LA PAROLA ALL’ESPERTO
La rubrica mensile di IMESI che riporta la voce degli esperti sulle maggiori tematiche di politica internazionale
Scenari dallo Yemen
a cura di s.e. l'ambasciatore Armando Sanguini
Lo Yemen sembra un paese lontano e
comunque trascurabile in quanto parente povero del Golfo. In realtà ci è vicino
perché il Golfo non solo perché fa parte del nostro intorno geo-politico, ma
anche perché il suo posizionamento alle bocche del mar Rosso ne fa una sorta di
porta d’accesso al gigantesco traffico marittimo diretto agli scali del
Mediterraneo dall’Oriente. Anche dallo stesso Golfo con le sue cospicue risorse
energetiche. Se poi allarghiamo lo sguardo agli altri paesi che compongono la
penisola arabica, l’Arabia saudita in particolare e l’Iran, protagonisti di un
duro scontro politico-settario per la conquista dell’egemonia nella regione - che
l’Arabia saudita rivendica sull’altare della custodia dei luoghi santi
dell’Islam sunnita e l’Iran reclama in forza della rivoluzione dell’islam
sciita lanciata nel ’79 - la valenza dello Yemen assume un rilievo di
innegabile rilevanza.
Su questo paese si sta infatti
giocando la parte più cruenta di questo scontro per procura attraverso gli
Houthi, un’importante componente della popolazione yemenita (20% del totale)
colpevolmente trascurata dal Presidente Abedrabbo Mansour Hadi nelle sue
istanze di partecipazione politico-governativa e di assetto costituzionale del
paese. Tanto trascurata da indurre gli Houthi, attestati da sempre nel Nord del
paese, a sventolare la bandiera di una dura opposizione al governo di Hadi che
nel corso del 2014 muta da “politica” a “politico-militare” e da locale a
nazionale con una progressione e una aggressività che sorprende e preoccupa.
Sorprende perché fa affiorare l’esistenza di un’alleanza con il deposto
predecessore Saleh costretto a lasciare la presidenza, ma colpevolmente
lasciato in condizione di continuare a gestire il patrimonio di potere tribale,
economico e militare costruito in decenni di autocrazia. Sorprende e preoccupa
perché denuncia il rischio di una ulteriore frattura profonda nel già
tormentato tessuto politico-tribale yemenita e alimenta il non infondato
sospetto nell’Arabia saudita e nelle altre monarchie del Golfo che dietro a
quest’operazione di rivolta vi sia la longa manus di Teheran, proprio l’odiato
antagonista di fede sciita, prodiga di armi, consulenti militari e
intelligence. Insomma il segno di un’altra manovra mirante a creare o meglio a
rinnovare una spina nel fianco dell’Arabia saudita con la quale condivide una
frontiera lunga ben 1.700 Km.
E in effetti in pochi mesi si
assiste alla formazione di una massa critica di deciso contropotere rispetto al
legittimo, anche se improvvido, Presidente Hadi. Con uno slancio travolgente
gli Houthi arrivano infatti ad occupare la stessa capitale Sanàa e nei mesi
successivi a porre fuori gioco il suo intero governo. Questa spirale militare
conferma nell’Arabia saudita e nelle altre monarchie del Golfo il disegno
destabilizzatore di Teheran che ben poco fa, occorre sottolinearlo, per
allontanare da sé quel sospetto. Reitera, è vero, la propria estraneità ai
fatti bellici in corso, ma ne sostiene la causa politica.
La veemenza con la quale si
accusa Teheran riflette però anche un’altra realtà: il progressivo emergere di
questa conflittualità sarebbe stato ben più evidente se Riyadh e la stessa
Washington non fossero state distratte dall’assorbente attenzione riservata alla
minaccia dell’Al Qaeda yemenita, la più aggressiva e attrezzata del Medio
Oriente. Sta di fatto che gli Houthi dilagano e sembrano sordi ai richiami al
rispetto dell’ordine politico-istituzionale del paese provenienti dal Consiglio
generale del Golfo ma anche dalle Nazioni Unite. Non sortiscono effetto neppure
i moniti ad accedere ad una mediazione politica.
Le truppe degli Houthi avanzano
sulle direttrici principali del paese e marciano sulla stessa Aden costringendo
Hadi che vi si era rifugiato a prendere il volo per Riyadh non senza aver prima
lanciato una chiamata al soccorso militare alla Lega araba e al GCC per fermare
l’avanzata degli Houthi ed evitare il baratro della guerra civile.
Riyadh che per bocca dell’allora
suo Ministro degli Esteri, Saud bin Faysal, aveva dichiarato che l’Iran non
meritava la conclusione dell’accordo sul nucleare per la sua politica destbilizzante
nella regione – citando Siria, Iraq, Libano, Bahrein e adesso Yemen - lasciava
chiaramente intendere la sua determinazione ad intervenire con la forza.
Aveva dalla sua sufficienti
elementi di legittimazione: la richiesta di immediato sostegno armato da parte
di Hamdi, per l’appunto, e la ferma presa di posizione del Consiglio di
Sicurezza a favore del legittimo Presidente Hadi
E Teheran? Dalla capitale
iraniana erano già giunti, come detto prima, segnali che indicavano vicinanza
agli Houthi sostanziatisi con la sinistra dichiarazione dell’Ayatollah Ali
Saeedi, Commissario religioso delle Guardie rivoluzionarie iraniane, secondo la
quale “Il popolo yemenita si è congiunto con Iran, Iraq, Siria e Libano nella
comune lotta per la gloria dell’Islam” (sciita naturalmente). Così come si era
confermata l’azione d’appoggio da parte dell’estromesso Ali Abdullah Saleh che
alla fine del 2014 era arrivato a far espellere Hadi dal suo partito, il Congresso
generale del popolo, di cui aveva mantenuto la presidenza.
Aggiungiamo a ciò la prospettiva
di un Iran reso più forte dalla prospettiva di una positiva conclusione della
trattativa con i 5+1 (i membri permanenti del CdS delle Nazioni Unite + la
Germania) sul suo programma nucleare.
Su questo sfondo, marcato dalla
successione di un decisionista come Salman al Saud sul trono di Riyadh, non
stupisce il lavorio dell’Arabia saudita per aggregare il consenso del mondo
sunnita arabo e turco, agli Houthi ma anche a Teheran. Lascia piuttosto
impressionati il fatto che il 26 marzo, quando dà il via ad un massiccio
attacco militare contro il gruppo ribelle, Riyadh possa presentarsi alla testa
di una coalizione cui partecipano non solo le altre monarchie del Golfo, salvo
l’Oman, com’era da attendersi, ma anche Egitto, Giordania, Marocco e Sudan: dando
con ciò un’inedita prova di forza e allo stesso tempo una dimostrazione del suo
livello di credibilità e di influenza politica, in nome di un ruolo nella
regione che non accetta di essere messo in discussione. Prova che non si
attenua per l’importanza nevralgica del libero passaggio del Mar Rosso per
l’Egitto e il Sudan. Riyadh riesce anche ad acquisire la dichiarata
disponibilità degli USA ad assicurare appoggio logistico e di intelligence.
Riuscirà poche settimane dopo a ricevere anche l’appoggio indiretto da Mosca
per il varo di una Risoluzione del Consiglio di sicurezza decisamente
anti-Houthi.
Inizia così una fase bellica che
nei poco più dei tre mesi trascorsi ha fatto piombare lo Yemen in una stato di
disastro umanitario gravissimo, per le migliaia di vittime e di feriti, per le
migliaia di fuggitivi e per le immani distruzioni provocate dagli attacchi e
dalle risposte militari degli Houthi che sono giunti a controllare gran parte
della strategica città di Aden.
Da allora vi è stata una duplice
tregua, violata.
Vi sono state due iniziative
finalizzate a ottenere una soluzione negoziata alla guerra civile. Da parte di
Riyadh, timorosa dello spazio aperto alle manovre di al Qaeda e dello stesso
Califfato, e delle Nazioni Unite, con una mediazione dell’Oman che ancora non
ha rinunciato a interporre i suoi buoni uffici. Ma tutto lascia ipotizzare che
gli Houthi non siano disposti a cedere se non sotto il peso della
ineluttabilità di una sconfitta militare. Non è mancato neppure il tentativo
iraniano di ingaggiare una prova di forza in mare, all’imbocco del mar Rosso.
Adesso sembra che dopo una fase
in cui gli Houthi prevalevano, pur sotto un violento fuoco aereo, dal sud del
paese, si stiano mobilitando forze di terra che addestrate anche con l’aiuto
degli USA, Gran Bretagna e Francia, hanno ben coadiuvato l’azione degli
attacchi aerei della coalizione. Ed è arrivata una sua prima vittoria: la
liberazione di Aden. Importante ma tutt’altro che decisiva, anche se marcata
emblematicamente dal ritorno di alcuni ministri di Hadi. E ciò sia perché Aden
è la capitale dell’indipendentismo yemenita, sia perché manca ancora
all’appello Taiz perchè gli Houthi possano essere indotti a più miti consigli. Sempre
che la coalizione non pensi di attaccarli anche nel Nord del paese, dove sta la
loro vera patria e il fulcro del loro potere. La guerra civile in Yemen è
ancora tutta lì con un costo sempre più doloroso per la popolazione yemenita.
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