sabato 2 maggio 2015

L'Europa dei diritti: commento breve alla sentenza della CGUE sulla donazione del sangue da parte dei gay

- EDIZIONE STRAORDINARIA -


L'EUROPA DEI DIRITTI: COMMENTO BREVE ALLA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL'UNIONE EUROPEA SULLA DONAZIONE DEL SANGUE DA PARTE DEI GAY.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato, nella sentenza di cui alla causa C-528/13 del 29 aprile 2015, che è possibile limitare, se non addirittura escludere, la donazione del sangue da parte di soggetti omosessuali. E' una sentenza che certamente farà molto discutere, sia da un punto di vista giuridico che politico. Nel mio esame, mi atterrò esclusivamente a considerazioni giuridiche. Innanzi tutto, appare opportuno ripercorrere brevemente i fatti. Il 29 aprile 2009 un  medico dell’Istituto ematologico francese «EFS», ha rifiutato la donazione di sangue da parte di un cittadino francese, poiché quest'ultimo era omosessuale e il diritto francese esclude dalla donazione di sangue, in maniera permanente, gli uomini che hanno avuto o hanno rapporti sessuali con altri uomini. Di fronte a questo diniego,  il cittadino francese ha  contestato tale decisione rivolgendosi al giudice amministrativo di Strasburgo, il quale, a sua volta, si è rivolto alla Corte di giustizia chiedendo, in particolare, se ai sensi dell’allegato III della direttiva 2004/33, la circostanza che un uomo abbia rapporti omosessuali configuri, di per sé, un comportamento sessuale che espone al rischio di contrarre gravi malattie infettive trasmissibili col sangue e che giustifica un’esclusione permanente dalla donazione di sangue per i soggetti che abbiano avuto un siffatto comportamento sessuale, oppure se tale circostanza possa semplicemente costituire, in funzione delle circostanze proprie del caso concreto, un comportamento sessuale che espone al rischio di contrarre gravi malattie infettive trasmissibili col sangue e che giustifica un’esclusione temporanea dalla donazione di sangue per un determinato periodo di tempo dopo la cessazione del comportamento a rischio. Passiamo adesso ad  esaminare il quadro normativo rilevante. Preliminarmente, occorre evidenziare che siamo in presenza, tecnicamente,  di un cd. rinvio pregiudiziale, previsto dall'art. 267 del T.F.U.E., che dà al giudice nazionale la facoltà ( obbligo, se trattasi di giudice di ultima istanza, come può essere la Corte di Cassazione nel nostro ordinamento) di “ chiedere alla Corte di Giustizia una pronuncia sull'interpretazione ovvero sulla validità di una norma dell'Unione quando siffatta pronuncia sia necessaria per risolvere la controversia di cui è stato investito”.[1] Ciò al fine di rendere una interpretazione ed una applicazione del diritto dell'Unione che sia uniforme in tutti i Paesi membri, atteso che alla Corte di Giustizia spetta l'ultima parola in ordine all'interpretazione del diritto dell'Unione, con una competenza che può considerarsi esclusiva. Vale la pena, inoltre, ricordare che la sentenza interpretativa della Corte pronunciata su rinvio pregiudiziale vincola con tutta evidenza il giudice a quo, che dunque è tenuto a fare applicazione della norma dell'Unione così come interpretata dalla Corte.[2] Tuttavia, come ha più volte evidenziato la nostra Corte Costituzionale[3], la sentenza interpretativa della Corte di Giustizia può e all'occorrenza deve essere considerata anche al di fuori del contesto processuale che l'ha provocata, proprio perchè si pronuncia su punti di diritto; dal che deriva, che altri giudici, nonché le amministrazioni nazionali, saranno tenuti a fare applicazione delle norme così come interpretate dalla Corte, Fatta questa brevissima ma doverosa premessa, possiamo adesso esaminare il quadro normativo rilevante ai fini della decisione della Corte di Giustizia. L'esame riguarda, in particolare, la direttiva 2004/33/CE della Commissione, che applica, a sua volta,  la direttiva 2002/98/CE del Parlamento e del Consiglio, relativa a taluni requisiti tecnici del sangue e degli emocomponenti. In particolare, l'articolo 4, rubricato “ Idoneità dei donatori” prevede che “ I centri ematologici garantiscono che i donatori di sangue intero e di emocomponenti soddisfino i criteri di idoneità stabiliti dall'allegato III”. Al punto 2.1 del citato Allegato III, sono indicati i criteri di esclusione permanente di donazioni allogeniche, e tra questi è chiaramento indicato anche il “ comportamento sessuale” di quelle “ persone il cui comportamento sessuale le espone ad alto rischio di contrarre gravi malattie infettive trasmissibili col sangue”. In applicazione di tale direttiva,  la normativa francese tende a considerare il fatto che un uomo abbia avuto o abbia un rapporto sessuale con un altro uomo come una presunzione assoluta di esposizione a un rischio elevato, indipendentemente dalle condizioni e dalla frequenza dei rapporti o delle pratiche osservate. La Corte premette che l’esclusione permanente dalla donazione di sangue prevista al punto 2.1 dell’allegato III della direttiva in esame riguarda le persone il cui comportamento sessuale le esponga ad un «alto rischio» di contrarre gravi malattie infettive trasmissibili col sangue, mentre l’esclusione temporanea dalla donazione di sangue si riferisce ad un rischio di livello minore.
Quindi, per quanto riguarda la valutazione dell’esistenza di un rischio elevato di contrarre gravi malattie infettive trasmissibili col sangue, occorre prendere in considerazione la situazione epidemiologica in Francia, la quale presenterebbe un carattere specifico, secondo quanto affermato dal governo francese e dalla Commissione che, si legge nella sentenza a commento,  “  fanno riferimento ai dati forniti dall’Institut de veille sanitaire français (Istituto francese di vigilanza sanitaria). Da tali dati si evincerebbe che la quasi totalità dei contagi da HIV, nel periodo compreso tra il 2003 e il 2008, è dovuta ad un rapporto sessuale e che gli uomini che hanno relazioni sessuali con persone del loro stesso sesso rappresentano la popolazione più colpita, corrispondente al 48% dei nuovi contagi. Nel corso dello stesso periodo, sebbene l’incidenza globale dell’infezione da HIV si sia ridotta, segnatamente per quanto riguarda i rapporti eterosessuali, essa non sarebbe diminuita per gli uomini che hanno relazioni sessuali con persone del loro stesso sesso. Inoltre, questi ultimi rappresentavano, sempre avuto riguardo al medesimo arco di tempo, la popolazione più colpita dal contagio da HIV, con un tasso annuo di incidenza dell’1%, che sarebbe 200 volte superiore a quello della popolazione eterosessuale francese. La Commissione si riferisce altresì ad una relazione stesa dal Centro Europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, istituito dal regolamento (CE) n.851/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004 (GU L142, pag.1). Secondo tale relazione, intitolata «Men who have sex with men (MSM), Monitoring implementation of the Dublin Declaration on Partnership to Fight HIV/AIDS in Europe and Central Asia: 2012 progress», pubblicata nell’ottobre del 2013, è in Francia che l’incidenza di HIV all’interno della categoria degli uomini che hanno avuto rapporti sessuali con persone del loro stesso sesso sarebbe la più elevata tra tutti gli Stati oggetto dello studio”.[4] Dai dati sulla situazione francese si evincerebbe che la quasi totalità dei contagi da HIV è dovuta ad un rapporto sessuale e che gli uomini che hanno relazioni sessuali con persone del loro stesso sesso rappresentano la popolazione più colpita, corrispondente al 48% dei nuovi contagi.
 Ma il punto di diritto di maggiore interesse affermato dalla Corte di Giustizia è che la limitazione ai diritti fondamentali deve rispondere al principio di proporzionalità[5]Ne deriva, pertanto, che il giudice nazionale dovrà  verificare l’affidabilità di tali dati e la loro rilevanza. Se il giudice dovesse concludere che le autorità nazionali hanno potuto ragionevolmente considerare che in Francia esista un alto rischio di contrarre gravi malattie infettive trasmissibili col sangue, nel caso di un uomo che abbia avuto rapporti sessuali con un altro uomo, occorre verificare se, e a quali condizioni, una controindicazione permanente alla donazione di sangue, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, possa essere conforme ai diritti fondamentali riconosciuti dall’ordinamento giuridico dell’ UE, tra cui il divieto, sotto qualsiasi forma, di discriminazione fondata, in particolare, sull’orientamento sessuale (art. 21 della Carta dei diritti fondamentali).
L’art. 52 della stessa Carta stabilisce che eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà devono essere previste dalla legge e  inoltre, che nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’UE o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui. La Corte, inoltre, osserva che la direttiva 2004/33 attua la direttiva 2002/98 che ha come obiettivo la protezione della sanità pubblica. Nel caso di specie, l’esclusione permanente dalla donazione di sangue è volta a ridurre al minimo il rischio di trasmissione di una malattia infettiva ai riceventi, perseguendo così l’obiettivo generale di garantire un livello elevato di protezione della salute umana, che costituisce una finalità riconosciuta dall’Unione all’art. 152 CE e all’art. 35 della Carta. Per quanto riguarda il principio di proporzionalità, secondo la giurisprudenza della Corte, le misure previste dalla normativa nazionale non devono eccedere i limiti di ciò che è appropriato e necessario al conseguimento degli obiettivi legittimamente perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva tra esse e che gli inconvenienti causati non devono essere esorbitanti rispetto agli obiettivi perseguiti.[6] Riprendendo la formula dell'articolo 5 del TCE, la Corte di giustizia ha affermato, in altre pronunce,  che al fine di stabilire se una norma di diritto comunitario sia conforme al principio di proporzionalità, si deve accertare se i mezzi da essa contemplati siano idonei a conseguire lo scopo perseguito e non eccedano quanto è necessario per raggiungere detto scopo (v., in particolare, sentenza 9 novembre 1995, causa C-426/93, Germania/Consiglio dell'Unione europea).
Nel caso oggetto della pronuncia questo principio è rispettato solo se un elevato livello di protezione della salute dei riceventi non possa essere garantito mediante tecniche efficaci di ricerca dell’HIV e meno restrittive rispetto al divieto permanente della donazione di sangue per tutta la categoria costituita dagli uomini che hanno avuto rapporti omosessuali. In altri termini, occorre dimostrare che non sono disponibili metodi meno restrittivi dell’esclusione degli omosessuali. Pertanto, il giudice nazionale deve verificare se i progressi della scienza o della tecnica sanitaria, considerando in particolare i costi di una sistematica messa in quarantena delle donazioni provenienti dagli uomini che abbiano avuto rapporti sessuali con persone del loro stesso sesso o quelli di una ricerca sistematica dell’HIV per tutte le donazioni di sangue, consentano di garantire un livello elevato di protezione della salute dei riceventi, senza che l’onere che ne consegue sia esorbitante rispetto agli obiettivi di protezione della salute perseguiti. Quindi, se allo stato attuale della scienza, non esistano tecniche rispondenti alle condizioni per evitare la trasmissione ai riceventi di tale virus, una controindicazione permanente alla donazione di sangue per tutta la categoria costituita dagli uomini che abbiano avuto rapporti omosessuali è proporzionata solo nell’ipotesi in cui non esistano metodi meno restrittivi per garantire un livello elevato di protezione della salute dei riceventi.
A tal fine, al giudice del rinvio spetta verificare se il questionario e l’intervista personale a cura del personale sanitario, previsti dall’allegato II, parte B, punto 2, della direttiva 2004/33, possano consentire di identificare in modo più preciso i comportamenti che presentano un rischio per la salute dei riceventi, al fine di stabilire una controindicazione meno restrittiva rispetto ad una controindicazione permanente per tutta la categoria costituita dagli uomini che hanno avuto rapporti sessuali con una persona dello stesso sesso.
In conclusione, secondo la Corte, l’esclusione permanente dalla donazione di sangue per uomini che abbiano avuto rapporti omosessuali può, alla luce della situazione in Francia, essere giustificata. Ciò in quanto è dimostrato, sulla base delle conoscenze e dei dati medici, scientifici ed epidemiologici attuali, che il comportamento sessuale omosessuale espone tali persone ad un alto rischio di contrarre gravi malattie infettive trasmissibili col sangue e che, nel rispetto del principio di proporzionalità, non esistono tecniche efficaci di individuazione di queste malattie infettive o, in difetto di tali tecniche, metodi meno restrittivi rispetto ad una siffatta controindicazione per garantire un livello elevato di protezione della salute dei riceventi. Mi sia consentito, in conclusione, esprimere delle considerazioni di ordine giuridico-filosofico, che la lettura della sentenza in commento, mi spinge a fare in materia di diritti umani, oggi tanto conclamati. Ci hanno insegnato e noi continuiamo ad insegnarlo ai giovani studenti, che nella storia dell'evoluzione dei diritti umani, il Novecento è stato “l'età dei diritti” -  utilizzando una espressione tanto cara a Norberto Bobbio [7] -  che si protrae ed amplia in questo nuovo millennio, con  la  fase attuale di “specializzazione” o di “ terza generazione” dei diritti.[8] Ed essendo “l'età dei diritti” una tappa importante nel progresso morale dell'umanità, e che ha il suo fondamento nella Dichirazione Universale dei dititti dell'uomo del 1948, occorre chiedersi, assieme al filosofo del diritto Aldo Schiavello, se oggi non stiamo vivendo una “crisi” dell'età dei diritti. In particolare, considerato ormai superato ( rectius: dato per superato!) il tema del fondamento, giuridico e filosofico, dei diritti umani, tra cui, alla luce della sentenza in commento, il diritto alla non discriminazione sessuale, bisogna interrogarsi, allora,  sulla eccessiva indeteterminatezza e vaghezza del linguaggio dei diritti umani: interrogativo quanto mai attuale in ordine al significato del diritto di non discriminazione sessuale. Scrive, al riguardo Schiavello[9]: “Innanzitutto, il linguaggio dei diritti è indeterminato in quanto vago e generico; di conseguenza, l’attività interpretativa volta a individuare il significato o il contenuto dei diritti è caratterizzata da una discrezionalità molto ampia. Decidere di attribuire ad una disposizione che esprime un diritto un significato piuttosto che un altro richiede che ci si impegni in un’attività di tipo argomentativo-giustificativa che difficilmente può eludere la questione filosofica del fondamento. In secondo luogo, i diritti sono molti e, nel corso degli anni, con il proliferare delle dichiarazioni dei diritti, sono divenuti sempre di più. Ciò implica la possibilità di antinomie (se non in astratto, almeno in concreto) tra i diritti rivendicati da individui diversi. La molteplicità dei diritti produce dei problemi: quale diritto deve prevalere (a seguito di un bilanciamento)? Quale è il corretto contemperamento (ove possibile) dei diritti in conflitto? Anche in questo caso, il problema del fondamento è ineludibile”.Nel caso di specie, il problema delle antinomie senz'altro riguarda il diritto alla non discriminazione sessuale da un lato  ed il diritto alla salute pubblica dall'altro. Nel risolvere questa antinomia, la Corte ha applicato un principio , che è quello della proporzionalità, che ha imposto una scelta tra diritti fondamentali contrapposti. E nel bilanciamento della scelta, il diritto alla non discriminazione sessuale, considerato forse un diritto del “ singolo”, ha dovuto cedere il passo al diritto alla salute pubblica, elevato al rango di diritto “dei più”. Ciò non toglie, tuttavia, che rimane, immutato, l'interrogativo sul fondamento filosofico- giuridico di tale decisione. E nel pormi anch'io questo interrogativo, mi è venuto alla mente un altro autorevolissimo  filosofo del diritto palermitano, Francesco Viola[10], il quale sostiene che i diritti umani non sono diritti naturali, bensì “ diritti morali” positivizzati: in particolare, sostiene il Viola, mentre i diritti naturali sono diritti soggettivi individuali che attengono alla sfera politica, i diritti umani invece sono una connessione  tra un diritto morale e un qualsivoglia processo di positivizzazione. Affermare ciò, ossia che la morale è parte del diritto positivo,  mi porta alla mente  le famose parole di Immanuel  Kant, il quale,  nella sua Critica alla ragion pratica, così conclude: “ Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto piú spesso e piú a lungo la riflessione si occupa di esse:il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me “Con tutto ciò che, di positivo o negativo, può derivarne!

Dott. Rosario Fiore
Cultore di Diritto Sociale dell'Unione Europea ( Ius/02) e Diritto Internazionale (Ius/13) all'Università degli Studi di Palermo
Segretario e Direttore Generale I.ME.SI

Desidero ringraziare il Prof. Antonio Sinesio, Docente di Diritto Pubblico Comparato all'Università degli Studi di Palermo, per i preziosi suggerimenti; ringrazio,inoltre,  per la paziente collaborazione in sede di stesura e correzione, Marco Caradonna, Vice Direttore Generale  e Massimo Parisi, Direttore Dipartimento Studi Storici e Filosofici, I.ME.SI.




[1]Cfr. G. Tesauro, Diritto dell'Unione Europea, Sesta Edizione, CEDAM, pag. 310.
[2]In tal senso, Benedetti, 52/76, Sentenza 3 Febbraio 1977, Racc.p.163.
[3]Corte Cost., sent. 23 Aprile 1985 n. 113; Corte Cost. Sent. 18 Aprile 1991, n. 168; Corte Cost. Sent. 13 luglio 2007, n. 284.
[4] Cfr. i punti 42 e 43 della sentenza in commento.
[5]G. Tesauro, op.cit.
[6] Quanto al principio di proporzionalità v. sentenze ERG ea., C-379/08 e C-380/08, EU:C:2010:127, punto 86; Urbán, C-210/10, EU:C:2012:64, punto 24, nonché Texdata Software, C-418/11, EU:C:2013:588, punto 52)
[7]N. Bobbio, L'età dei diritti, Torino, 1989.
[8]Carlo Focarelli, Lezioni di Diritto Internazionale, I, CEDAM, pag. 342.
[9]A. Schiavello, La fine dell'età dei diritti, in Etica & Politica / Ethics & Politics, XV, 2013, 1, pp. 120-145.
[10]F.Viola, I diritti umani alla prova del diritto naturale, in “Persona y Derecho”, 1990, pp.101-128.

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