mercoledì 30 settembre 2015

ONU: Lo scandalo dell'Arabia Saudita come garante dei diritti umani

#Pensatodavoi

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 ONU: Lo scandalo dell'Arabia Saudita come garante dei diritti umani




Arriva solo in questi giorni la notizia della nomina dell’ambasciatore saudita Faisal bin Hassan Trad come  presidente del Gruppo consultivo del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (Unhrc) dopo un silenzio generale durato mesi, giustificato probabilmente dal prevedibile imbarazzo derivante dalla presenza del regno Saudita in un organo di primo piano nella difesa dei diritti umani. La nomina, in realtà, risale al giugno scorso ma la notizia è stata divulgata solo grazie all' Ong indipendente UN Watch, che ha individuato in un report dello scorso 17 settembre la nomina alla presidenza dell’ambasciatore saudita.

Le ragioni dello scandalo:
Da quando la notizia è stata resa di pubblico dominio, molte Ong hanno gridato allo scandalo denunciando il palese conflitto d’interessi nella presidenza dell’Arabia Saudita all’interno di un organo composto da soli cinque membri, il cui principale compito è la nomina degli esperti incaricati di sorvegliare il rispetto dei diritti umani in svariati paesi del mondo. Il Regno Saudita, infatti, è ultimo in tutte le classifiche sulla tutela dei diritti umani, eppure oggi controlla ruoli chiave nel Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.

Freedom House
organizzazione non governativa internazionale che conduce attività di ricerca e sensibilizzazione su democrazialibertà politiche, e diritti umani, nel suo report annuale dal titolo Freedom in the world, che misura il grado di libertà civili e diritti politici garantiti in ciascun paese, assegna all’Arabia Saudita il peggior punteggio possibile nelle varie categorie di valutazione assegnandole lo Status di ‘’Paese non libero’’, classificandola nei grafici sulle libertà nel mondo come il ‘’Peggio del Peggio’’.
In un documento diffuso il 25 agosto, Amnesty International ha denunciato che in Arabia Saudita centinaia di persone sono state condannate a morte al termine di processi irregolari celebrati nell'ambito di un sistema giudiziario profondamente carente, basato sulla shari'a e che non prevede un codice penale. In questo modo, la definizione dei reati e delle pene relative rimane vaga e ampiamente lasciata all'interpretazione dei giudici. Il sistema concede proprio a questi ultimi di usare il potere discrezionale nello stabilire le pene, col risultato che si hanno sentenze contraddittorie e talvolta arbitrarie. Tra agosto 2014 e giugno 2015 sono state messe a morte almeno 175 persone, una media di un'esecuzione ogni due giorni. Lapidazione, impiccagione e decapitazione in pubblico sono i metodi di esecuzione più utilizzati.

La teoria del compromesso politico:
Ciò che sembra essere la ragione principale di questa nomina densa di contraddizioni, è la volontà, da parte del blocco Occidentale capeggiato dagli Stati Uniti, di assicurarsi l’appoggio incondizionato di Riyad nell’instabile scenario mediorientale. Soprattutto dopo la distensione dei rapporti tra gli USA e l’Iran (eterno rivale della Monarchia Saudita) sancita dagli accordi sul nucleare del luglio scorso. Il regno Saudita è infatti per l’Occidente non solo uno dei principali partner economici, ma anche un alleato prezioso sul piano strategico per la gestione di crisi belliche come quelle in Siria e in Yemen. Queste sono ipotesi verosimili che hanno come fine l’assetto del delicato bilanciamento dei poteri nello scacchiere mediorientale e che spiegano l’assordante silenzio di tutti quegli stati che pongono ai vertici delle proprie agende politiche la difesa e la promozione delle libertà e dei diritti degli esseri umani. Ma ciò che sicuramente si evince da questa vicenda è il danno di immagine e di credibilità per un’istituzione come le Nazioni Unite e i suoi organi che dovrebbero essere votati ai principi di garanzia e imparzialità.
Lorenzo Gagliano

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