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Dentro gli accordi di Vienna: un'intesa oltre il nucleare
Al termine di una maratona negoziale durata anni, l’Iran
ed i Paesi del gruppo P5 +1 (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Russia,
Cina e Germania) hanno raggiunto a Vienna un’intesa sul programma nucleare
iraniano. L’intesa rappresenta un potenziale nuovo inizio per le relazioni tra
Teheran e Washington, drasticamente interrotte nel 1979, all’indomani della
rivoluzione iraniana e della crisi degli ostaggi. Da più parti gli accordi di Vienna sono definiti di portata
storica, ma sarà davvero così ?
I sei punti fondamentali dell’intesa raggiunta riguardano:
sanzioni, centrifughe, commissione di controllo, uranio, embargo sulle armi,
limitazioni. Le sanzioni saranno rimosse di pari passo con la verifica
da parte dell’Aiea del rispetto dell’accordo. L’Iran potrà tornare ad
esportare petrolio ed accedere al sistema bancario internazionale. Inoltre, ridurrà di due terzi il numero delle centrifughe
attive, portandole da 19mila a 6mila; le centrifughe non più utilizzate
verranno poste sotto il monitoraggio dell’Aiea. Una commissione composta dai rappresentanti dell’Iran e
del gruppo P5 +1 valuterà eventuali violazioni dell’accordo ed il possibile
ripristino delle sanzioni. L’Iran ridurrà del 98% le sue scorte di uranio a basso
arricchimento, portandole a 330kg. Teheran avrà bisogno di almeno un anno
qualora volesse dotarsi di un’arma atomica. L’embargo sulle armi convenzionali verso Teheran sarà
rimosso fra cinque anni mentre quello sui missili balistici resterà in vigore
per otto anni.Ulteriori restrizioni impediranno all’Iran di sviluppare
la propria tecnologia nucleare a scopi militari (costruzioni di testate o
meccanismi ad inneschi multipli).
Ad ostacolare il processo negoziale è stato anzitutto il
profondo senso di diffidenza tra le parti coinvolte nei negoziati. Le
motivazioni di tale diffidenza hanno radici storiche per quanto riguarda
soprattutto Usa ed Iran, veri protagonisti dell’intesa. La loro storia di
contrapposizione radicale li vedeva ormai da 37 anni considerarsi
reciprocamente come “il Grande Satana” e “minaccia del terrore”.
Occorre infatti rammentare quanto nella memoria storica di questi due Stati
abbiano influito da una parte la lunga guerra Iran-Iraq, dall’altra parte la
crisi degli ostaggi del 1979.
Ulteriore ostacolo ai negoziati è stata l’eterogeneità degli
attori coinvolti. L’obiettivo comune alle sei delegazioni del P5+1 era quello
di arginare il programma nucleare iraniano, ma ciascun Paese, dalla Russia alla
Cina, passando per i diversi attori europei, perseguiva una propria
agenda. Infine, a mettere in pericolo l’intero processo, sono
intervenute le azioni di diversi attori, accomunati dal chiaro intento di far
naufragare l’intesa. Gli oppositori dell’intesa sono rappresentati in primis
dal Congresso statunitense a maggioranza repubblicana e dagli integralisti
iraniani guidati da Alì Khamenei. Tra le fila del fronte del “no” troviamo poi
“la strana coppia” formata da Israele ed Arabia Saudita, i cui segni di
malcontento e di avversione ai negoziati sono stati sempre palesi nei mesi
scorsi: intervento di Netanyahu al Congresso americano ed assenza di re Salman
al summit di Camp David convocato da Obama per rassicurare gli alleati del
Golfo.
Questo
quadro complesso di rapporti e di interessi in gioco dimostra come la rilevanza
degli accordi di Vienna oltrepassi la questione del nucleare iraniano ed abbia
quindi delle implicazioni ben più ampie. La portata storica degli accordi di
Vienna emerge con forza alla luce di come tutte le parti in causa hanno saputo
portare a termine le trattative, difendendo sì i loro rispettivi interessi
nazionali, ma ben sapendo che un fallimento avrebbe rappresentato non solo uno
smacco in termini di prestigio internazionale ma soprattutto un errore
politico-strategico. L’aver dimostrato che sia possibile una soluzione
negoziata in materia di armamento nucleare, fondata sulla forza delle
diplomazie e non su quella delle armi, rappresenta un’ulteriore conferma della
rilevanza dell’intesa. Il
rapprochement tra gli Usa e l’antico nemico persiano non porterà sic et
simpliciter ad una totale distensione dei rapporti, ma di certo è un primo
passo nella direzione del superamento delle reciproche ostilità; esso è da
inquadrarsi inoltre nella nuova strategia di politica estera americana in Medio
Oriente.
Quali le conseguenze dell’accordo ? Cosa cambia in concreto
nelle relazioni tra Usa ed Iran ?
Il raggiungimento di questa storica intesa che ripercussioni
potrà avere sul piano interno per l’Iran (una vittoria per il presidente
Rouhani ?) , sul piano regionale negli equilibri con Israele ed Arabia Saudita
ed infine su scala globale ? Al di là delle valutazioni geopolitiche, andranno
considerate altresì le implicazioni strettamente tecniche dell’intesa, come l’analisi del
potenziale ritorno dell’Iran sui mercati energetici mondiali e di un’eventuale
apertura agli investimenti stranieri.
La linea
di condotta di Teheran per quanto concerne l’osservanza delle verifiche
periodiche e degli Usa nei prossimi due mesi (il Congresso potrà rivedere il
testo nei prossimi 60 giorni ma Obama potrà avvalersi del suo potere di veto)
contribuiranno a dare alcune risposte. L’applicazione pratica di questi accordi
ed il loro scrupoloso rispetto potranno confermare o smentire la portata
storica dell’intesa.
Ciccio Polizzotto
Per saperne di più :
• “Iran: un’intesa storica per quattro ragioni”, Armando
Sanguini, commentary ISPI , 16 luglio 2015 • “Accordo sul nucleare iraniano: il
trionfo della realpolitik”, Roberto Toscano, commentary ISPI, 16 luglio
2015
• “Iran
after the deal: the road ahead” (available from september), report ISPI
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