lunedì 11 gennaio 2016

Diritti civili e movimenti sociali: breve analisi del contesto statunitense

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Diritti civili e movimenti sociali: breve analisi del contesto statunitense

“Proteggere e servire”. In molti tra gli americani hanno perso del tutto la fiducia nei confronti di questo motto e dell’istituzione che rappresenta. Al termine del 2015 uno dei dati che più sconvolge l’opinione pubblica è il numero delle vittime provocate direttamente dalla polizia americana durante gli inseguimenti e gli arresti: secondo il database del Washington Post1 sono state uccise 977 persone, di cui 91 erano disarmate e 32 munite di armi giocattolo.  In questa sede l’interesse non è indagare il fondamento giuridico che determina i casi in cui gli agenti americani abbiano o ritengano di avere il diritto di ricorrere alle armi da fuoco (tra l’altro la legislazione in merito è piuttosto superficiale e lasciata più all’interpretazione soggettiva). Tutt’al più si è preferito analizzare, seppur brevemente, come mai in America, anzi, negli Stati Uniti sia possibile che un poliziotto si trasformi in giudice, giuria e boia tutti insieme (decisamente con scarsa capacità discriminatoria) evitando le lungaggini di un processo equo e giusto. Come mai, cioè, nella “patria delle libertà moderna” sia così semplice calpestare i diritti civili. 

Tutto ciò è innanzitutto sicuramente possibile perché negli ultimi 50 anni è mancata una forte presa di posizione affinché ciò non accadesse, il riferimento non è al ruolo della politica statunitense, ma alla mobilitazione civile e alla militanza sociale quasi assente e sempre discontinua nelle sue forme e manifestazioni negli U.S.A. Il cittadino medio si è assopito e addormentato, soddisfatto di far parte della nazione più importante e potente del mondo, distratto dalla pubblicità e dai beni di consumo, con il sogno americano ancora nel cassetto. Le ultime grandi mobilitazioni sociali si ravvedono negli Stati Uniti, ma anche in Europa, nella prima metà del XX secolo, dove grossi traguardi nel campo dei diritti civili sono stati effettivamente raggiunti. Da quel momento per mantenere la stabilità ed evitare altre crisi sociali interne, una delle strategie adottate da chi ha esercitato il potere (e ancora una volta il riferimento non è solo alla politica tradizionale) è stata quella di creare, attraverso tecniche propagandistiche, una società di consumatori che ritrovasse la propria identità nei beni materiali. «Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata» questa è la frase con cui Marcuse apre il suo “Uomo a una dimensione”, ed è anche la frase con cui viene sintetizzata la sua critica alla società americana degli anni ’60, in cui l’uomo si accontenta di una felicità “minore” (quella materiale) perché comoda e sicura, regalata dall’alto da qualcuno che lo vuole controllare, nascondendo dietro l’agio quelle che sono le “vere” necessità dell’uomo2. La critica di Marcuse è molto forte, in quanto alla fine del suo ragionamento afferma che «la democrazia apparirebbe come il più efficiente sistema di dominazione», ma sicuramente oggi non si può negare che molti degli obiettivi nella vita di un cittadino medio “occidentale” si realizzino con l’acquisto di beni di consumo. Con quanto appena affermato non si vuole certo presumere che tutto taccia negli Stai Uniti e che l’intera popolazione resti a guardare poco interessata a ciò che le succede. Proprio a seguito dei frequentissimi abusi della polizia negli scorsi mesi abbiamo assistito a diverse manifestazioni sostenute in ogni città da una grandissima folla chiedendo giustizia. L’abuso di potere delle forze dell’ordine non è neanche l’unico tema che muove le coscienze negli States: un altro movimento che ha dimostrato grande impegno negli ultimi anni è quello di Occupy Wall Street che contesta in maniera pacifica i soprusi del capitalismo finanziario. Partito da New York nel 2011, il movimento si è diffuso in tantissime città americane e di tutto il mondo.

Il reale problema però risiede nel mancato appoggio e coinvolgimento della fetta più grossa della popolazione statunitense, quella dei lavoratori. Da indagare in questo caso il ruolo dei sindacati che dagli anni ’30 a oggi hanno perso tantissima influenza nell’indirizzare le politiche e l’opinione pubblica dato anche che nell’arco di questi settant’anni la percentuale dei lavoratori iscritti a un sindacato è scesa dal 35% a solo il 7%3. Queste derive sono dovute ad alcune caratteristiche della politica e della società americana.

Primo fra tutti il potere detenuto da grossissimi centri d’interessi privati, che dominano l’economia non solo nazionale e influenzano in maniera decisiva le scelte politiche, questi hanno sempre avuto nei sindacati un “ostacolo” da limitare e minimizzare per poter ottenere la massimizzazione del proprio profitto. Di fatti, grazie anche alle pressioni dei grossi industriali e dei privati, lo Stato ha imposto nel tempo una serie di restrizioni che rendono molto difficile iscriversi a un sindacato (la legge Taft-Harley nel dopoguerra, ad esempio). In più va tenuto conto anche del comportamento degli stessi sindacati, che quando hanno combattuto delle battaglie lo hanno fatto spesso per loro stessi, denotando un atteggiamento votato sempre più al consociativismo4 (le assicurazioni sanitarie negli Stati Uniti sono un lampante esempio di questo atteggiamento, essendo queste garantite per determinati compartimenti professionali). A tutto ciò va in fine aggiunto un particolare che ha caratterizzato la politica americana da più di mezzo secolo, che è riuscito a infiltrarsi pure nella cultura maggioritaria del paese: la lotta al pensiero socialista.

Fin da prima degli anni ’50 in America è iniziata quella che da molti è stata definita come una caccia alle streghe contro coloro i quali venivano considerati “dissidenti”, giustificata dalla paura di una possibile rivoluzione interna in stile cinese, dal consolidarsi dell’egemonia dell’Unione Sovietica e dalla presunta presenza nel paese di spie comuniste. Questo periodo conosciuto da tutti come maccartismo ufficialmente ebbe breve durata, infatti si considera concluso quando una commissione del congresso approvò nel 1954 una mozione di censura contro Joseph McCarthy. In realtà il sospetto rimase vivo per molti decenni durante la Guerra Fredda e quella che prima era diffidenza è diventata indifferenza per quelli che sostenevano opinioni controcorrente, spesso screditati e quasi inascoltati, a volte addirittura tacciati di essere anti-americani. Questo processo ha reso inevitabilmente molto difficile il consolidarsi di forti centri d’opinione “alternativi” in grado di porsi come opposizione a quelli maggioritari generando in molti tra i cittadini U.S.A. una certa passività rispetto allo stato delle cose.
Simone Cacioppo

Note:
1. https://www.washingtonpost.com/graphics/national/police-shootings/
2. Michael Walzer, L’intellettuale Militante
3. S.Greenhouse, Union Membership in U.S.Fell to 70-Year Low Last Year
4. Noam Chomsky, Sistemi di potere

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