domenica 4 ottobre 2015

Raid a Kunduz: raso al suolo l'ospedale di Medici senza frontiere

- EDIZIONE STRAORDINARIA -

Raid a Kunduz: raso al suolo l'ospedale di Medici senza frontiere



Sono le 2.08, ora locale, a Kunduz, in Afghanistan, quando l’oscurità della notte viene attraversata da un bagliore accecante e un tonfo sordo rompe il silenzio di un paese addormentato. Sono le 2.08, ora locale, quando la prima bomba si abbatte sull’ospedale di Medici Senza Frontiere. Il bombardamento, messo in atto dalle forze Nato, cesserà solo dopo un’ora, intorno alle 3.15, malgrado lo staff di Msf si fosse messo in contatto con il comando Nato di Kabul e con Washington già nei dieci minuti immediatamente successivi al lancio della prima bomba. Dopo l’impatto degli ordigni, l’incendio. Secondo le testimonianze dei sopravvissuti molte delle vittime, impossibilitate a muoversi dai rispettivi letti, sono state sopraffatte dalle ustioni. Il bilancio, benché ancora provvisorio, è molto grave: una ventina di morti, tra cui civili, adulti e bambini, e membri dello staff medico e circa una quarantina di feriti. All’attacco sono immediatamente seguite le polemiche e le giustificazioni. Il primo a rompere il silenzio è stato proprio Msf, tramite il responsabile per l’Afghanistan Guilhem Molinie, il quale ha precisato che “tutte le parti nel conflitto, a Kabul e a Washington, erano state informate sulla precisa localizzazione delle strutture con coordinate Gps ”. In un primo momento, le forze americane hanno fatto sapere, tramite il portavoce delle forze statunitensi presenti in Afghanistan, che “le forze Usa hanno condotto un raid aereo sulla città di Kunduz contro individui che minacciavano le forze”, e che, pertanto, l’operazione “potrebbe avere causato danni collaterali ad una struttura medica della città”. Kabul, invece, fa sapere che “nell’ospedale si nascondevano 10-15 terroristi, tutti uccisi”, lasciando intendere che l’ospedale possa aver a tutti gli effetti rappresentato un bersaglio militare. Il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Ashton Curter, rende nota la volontà da parte delle autorità competenti di aprire un’indagine per determinare le cause dell’avvenimento, senza tuttavia ammettere la presenza di terroristi e guerriglieri all’interno dell’ospedale. Alle tesi statunitensi ha immediatamente fatto seguito la smentita da parte del portavoce dei talebani Zabiullah Mujahid, che non solo ha affermato che al momento del bombardamento nell’ospedale non era presente nessuno dei combattenti, ma ha anche condannato aspramente l’avvenimento come un “crimine americano”, ennesima prova, secondo lui, “della natura spietata e ipocrita degli invasori e dei loro mercenari”.

Nelle ore successive all’attacco Msf ha cominciato a organizzare il trasferimento dei superstiti in un ospedale di Emergency a Kabul. Sarà proprio Emergency, infatti, a dover sopperire alla grave carenza sanitaria venutasi a creare dopo la distruzione dell’ospedale di Kunduz, l’unico ospedale nell’Afghanistan nordorientale che garantiva operazioni chirurgiche per il salvataggio degli arti e che aveva permesso ai volontari di Msf di curare, dal 28 Settembre, data di inasprimento degli scontri tra talebani e esercito afgano, circa 400 feriti. Nelle prossime ore, anche in seguito alle pressanti richieste delle parti coinvolte, andrà fatta luce sulle motivazioni dell’attacco, che già viene dai più definito un “crimine di guerra” a tutti gli effetti. L’Onu stessa ha sottolineato la gravità dell’avvenimento, benché la Nato non sia nuova alla pratica del sacrificio dei civili in nome dell’abbattimento di un bersaglio militare. A questo proposito l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha tenuto a specificare che “gli strateghi militari internazionali ed afghani hanno l’obbligo di rispettare e proteggere i civili e in particolare le strutture mediche e il loro personale devono essere oggetto di una protezione speciale”. D’altra parte il bombardamento è stato solo la punta dell’iceberg di una situazione già molto critica da fine Settembre. Kunduz, una delle città più grandi dell’Afghanistan settentrionale, nodo strategico tra Kabul e il Tajikistan, era stata a lungo contesa, per poi cadere recentemente sotto l’egida dei talebani, malgrado il controllo che la Germania vi aveva esercitato fino al 2013.  Infuria pertanto ancora la battaglia per riportare la città sotto il controllo del governo di Kabul, a scapito di tutte quelle vittime, i “danni collaterali”, che oggi, tramite la viva voce dei superstiti del bombardamento dell’ospedale di Medici senza Frontiere, chiedono chiarezza e giustizia.

Alessia Girgenti

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