mercoledì 14 ottobre 2015

La ruspa nel tempio: riflessioni giuridico - processuali sull'abusivismo nella Valle dei templi di Agrigento

LA PAROLA ALL’ESPERTO

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La ruspa nel tempio: riflessioni giuridico - processuali sull'abusivismo nella Valle dei templi di Agrigento

 a cura dell'avvocato Rosario Fiore   


Un tema divenuto di rilievo nazionale è quello relativo all'abbattimento di opere abusive all'interno della Valle dei Templi di Agrigento. L'ordine di demolizione dell'opera abusiva viene adottato con provvedimento del Pubblico Ministero, che per legge deve dare esecuzione alle sentenze divenute irrevocabili. Partiamo dal qualificare giuridicamente l'ordine di demolizione contenuto in una sentenza penale irrevocabile. Al riguardo, la Suprema Corte di Cassazione, in una recente sua pronuncia, (CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 10/01/2012, Sentenza n. 190 ) ci insegna che “ secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte l'ordine di demolizione adottato dal giudice ai sensi dell'art. 7 legge 28 febbraio 1985, n. 47, al pari delle altre statuizioni contenute nella sentenza definitiva, è soggetto all'esecuzione nelle forme previste da codice di procedura penale, avendo natura di provvedimento giurisdizionale, ancorché applicativo di sanzione amministrativa".


L'ordine di demolizione, dunque, benchè contenuto in un provvedimento giurisdizionale, ha natura amministrativa: in virtù di questa sua consolidata qualificazione, l'ordine di demolizione di un manufatto abusivo viene eseguito anche a distanza di molto tempo da quando la sentenza penale è divenuta irrevocabile, anche quando ad esempio, col decorso del tempo di cui agli articoli 172-173 c.p., il reato si è estinto.


In buona sostanza, è prassi giudiziaria eseguire un ordine di demolizione anche in presenza di un reato ormai estinto per decorso del tempo, atteso che l'ordine di demolizione non ha natura di sanzione penale ma, come sopra evidenziato, ha natura amministrativa.

Questa impostazione, tuttavia, non è condivisibile. In una sua recentissima pronuncia, la Corte Europea dei diritti dell'uomo è ritornata sul tema del divieto del ne bis in idem, offrendo anche interessanti spunti di riflessione sulla natura sostanzialmente “penale” delle sanzioni amministrative: mi riferisco, in particolare, alla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Sez. II, del 4 marzo 2014 (causa Grande Stevens ed altri e. Italia). In particolare, alla luce della prassi già consolidata, la Corte ha chiarito che è necessario considerare, per la qualificazione, tre criteri che hanno carattere alternativo e non cumulativo: la qualificazione giuridica della misura sul piano interno, la natura della misura ed il grado di severità della sanzione. Nella fattispecie che ci occupa, l'ordine di demolizione, incidendo pesantemente ed irrimediabilmente sulla proprietà di un soggetto, non può essere considerata mera “sanzione amministrativa”, in quanto è indubbio il suo carattere altamente punitivo, alla stregua di una vera e propria sanzione penale.

Se così è, ossia se si riconosce il carattare di sanzione penale all'ordine di demolizione, appare chiaro che lo stesso, ove si riferisca ad una sentenza di condanna la cui pena si è estinta per decorso del tempo, debba essere dichiarato estinto in guisa dell'articolo 172 c.p., poiché diversamente si avrebbe una violazione dell'art. 4 del Protocollo 7 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, sottoscritto il 22.XI. 1984, e rubricato "Diritto di non essere giudicato o punito due volte". Come ben sappiamo, la Convenzione EDU è un complesso normativo pattizio, le cui norme si collocano nell'ordinamento interno in una posizione intermedia tra la Costituzione e la legge ordinaria: in tal senso, si ricorderanno le famose “sentenze gemelle” della Corte Costituzionale, nn. 348 e 349 del 2007, in cui la Corte, ben conscia delle incertezze che sin dalle sue prime pronunce hanno caratterizzato l’individuazione del rango della Cedu, afferma che la Cedu è una norma di rango “sub- costituzionale”, di rango cioè subordinato alla Costituzione, ma sopraordinato alla legge: in buona sostanza, la Cedu è una fonte interposta che rende concretamente operativo il parametro costituito dall’art. 117, I comma, la cui violazione costituisce presupposto per una declaratoria di illegittimità costituzionale di ogni norma interna ad essa contraria. Nel caso di specie, sarebbe viziata da illegittimità costituzionale la norma che prevede la possibilità per il giudice di ordinare la demolizione dell'abuso, senza specificare la natura “penalistico- sanzionatrice” dell'ordine medesimo. Ne deriva, ad avviso dello scrivente, che nell'eventuale incidente di esecuzione promosso innanzi al competente Tribunale ed in presenza di un reato estinto per decorso del tempo, il ricorrente potrà eccepire la illegittimità costituzionale dell'art. 31, comma 9, del D.P.R. 380/2001, che ha sostituito l'articolo 7 della richiamata Legge 47/85, nella parte in cui non prevede, violando l'articolo 117 Costituzione, che l'ordine di demolizione contenuto nella sentenza di condanna è soggetto ai termini di estinzione ordinari di cui agli articoli 172 e 173 c.p.. Il Giudice dell'esecuzione, ravvisata la manifesta fondatezza della questione, previa sospensione dell'ordine di demolizione, investirà sul punto la Corte Costituzionale.

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