LA PAROLA ALL’ESPERTO
La rubrica mensile di IMESI che riporta la voce degli esperti sulle maggiori tematiche di politica internazionale
Attentato a Parigi. Facebook e l'anestesia del Corano digitale
a cura di Matteo M. Winkler e Federico Sbandi
Come per gli attacchi di Charlie Hebdo (e più che in
passato se solo si pensa all’11 settembre 2001 quando ancora Facebook non
esisteva), ciò che colpisce nella serie di attacchi che hanno coinvolto Parigi una
settimana fa è la sequenza di ritratti di eventi svoltasi, in parallelo rispetto alla realtà, su tutti i social network. Non saranno sfuggiti agli utenti più accorti le
valanghe di condivisioni, status e conclusioni apodittiche, accompagnate
dall’inaugurazione da parte di Facebook del servizio che consente di far sapere
agli amici che chi viveva a Parigi in quel tragico momento stava bene. Alla
voce confortante di una telefonata abbiamo sostituito un freddo click.
L’attentato a Parigi ci ha insomma ricordato che Facebook
è come Wikipedia. Permette a tutti di contribuire a una comunità collettiva e
interconnessa. La libertà di contribuire si traduce presto in dovere civico. La
sola possibilità di poterlo fare spinge a contribuire anche persone non
competenti. Fin quando l’ignoranza
a-portata-di-click, però, posa il suo occhio pigro verso questioni
secondarie, la comunità può accettarlo. Trasporre in Rete conversazioni da bar non
incide negativamente sulla qualità della vita democratica. Perché si usano
strumenti diversi per fare la stessa cosa, dopotutto.
Il problema sorge quando superficialità e gregarismo
scavalcano il recinto di questioni complesse. Le strade si svuotano a tutto favore delle bacheche. L’abbiamo
visto bene: ci si meraviglia della bellezza della gente che scende in strada in
place de la République o nelle
fiaccolate di paese, ma è una sensazione che molti si limitano a provare dalla
propria scrivania o stravaccati sul divano con un tablet tra le mani. Il
dibattito viene annullato dal cambio della foto profilo su Facebook. E la
bandiera di turno non viene scelta a seguito di una riflessione interiore.
Accade perché il Corano digitale ha suggerito di farlo.
Gli osservatori più attenti faranno notare che l’Occidente ha “scelto” di usare Internet,
mentre la versione della realtà offerta dal Corano digitale viene imposta come
unica. Eppure la possibilità di usare uno strumento si è presto tradotta in
necessità compulsiva. E affermare che l’utilizzo di Facebook sia ancora oggi frutto
di una scelta significa solo una cosa: non appartenere a questa epoca.
Qualcuno potrebbe sostenere la favola secondo cui
esistano anche altri social network, oltre a Facebook. Ad esempio una delle
vittime dell’attacco al teatro Bataclan ha usato Twitter per fornire dettagli
sulla situazione e dirigere i soccorsi verso un luogo preciso dell’edificio,
dove si trovava assieme a molti altri feriti. Ma sotto il profilo statistico i
tempi di permanenza degli utenti parlano chiaro: Facebook è dove l’attentato nasce, cresce e muore. Nasce con le
notizie, cresce con i commenti e muore con le foto profilo. Se per influenza
intendiamo la capacità di guidare le idee e le azioni umane, l’accentramento di
Facebook rende la sua influenza unica nella storia. Mai nessuno si è potuto
rivolgere a così tante persone e in così poco tempo.
L’eco del dramma riecheggia però per massimo una-due
settimane. Basta guardare quanti ancora oggi hanno la bandiera francese nel
proprio profilo. Giusto il tempo di
rimuovere acriticamente l’ennesimo dramma anestetizzato da Facebook. Un
rapido test consente di validare questa stima. Basta domandare agli utenti dal
cambio-di-foto-profilo-facile il senso della bandiera arcobaleno proposta da
Facebook il 26 giugno di quest’anno o la nazionalità del bimbo morto sulla spiaggia turca. Molti non ricorderanno neanche più
che la sede di Charlie Hebdo fosse proprio a Parigi.
L’incerta memoria di questi eventi fa da contraltare
alla risolutezza con cui gli utenti si erano espressi su Facebook solo poco
tempo fa. Sparisce intanto il punto di vista critico, perché non c’è più tempo
per fermarsi a riflettere: bisogna commentare, ora. L’opinionismo massificato diventa la peggiore delle droghe. Spinge
a commentare tutto-e-subito. Ma quando cala l’effetto della dose, e un evento
non riveste più alcuna rilevanza nella propria rete sociale, dell’overdose
digitale non resta più niente.
L’Homepage di Facebook viene inondata di articoli che ipersemplificano
la comprensione della realtà – e indirettamente danno elementi minimi a tutti per commentare. Gli utenti vengono
trattati come quei dodicenni che non sanno collocare la Siria e l’Iraq neanche
sulla mappa, figurarsi in un assetto geopolitico. Tutti scoprono cos’è stato
ieri, dunque possono commentare cos’è stato oggi. Ma nessuno capisce cosa sarà
domani.
Il Corano digitale ha stabilito che se solo tutti
avessero un profilo Facebook non ci sarebbero più guerre nel mondo, in quanto
la connessione conduce alla pace. Interessante a riguardo l’asse Salvini-Fallaci, che
ha palesato per l’ennesima volta quanto invece la connessione sia solo molto
efficace nel diffondere l’odio.
In compenso gli utenti possono assistere e partecipare
a questo spettacolo globale,
comodamente dal proprio divano di casa. Stanno insieme, per non sentirsi soli.
Commentano per avere il centro dell’attenzione e illudersi di riprendere
quell’importanza che il mondo gli ha tolto. Esprimono la loro opinione convinti
di darne una originale, oppure condividono quella di sconosciuti pensando che
sia quest’ultima ad essere tale, anche se a sua volta è null’altro che un collage di frasi prese qua e là nella
Rete.
Gli utenti continueranno a rispondere, quando chiamati
all’attenzione, al loro Corano digitale. Ma alla fine della giostra non
cambierà nulla. I dittatori resteranno
al loro posto. Il gregarismo digitale delle foto profilo non sposterà di
una virgola la coscienza delle persone. La Siria e l’Iraq resteranno al loro
posto nelle mappe geografiche, che piaccia o no a Facebook. E la politica
internazionale continuerà a essere decisa nei palazzi, lontano dai social
network. I cinguettii digitali restano poca cosa rispetto
alle conseguenze di atti tanto scellerati come quelli cui ormai assistiamo ogni
giorno.
Si sospetta che Facebook sia una specie di religione
solo perché lo è davvero. Come tutte le religioni causa anestesia
intellettuale, perché chiede di accettare una visione delle cose senza fare
troppe domande. La vera differenza? L’illusione
di aver scelto.
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