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Elezioni in Spagna: lo scacchiere è ormai multipolare ma si rischia lo stallo
Fin dai sondaggi emergeva quella che sembra essere, al netto delle generalizzazioni, una tendenza che in Europa va espandendosi a macchia d'olio, ovvero il rilevante calo dei consensi di quegli “storici” partiti che tendono, più o meno espressamente, a preservare lo status quo, nella specificità spagnola i partiti rispettivamente di centro-destra e centro-sinistra, il Partito Popolare (PP) di Mariano Rajoy ed il Partito Socialista (PSOE) guidato dal giovane Pedro Sanchez. Dagli stessi sondaggi risultava invece ancora in crescita il partito di sinistra radicale nato dal movimento degli Indignados, Podemos, guidato da Pablo Iglesias, mentre l'elemento sorpresa sembrava poter essere “Ciudadanos” (Cittadini) di Albert Rivera, un partito che potremmo definire “liberale”(seppur Rivera si preoccupi molto di evitare qualsiasi etichetta politica), un partito che gioca sull'ambiguità della propria proposta politica e fa del populismo e del “perbenismo medio-borghese” i suoi cavalli di battaglia, puntando tutto sulle spiccate doti comunicative del proprio leader (uno stravagante test de “La vanguardia”, quotidiano catalano, mostra come la maggioranza delle donne spagnole lo identificano come il fidanzato ideale) e cavalcando l'onda della disillusione tra l'elettorato del PP.
I risultati però, seppur confermando alcune linee di tendenza, hanno dato un quadro ancora più complesso di quello che si sarebbe potuto prospettare. Dai dati definitivi si rileva come il primo partito sia ancora il PP di Mariano Rajoy con il 28,7% dei consensi (il peggior dato nella storia politica del leader “popolare”), 123 seggi su 350 alla camera, ma che tale risultato sia comunque numericamente insufficiente per avere la maggioranza, sarebbero stati necessari 176 seggi su 350. A seguire troviamo il PSOE con il 22% dei voti (il peggior risultato nella storia del partito), corrispondenti a 91 seggi. Si conferma invece ancora in crescita Podemos con il 20,7% dei consensi (69 seggi), mentre Ciudadanos, sconfessando un po' l'ottimismo dei sondaggi che lo davano chi intorno e chi oltre al 20%, si attesta al 13,9% con 40 seggi alla camera.
Secondo la prassi il re spagnolo Felipe VI affiderà al leader del partito di maggioranza, in questo caso a Rajoy, il compito di tentare di formare l'esecutivo. Tale tentativo però potrebbe rivelarsi più arduo di quanto ci si possa aspettare, dal momento che Rajoy seppur alleandosi con il partito che gli è politicamente più vicino, Ciudadanos, arriverebbe ad avere 163 seggi alla camera, comunque insufficienti per avere la maggioranza. L'onere di formare l'esecutivo potrebbe allora passare al leader del secondo partito, il socialista Pedro Sanchez, che teoricamente guardando a sinistra, così come sembra voler spingere la base del partito, avrebbe la possibilità di formare una maggioranza alleandosi con Podemos e con il partito minore Izquierda unida. Questa soluzione però sembra scontrarsi con alcuni ostacoli che potrebbero rivelarsi difficilmente superabili: in primo luogo il partito di Pablo Iglesias accetterebbe la coalizione a patto di portare avanti la riforma costituzionale che permetterebbe di indire un referendum sull'indipendenza della Catalogna, ma una concessione del genere potrebbe far perdere ai socialisti gran parte dei consensi in tutti i territori al di fuori dalla Catalogna; in secondo luogo una maggioranza formata da questo “blocco di sinistra” potrebbe causare una situazione di stallo perenne tra le camere, dal momento che al senato il PP continua ad avere la maggioranza; infine l'Europa, tramite i vertici di Bruxelles, ha già espresso il proprio dissenso per la formazione di un governo all'interno della cui maggioranza siano presenti delle forze politiche “euroscettiche” (in riferimento a Podemos e Izquierda Unida). La stessa Europa pare invece caldeggiare per una grande coalizione alla tedesca, che noi italiani abbiamo già imparato a conoscere, basata sull'alleanza dei due storici partiti rivali dell'ormai passata era del bipolarismo, nello specifico il Partito Popolare ed il Partito Socialista. Fino ad ora i socialisti sembrano orientati per il “no” alla coalizione, ma ciò non toglie che nei prossimi mesi possano, volenti o nolenti, rivedere la propria decisione. Anche perché qualora non si riuscisse a formare un governo, questo “stallo politico” verrà tradotto nella necessità di avere nuove elezioni, e questa prospettiva di instabilità potrebbe non essere gradita dall'”Europa dei mercati” che, in quanto salvatrice dal default, pare avere un importante voce in capitolo nella politica interna spagnola.
Giovanni Tranchina
Lo
scenario politico che le recenti elezioni spagnole ci ha posto dinanzi mostra
ciò che le cronache spagnole raccontano come “un cambiamento sistemico”, dal
momento che è evidentemente venuto meno quello che era considerato il leitmotiv
politico da quando esiste la democrazia in Spagna: “la stabilità delle
larghe maggioranze”.
Fin dai sondaggi emergeva quella che sembra essere, al netto delle generalizzazioni, una tendenza che in Europa va espandendosi a macchia d'olio, ovvero il rilevante calo dei consensi di quegli “storici” partiti che tendono, più o meno espressamente, a preservare lo status quo, nella specificità spagnola i partiti rispettivamente di centro-destra e centro-sinistra, il Partito Popolare (PP) di Mariano Rajoy ed il Partito Socialista (PSOE) guidato dal giovane Pedro Sanchez. Dagli stessi sondaggi risultava invece ancora in crescita il partito di sinistra radicale nato dal movimento degli Indignados, Podemos, guidato da Pablo Iglesias, mentre l'elemento sorpresa sembrava poter essere “Ciudadanos” (Cittadini) di Albert Rivera, un partito che potremmo definire “liberale”(seppur Rivera si preoccupi molto di evitare qualsiasi etichetta politica), un partito che gioca sull'ambiguità della propria proposta politica e fa del populismo e del “perbenismo medio-borghese” i suoi cavalli di battaglia, puntando tutto sulle spiccate doti comunicative del proprio leader (uno stravagante test de “La vanguardia”, quotidiano catalano, mostra come la maggioranza delle donne spagnole lo identificano come il fidanzato ideale) e cavalcando l'onda della disillusione tra l'elettorato del PP.
I risultati però, seppur confermando alcune linee di tendenza, hanno dato un quadro ancora più complesso di quello che si sarebbe potuto prospettare. Dai dati definitivi si rileva come il primo partito sia ancora il PP di Mariano Rajoy con il 28,7% dei consensi (il peggior dato nella storia politica del leader “popolare”), 123 seggi su 350 alla camera, ma che tale risultato sia comunque numericamente insufficiente per avere la maggioranza, sarebbero stati necessari 176 seggi su 350. A seguire troviamo il PSOE con il 22% dei voti (il peggior risultato nella storia del partito), corrispondenti a 91 seggi. Si conferma invece ancora in crescita Podemos con il 20,7% dei consensi (69 seggi), mentre Ciudadanos, sconfessando un po' l'ottimismo dei sondaggi che lo davano chi intorno e chi oltre al 20%, si attesta al 13,9% con 40 seggi alla camera.
Confermato
il fatto che lo storico bipolarismo spagnolo faccia ormai parte del passato,
resta il problema per cui qualsiasi partito voglia porsi alla guida del paese,
con i numeri emersi da questa tornata elettorale, non potrà farlo senza passare
dallo “scacchiere delle alleanze”, che pare essere più complesso del passato.
Secondo la prassi il re spagnolo Felipe VI affiderà al leader del partito di maggioranza, in questo caso a Rajoy, il compito di tentare di formare l'esecutivo. Tale tentativo però potrebbe rivelarsi più arduo di quanto ci si possa aspettare, dal momento che Rajoy seppur alleandosi con il partito che gli è politicamente più vicino, Ciudadanos, arriverebbe ad avere 163 seggi alla camera, comunque insufficienti per avere la maggioranza. L'onere di formare l'esecutivo potrebbe allora passare al leader del secondo partito, il socialista Pedro Sanchez, che teoricamente guardando a sinistra, così come sembra voler spingere la base del partito, avrebbe la possibilità di formare una maggioranza alleandosi con Podemos e con il partito minore Izquierda unida. Questa soluzione però sembra scontrarsi con alcuni ostacoli che potrebbero rivelarsi difficilmente superabili: in primo luogo il partito di Pablo Iglesias accetterebbe la coalizione a patto di portare avanti la riforma costituzionale che permetterebbe di indire un referendum sull'indipendenza della Catalogna, ma una concessione del genere potrebbe far perdere ai socialisti gran parte dei consensi in tutti i territori al di fuori dalla Catalogna; in secondo luogo una maggioranza formata da questo “blocco di sinistra” potrebbe causare una situazione di stallo perenne tra le camere, dal momento che al senato il PP continua ad avere la maggioranza; infine l'Europa, tramite i vertici di Bruxelles, ha già espresso il proprio dissenso per la formazione di un governo all'interno della cui maggioranza siano presenti delle forze politiche “euroscettiche” (in riferimento a Podemos e Izquierda Unida). La stessa Europa pare invece caldeggiare per una grande coalizione alla tedesca, che noi italiani abbiamo già imparato a conoscere, basata sull'alleanza dei due storici partiti rivali dell'ormai passata era del bipolarismo, nello specifico il Partito Popolare ed il Partito Socialista. Fino ad ora i socialisti sembrano orientati per il “no” alla coalizione, ma ciò non toglie che nei prossimi mesi possano, volenti o nolenti, rivedere la propria decisione. Anche perché qualora non si riuscisse a formare un governo, questo “stallo politico” verrà tradotto nella necessità di avere nuove elezioni, e questa prospettiva di instabilità potrebbe non essere gradita dall'”Europa dei mercati” che, in quanto salvatrice dal default, pare avere un importante voce in capitolo nella politica interna spagnola.
Giovanni Tranchina
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