A ventiquattro anni dalla strage di Capaci: cosa ci ha lasciato Giovanni Falcone
“Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così.
Solo che, quando si tratta di rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare,
vi è un prezzo da pagare, ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce
lamentarsi piuttosto che fare.”
Queste parole non ci suonano poi tanto nuove. Sono le parole di
un uomo che, col suo coraggio, ha fatto della lotta alla mafia la ragione della
sua vita. Una vita stroncata brutalmente nel pieno della sua carriera e della
sua vita amorosa esattamente ventiquattro anni fa, quel 23 maggio del 1992 alle
diciotto del pomeriggio, quando all'altezza del piccolo comune siciliano di
Capaci, cinquecento chili di tritolo hanno fatto saltare in aria l'auto su cui
il giudice viaggiava con la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della
scorta, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani.
Giovanni Falcone credeva fermamente nel fatto che le cose potessero cambiare, a
dispetto di un fenomeno così radicato quale si presentava la mafia dei primi
anni ’90 in Sicilia, seppur ostacolato da una vita notevolmente blindata,
caratterizzata da svariati tentativi di delegittimazione (nel qual caso non
tardavano a subentrare forti amarezze professionali) e dalla lentezza della
politica nel dare ai magistrati tutti gli strumenti necessari per combattere al
meglio la mafia. Nonostante tutto questo e chissà quanti altri disagi che
Falcone ha tenuto per sé, avvezzo com’era a risolversi le beghe da solo, non si
è mai tirato indietro nel portare avanti una passione che lui stesso assicurava
essere a sua volta mossa da un fedele “spirito di servizio”.
La perdita del giudice Falcone - distanziatasi peraltro di pochi
mesi da quella del collega ed amico Paolo Borsellino, anche lui di origini
palermitane, ha lasciato un vuoto non indifferente nelle generazioni a venire.
Ma nella direzione di una soluzione che sembra decisamente più positiva,
tale vuoto si è deciso di colmarlo facendo dell’atteggiamento di Falcone il
bignami di una vita improntata al rispetto e alla promozione della legalità.
Sempre a testimonianza di ciò, il vuoto in questione è riuscito a smuovere le
coscienze non solo dei cittadini italiani ma anche di quelli internazionali che
nell'arco di questi ultimi vent'anni hanno studiato e poi dato voce alla
solenne storia del Maxiprocesso. Il dato interessante è che ciò è potuto
avvenire grazie ad una diffusione che ha operato attraverso canali
istituzionali e non. Non solo la scuola dunque, ma anche il resoconto dei fatti
nella forma seminariale, la pubblicazione e poi diffusione di libri biografici,
la proiezione di alcuni estratti delle stragi all'interno di docufilm
appositamente realizzati e lanciati nei giorni di commemorazione; questi
elementi, uniti al sentimento comune, hanno contribuito a dar eco alla storia
dei due grandi magistrati nell'auspicio che se ne possa ricavare una grande
lezione da trasmettere alle generazioni successive. Se non altro ha collaborato
tantissimo in materia di lotta alla mafia e di promozione della legalità.
Si muove a piedi la civil society
Oggi sono già cinquantamila gli studenti di tutto il Paese che
partecipano alle manifestazioni per il ventiquattresimo anniversario della
strage di Capaci. «Sarà una giornata importantissima, pensiamo che il ricordo
sia il primo passo nella lotta contro la mafia», dice il ministro dell’Istruzione,
Stefania Giannini. Le piazze della legalità - così si è voluto chiamarle quelle
siciliane e non solo, toccate dalla sfilata - sono in diretto collegamento con
l’aula Bunker del carcere Ucciardone già a partire dalle 9.45 di stamattina con
una diretta su Rai Uno. Presenti, oltre al ministro Giannini, il presidente del
Senato Pietro Grasso, i ministri della Giustizia, Andrea Orlando, dell’Interno,
Angelino Alfano, il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone, il
presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi, il procuratore Nazionale
Antimafia, Franco Roberti e il presidente della Fondazione “Giovanni
e Francesca Falcone”, Maria Falcone.
“Palermo chiama Italia” sui social
Ma anche sulle piattaforme social sarà possibile seguire la
manifestazione «Palermo chiama Italia», sui profili @MiurSocial e @23maggioItalia. Gli hashtag della
manifestazione sono #23maggio e #PalermoChiamaItalia. Foto e momenti salienti
degli eventi saranno raccontati su Facebook attraverso gli account Miur Social e Palermo Chiama Italia. Tra Twitter, YouTube
e Facebook sono previsti circa 60mila
contatti e sul profilo del Miur sarà trasmessa, dalle 16, la diretta del corteo
che partirà dall'aula bunker per arrivare sotto casa del giudice Falcone.
Una commemorazione che continua sul
grande schermo
Mentre a ricordare il periodo delle stragi ci pensa già da
qualche giorno la serie tv Romanzo Criminale che staserà aprirà col suo terzo
episodio su canale 5, nelle grandi sale dei cinema italiani un’esclusiva
cinematografica tutta oggi e domani: Era d’estate
è la pellicola di Fiorella Infascelli, una prospettiva inedita che mostra i due
giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, interpretati rispettivamente da Beppe Fiorello e da Massimo Popolizio, durante
il periodo trascorso nell'aula Bunker dell'Asinara.
Giulia
Guastella
La mafia degli anni '90 è una mafia sanguinaria e violenta, già radicata in epoca preunitaria in quanto lo Stato era assente e insensibile ai problemi sociali. A mio avviso, accennare soltanto agli anni '90 è riduttivo, in quanto le motivazioni del suo radicamento, nonchè dell'evoluzione di Cosa Nostra in quanto organizzazione criminale, sono da ricercare nella storia e in quell'area cosiddetta grigia dove i confini tra legale ed illegale si confondono tra loro. Doveroso sarebbe stato accennare al regime del 41 bis, per cui una figura di spicco come il Giudice Falcone si è tanto impegnato affinché si introducesse il carcere duro. Si tratta di temi che buona parte del popolo siciliano sconosce, popolo che parla di mafia e non di antimafia.
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