- EDIZIONE STRAORDINARIA -
Scontro di volontà, quale destino spetta alla Grecia?
Un
gigantesco equivoco impedisce di comprendere il reale stato di cose della
vicenda greca. Da mesi, tra le istituzioni creditrici, il governo greco, i
mercati e gli esecutivi europei, si assiste ad uno snervante “stallo alla
messicana”, dove nessuno ha il coraggio di sparare il primo colpo. Una cosa,
però, è ormai chiara non saranno Tsipras e Varoufakis a sparare quel colpo.
Entrambi continuano a ribadire di non voler in alcun modo uscire dall’eurozona
(alimentando in questo modo il mito nazionalistico della moneta forte per un
paese forte), bensì di lottare con maggiore legittimazione per un accordo più
equo in caso di vittoria del No (oxi) al referendum del 5 Luglio. Dall’altro
lato l’Eurogruppo, sebbene diviso tra falchi tedeschi e mediatori francesi, non
lesina critiche e ammonimenti nei confronti dell’indisciplinato debitore,
giungendo alla velata minaccia di abbandonare il tavolo delle trattative in
caso di esito negativo della consultazione popolare. Persino il
socialdemocratico Schulz si è spinto ad augurarsi la fine dell’esperienza
Syriza per una buona riapertura delle trattative. I governi europei tentennano
ma poi rimangono in linea con le posizioni della Cancelleria tedesca. I mercati stessi non sono riusciti a
nascondere la loro tensione negli andamenti altalenanti di quest’ultima
settimana. La decisione di indire un referendum consultivo può, da un punto di
vista sinceramente democratico, essere giudicata, alternativamente, sia come
una scaltra mossa populista, sia come una grande prova di democrazia. Ad ogni
modo risulta molto azzeccata. La forte esposizione mediatica ne ha, negli
ultimi giorni, esaltato certi tratti epici di revanscismo popolare molto
telegenici. Allo stesso tempo se la posizione di Syriza rimane quella surreale
del : “votate No all’accordo in modo tale che Martedì 6 Luglio si possa fare un
accordo”, allora lo stesso voto sembra perdere d’importanza, e viceversa non è
strano, comprendere gli inviti all’astensione rivolti dal KKE ai suoi
militanti. Ciononostante, se Tsipras continuasse testardamente a pretendere un
fantomatico “euro senza austerità”, potrebbe costringere gli altrettanto
intransigenti creditori allo strappo, lasciando la Grecia all’insolvenza. A default avviato uscire dall’euro è quasi una
scelta obbligata; la Banca Centrale greca infatti riavrebbe la sovranità
monetaria necessaria per controllare la valuta con cui emetterà nuovo debito, e
gli squilibri di bilancia commerciale potrebbero essere corretti facendo
fluttuare la nuova dracma sul mercato dei cambi. La vittoria del Si (nai),
porterebbe semplicemente alla caduta dell’attuale governo, poco importa se ci
sarà un rimpasto, un ribaltone o subito nuove elezioni. L’esperienza Syriza sarebbe
politicamente conclusa. Sebbene l’esito del referendum renderebbe, in qualsiasi
caso, ancora più chiaro come il progetto di Unione Monetaria europea sia
antitetico alle libertà democratiche, la vittoria del fronte del No prevede
comunque un ulteriore grado di appello. Ancora una volta sarà determinante la
volontà delle parti in causa. L’auspicio del governo ellenico è che spetti
proprio ai creditori, (che non possono sconfessare la linea politico-economica
propagandata da anni perché glielo chiede un piccolo paese insolvente) “sparare
per primi”, prendendosi loro la responsabilità di mettere la parola fine
all’equivoco greco.
Luca Scaglione
Luca Scaglione
http://www.iltempo.it/economia/2015/07/04/demagogia-e-menzogne-1.1433589
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