internazionale arabo-occidentale nell'estate del 2014. Per una serie di fattori il contesto
libico al momento si differenzia dallo scenario siro-iracheno. Ad esempio, in
Iraq, l’ideologia dell’Is ha ricevuto molto sostegno locale grazie al lavoro
svolto dagli ex-ufficiali del partito Ba’t di Saddam Hussein, che fecero leva
sul sentimento antiamericano e sulla frustrazione sunnita nel post-Saddam.
Questo aspetto fondamentale in Libia oggi è meno marcato, anche se l’Is
potrebbe sfruttarvi il risentimento dei falchi del vecchio regime di Gheddafi.[6] Tuttavia, un nuovo scenario
siro-iracheno potrebbe presentarsi qualora venga condotto un’improbabile
intervento militare di terra occidentale , che verrebbe immediatamente
presentato dalla propaganda dell'Is come una nuova crociata contro l’Islam,
attirando così jihadisti da varie parti dell’Africa.
Interessi
petroliferi
La soluzione che i paesi occidentali,
stanno adottando per cercare di individuare una via d’uscita nel labirinto
libico è quella di seguire i soldi: il denaro che viene dalle vendite di
petrolio, la risorsa che tiene insieme quel che resta delle istituzioni
nazionali. È proprio su questo fronte che americani ed europei sono riusciti a
incassare il solo successo netto e strategico nel giorno dell’insediamento del
presidente Fayez al Sarraj a Tripoli. Il blocco occidentale ha impedito che
il governo rivale di Tobruk piazzasse sui mercati internazionali il greggio
estratto nella sua zona; la prima nave cisterna che ha preso il mare si è
fermata a largo di Malta ed è stata costretta a invertire la rotta.[7] Il segretario di Stato John Kerry ha
dichiarato a Vienna, che soltanto un governo unitario può permettere alla
produzione petrolifera di funzionare e che tutta la comunità internazionale
deve sostenere questa posizione. Così in Cirenaica ,rendendosi conto che non
esistevano alternative all'accordo, nei terminal di Marsa el-Hariga-
incastonato nel golfo di Tobruk sono ripresi i carichi delle navi, affidati
però all'organismo internazionale Noc ( National Oil Corporation ). Il controllo del rubinetto
petrolifero è oggi l’arma più importante nelle mani del presidente Sarraj. Con
il monitoraggio totale del Golfo della Sirte ( oggi in parte in mano all’Is )
da parte delle flotte occidentali, il contrabbando di greggio è praticamente impossibile. E senza l’oro
nero la Libia rischia di fermarsi definitivamente: finora infatti l’ente
centrale di Tripoli ha continuato a garantire i fondi per pagare gli stipendi
dei dipendenti pubblici, ossia della maggioranza dei lavoratori delle zone
urbane, ma dalla caduta di Gheddafi la produzione è crollata vertiginosamente.
Adesso con l’apertura del porto di Hariga, la produzione aumenterà, favorendo
gli scambi con i paesi occidentali che con la Noc, hanno contratti di lunga
durata.
Conclusioni
Avendo delineato le tre variabili, è
opportuno fare delle ipotesi sul futuro libico, mettendo anche in chiaro come
Europa e Stati Uniti stanno operando nel contesto libico. L’occidente si sta concentrando sul
contenimento di alcuni mali del paese nordafricano e in cima alla lista ci sono
Stato Islamico e immigrazione. Per la lotta all’Is, la strategia
adottata da Stati Uniti e Francia ( con la Gran Bretagna nell’usuale ruolo di
comprimario ) è la classica “guerra al terrorismo 2.0: droni, raid aerei per
uccidere i leader, forze speciali che stabiliscono rapporti bilaterali con
singoli gruppi armati locali. Tuttavia le dichiarazioni ufficiali occidentali
tendono a tenere separato il piano alla lotta allo Stato Islamico da quello del
lavoro a un processo politico unitario. Il risultato è stato che, sostenendo
militarmente Haftar, le varie milizie si misero in competizione per dimostrare
di essere il partner ideale contro l’Is, al fine di ottenere finanziamenti e
armi da parte dell’Occidente. È chiaro che un processo politico unitario non
possa realizzarsi in un contesto di competizione militare tra le milizie. Nel caso dell’immigrazione, è
possibile che assisteremo ad accordi simili all'ultimo accordo tra l’UE e la
Turchia. L’obiettivo politico rimane quello di “spostare” altrove la presunta
minaccia rappresentata dai migranti, usando fondi e non badando alle infrazioni
umanitarie del partner. La strategia prevede opzioni diverse:
o il presidente Sarraj approva operazioni militari sulle coste, con
l’estensione della fase 3 del mandato dell’operazione europea “Sophia” contro i
trafficanti, oppure gli europei troveranno in alcune municipalità o città stato,
quali sono adesso, tanti leader pronti a cooperare in fatto di lotta al
traffico di esseri umani. Intanto il nostro paese sta
conducendo un lavoro lodevole, riunendo i leader dei principali paesi a Vienna,
e lavorando in prima linea per un processo politico unitario. Nella speranza
che la città di Musurata, il suo unico vero sponsor, si riveli un partner allo
stesso tempo affidabile e in grado di farsi valere sugli altri contendenti.
Inoltre il ministro degli esteri Gentiloni ha dichiarato che adesso è
necessario negoziare col generale Haftar, il quale ha recentemente dichiarato
di non riconoscere il governo Sarraj e quindi di non rispettare la decisione
delle Nazioni Unite. Il generale, infatti, sponsorizzato dall'Egitto e dagli
Emirati Arabi Uniti, vorrebbe un ruolo chiave nel nuovo esercito che Sarraj sta
formando, grazie all'embargo sulle armi concesso a Vienna. In questo sforzo,
l’Italia non troverà molte sponde, visto che gli altri europei sono interessati
solo a trovare dei rimedi immediati ai due mali che restano: Stato Islamico e
migrazioni.
Danilo Lo Coco
[2]
Nigro, V., “Alla Libia le armi dell’Occidente”, in “la Repubblica”,
17-05-2016.
[3]
Toaldo, M., “Il paziente libico è morto (per l’Occidente)”, in “Limes”
n°3/2016, “Bruxelles, il fantasma dell’Europa”, 2016
[4]
Toaldo, M., “Il paziente libico è morto (per l’Occidente)”, in “Limes”
n°3/2016, “Bruxelles, il fantasma dell’Europa”, 2016, p.112
[5]
El Khoury, S., E., B., “Come
lo Stato Islamico è penetrato in Libia”, in “Limes”, 3-2016.
[6] Cilliers, J., “What Happens
in Libya Won’t Stay in Libya”, Institute for Security Studies, 4/3/2016.
[7]
Di Feo, G., “Un’intesa sul petrolio la carta di Europa e Usa per unire le
fazioni”, in “la Repubblica”, 17-05-2016.
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