#Pensatopervoi
Gli attriti Nato - Russia si estendono in Medio Oriente
Il golpe di Majdan, l’annessione
della Crimea e la guerra civile ucraina hanno riaperto un mai realmente sopito
scontro Est/Ovest che vede opposte la ‘nuova Nato’ rinvigorita dagli
allargamenti post-89 e la Russia post-eltsiniana rialzatasi dai disastrosi anni
novanta. Il golpe di Majdan scoppia poco tempo dopo l’accordo sull’arsenale
chimico siriano e da allora la Russia è stata impegnata su due fronti. Nel
primo, quello ucraino, Mosca vede messa a rischio la propria sicurezza
nazionale e non mostra particolare apprezzamento verso l’accerchiamento della
Nato: lo scontro tra le regioni ribelli del Donbass e il governo di Kiev va
quindi inscritto in un più grande confronto tra Nato e Russia che qualche
politologo in pieno impazzimento unipolare pensava si fosse concluso,
decretando contemporaneamente la “fine
della storia”. Il secondo fronte, quello siriano, vede in gioco gli interessi
di molte potenze regionali e mondiali in una delle aree più calde del pianeta
segnata da tribalismo, scontri politici, etnici e religiosi. Lungi dal voler
ricondurre il tutto a paradigmi geo-religiosi che restano in superficie, il
conflitto siriano va contestualizzato all’interno della partita
iraniano-saudita nell’area del Golfo Persico/Arabico in un momento di riassetto
degli equilibri globali e regionali. Tra i principali attori, oltre a iraniani,
israeliani e sauditi, ci sono anche la Turchia e un (ultimamente meno)
iperattivo Qatar. Non è più possibile leggere il mondo e gli scenari di crisi
utilizzando la lente della guerra fredda e neanche il ritorno del confronto con
la Russia deve spingerci in questa direzione. La storia – che non si ferma di
fronte alle teleologie – ha deciso di procedere ugualmente: gli equilibri
globali sono in mutamento ed il progressivo
declino della super-potenza statunitense si ripercuote in diversi scenari, non
ultimo il subbuglio mediorientale.
Come leggere la crisi
tra Mosca e Ankara causata dall’abbattimento del jet russo? Da una parte c’è l’aspirante
sultano Erdogan artefice di una rinascita islamista e propugnatore di una
politica neo-ottomana volta a ricostruire l’influenza turca nei territori dell’impero
perduto. Quale occasione più ghiotta di una guerra civile mediorientale?
Dall’altra parte una Russia nuovamente attiva nello scenario mediorientale che
non si identifica nella limitante definizione obamiana di “potenza regionale”:
in Siria la Russia si sta giocando il proprio status di potenza. La crisi
russo-turca minerà certamente le notevoli relazioni tra i due paesi in ambito
economico[i]
come ha preannunciato il primo ministro russo Dmitry Medvedev[ii].
E’ a rischio anche il progetto del “Turkish Stream” (a sua volta figlio della
crisi ucraina), gasdotto che dovrebbe collegare la Russia alla Turchia
attraverso il Mar Nero per poi arrivare in Europa passando per il territorio
greco.
I due paesi in Siria
seguono agende opposte: la Russia sta al fianco del governo e dell’esercito
siriano mentre la Turchia è intenzionata ad estendere la propria influenza nel
nord della Siria e a buttare giù Assad a qualsiasi costo. L’‘ambigua’ politica
turca nei confronti dell’IS si spiega con l’incompatibilità della permanenza di
Assad con i disegni neo-ottomani di Erdogan. Una lotta all’IS che al contempo
legittimi il governo siriano per la Turchia non avrebbe senso ed è per questo
che l’intervento russo ha fatto andare su di giri il leader turco, soprattutto
se in gioco ci sono anche i “fratelli turcomanni”, fazione ribelle attiva nella
Siria nord-occidentale, sostenuta apertamente dalla Turchia. Nella lotta contro
l’esercito siriano, i turcomanni non si sono tirati indietro di fronte a
convergenze sul campo con le formazioni jihadiste attive nell’area; in un’analisi
della BBC si può leggere a tale proposito: «Reports say the brigades work with
other opposition armed groups in the northern Latakia countryside, including
the FSA, the al-Qaeda affiliated Nusra Front and the Islamist Ahrar al-Sham»[iii].
E’ difficile pensare
che l’abbattimento del jet russo sia stato ‘casuale’. Al di là della discussa
presunta violazione dello spazio aereo turco, non si abbatte un aereo di un
paese amico o anche ‘non nemico’ per una violazione di pochi secondi che non
rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale. Se lo si fa è evidente che
si vuole lanciare un forte segnale (geo)politico, consapevoli delle gravissime
ripercussioni che ne seguiranno; d’altra parte la Turchia ha visto svanire il
piano della costituzione di una zona cuscinetto nel nord della Siria sotto il
controllo dei ‘ribelli moderati’ e magari con il supporto di una no-fly zone a danno dagli aerei
dell’esercito siriano. Come fa notare Alberto Negri[iv],
non è forse un caso il fatto che l’aereo russo sia stato abbattuto poco dopo la
visita di Putin a Teheran. Tra gli ‘eredi’ degli storici imperi russo, persiano
e ottomano (caratterizzati nel corso della loro storia da rapporti di rivalità
e competizione) si consolida l’intesa geopolitica russo-iraniana in opposizione
alle aspirazioni di Erdogan che considera intollerabili le ingerenze nella
‘sua’ parte di Siria. Gli analisti si dividono tra coloro che mettono in primo
piano il ruolo attivo indiretto della Nato (e quindi degli Usa) a cui la
Turchia avrebbe reso un favore[v] e
coloro che invece attribuiscono l’azione di Ankara ad una maggiore autonomia
decisionale della Turchia, interessata a far peggiorare i rapporti tra Nato e Russia[vi].
La risposta russa è
stata decisa ma controllata, evitando di fomentare una pericolosa escalation
militare con una potenza regionale, componente fondamentale della Nato. La
Russia però sta rafforzando notevolmente la presenza militare con il
posizionamento dell’incrociatore Moskva lungo
le coste siriane e con lo schieramento dell’avanzatissimo sistema antiaereo
S-400, suscitando l’apprensione degli USA.
Non sono facilmente prevedibili
i risvolti che la crisi tra Russia e Turchia avrà nella formazione della
coalizione anti-Isis e in particolare nella recente inedita intesa
russo-francese. E’ certo che l’abbattimento del Su-24 sta avendo come immediata
conseguenza un maggiore coinvolgimento militare della Russia in territorio siriano
con ciò che questo comporta in termini di rapporti di forza tra le parti in
lotta. Si acuisce sempre di più il grande problema del futuro del “Syraq” che
divide russi, turchi, potenze occidentali, curdi e i vari altri Stati che sono
‘presenti’ in Siria come committenti di proxy
wars.
Federico La Mattina
[i] Vedi J. Sapir, Impact économique sur les relations Russo-Turques http://russeurope.hypotheses.org/4502.
[ii]
https://www.rt.com/news/323373-ankara-defends-isis-medvedev/
[iii]
http://www.bbc.com/news/world-middle-east-34910389.
[iv] A. Negri, Due imperi e il terzo incomodo,
http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-11-26/due-imperi-e-terzo-incomodo-073054.shtml?uuid=ACJdLfhB.
[v] Si veda ad esempio F. Scaglione, La
Nato alla guerra contro la Russia,
http://www.fulvioscaglione.com/2015/11/24/la-nato-alla-guerra-contro-la-russia/.
[vi] Si veda in proposito D. Santoro,
Erdoğan abbatte il jet perché vuole la
crisi militare tra Nato e Russia
http://www.limesonline.com/erdogan-abbatte-il-jet-perche-vuole-la-crisi-militare-tra-nato-e-russia/88146?prv=true.
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