#Pensatopervoi
La rubrica settimanale con le nostre proposte
Riyad - Teheran: tra confronto settario e contesa geopolitica
In
Medio Oriente si infiamma lo scontro settario: musulmani sciiti di tutto il
mondo islamico scendono in piazza per protestare contro l’esecuzione dell’imam
sciita Nimr al-Nimr in Arabia Saudita. Il regno saudita ha lanciato un chiaro
segnale agli alleati occidentali (Usa in primis): la partita iraniano-saudita
nel Golfo è la priorità geopolitica per Riyad e non c’è accordo sul nucleare
iraniano che tenga. La strada per la rimozione delle sanzioni contro l’Iran è
ancora aperta così come aperti sono i conflitti che vedono coinvolte le due potenze
regionali: i conflitti siriano e yemenita. In Siria da una parte sono coinvolti
i pasdaran iraniani e gli Hezbollah libanesi in difesa del governo siriano e dall’altra
i ribelli sunniti proxies dell’Arabia
Saudita. L’Arabia Saudita negli ultimi anni – insieme alle altre monarchie del
Golfo – ha infatti scagliato miliziani
jihadisti contro la Siria di Assad (alleata di Teheran), sbocco nel Mediterraneo
per gli iraniani. Casa Saud mal tollera l’asse che unisce Siria, Iran,
Hezbollah e il governo sciita irakeno: in Siria è stata però costretta a fare
un passo indietro a causa dell’intervento russo.
L’Arabia
Saudita non è tuttavia disposta a cedere di un millimetro quando gioca ‘in
casa’, dove rischia di essere scalfita la legittimità stessa del regno
familiare-dinastico. In Bahrein (paese a maggioranza sciita) ha silenziato la
‘primavera’ del 2011 e non ha tollerato la presa del potere dei ribelli Houthi
in Yemen nel 2015, conducendo una pesante operazione militare che ha provocato
fino ad ora migliaia di morti (si parla di un Vietnam saudita); già imbronciata
per l’accordo sul nucleare iraniano, in Yemen ha preteso il silenzio di
Washington. L’imam sciita Nimr al-Nimr (popolare tra la minoranza sciita del
paese) rappresentava una voce dissonante, considerato potenzialmente
destabilizzante per l’immutabile regno saudita. La condanna non va comunque
letta soltanto attraverso la lente dello scontro settario (che ha contribuito
ad infiammare) ma soprattutto in chiave geopolitica: un chiaro messaggio sia
per gli alleati atlantici che per i nemici persiani.
L’alta
tensione iraniano-saudita avrà certamente delle conseguenze nel processo di
pacificazione siriano: l’incontro di Vienna del 30 ottobre ha visto la
partecipazione sia dell’Iran che dell’Arabia Saudita[i]
ma le agende dei diversi attori regionali e globali sono estremamente diverse. Russia
e Arabia Saudita ad esempio non concordano su chi siano i ribelli “moderati” o
estremisti (un raid russo ha ucciso recentemente un leader jihadista sostenuto
da Riyad) e il futuro politico di Assad resta ancora un elemento di contrasto.
Iran e Arabia Saudita saranno verosimilmente restie a (far finta di) parlare
amichevolmente per provare a ‘risolvere’ la questione siriana. Riyad considera
lo stesso IS un male minore rispetto al potenziamento dell’asse sciita e al
ritorno di un Iran legittimato a livello internazionale. Lo stesso Henry
Kissinger in un recente articolo del 16 ottobre ha puntualizzato come gli Stati
del Golfo «insist on the overthrow of Mr. Assad to thwart Shiite Iranian
designs, which they fear more than Islamic State. They seek the
defeat of ISIS while avoiding an Iranian victory»[ii].
Sarà
messa a dura prova anche la strategia statunitense – che alcuni analisti
considerano indirizzata verso un kissingeriano “equilibrio di potenza” – nel
subbuglio mediorientale. La rappresentazione di una lungimirante politica
obamiana volta alla definizione di un “balance of power” mediorientale sembra
però un’espressione ingentilita per rappresentare la strategia americana del divide et impera e della ricerca di uno stalemate
(tramite il ‘doppio contenimento’) che può adottare soltanto chi pretende
di fare da regista arroccato in un altro continente al riparo dalle conseguenze
delle guerre mediorientali. Ma non è facile fare da regista quando i principali
alleati (Arabia Saudita e Turchia) pretendono di giocare anche le proprie
partite ed esiste nuovamente una Russia intenzionata a dire la sua nelle
vicende mediorientali.
Federico La Mattina
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