#Pensatodavoi
Emergenza Migranti: il Piano dell'Europa
Il 20 Maggio trecento esperti di migrazioni
hanno pubblicato su opendemocracy.net una lettera aperta per criticare il piano
militare con cui l'Unione Europea sta cercando di risolvere la crisi
mediterranea. Questa nuova strategia prevede un intervento diretto degli stati
europei sulle coste africane, in particolare contro le basi dei trafficanti in
Libia. Scrivono: “Cercare di fermare il traffico di esseri umani con la forza
militare non vuol dire prendere una nobile posizione contro il male dello
schiavismo e neanche contro il ‘traffico’. Significa semplicemente proseguire
una lunga tradizione in cui gli stati usano la violenza per impedire ad alcuni
gruppi di esseri umani di muoversi liberamente”. A ciò si può aggiungere la
citazione di un articolo su Internazionale di Francesca Spinelli, giornalista e
traduttrice:"Si potrebbe obiettare che uno stato ha il diritto di decidere
chi può risiedere sul proprio territorio, ed è vero, ma se per esercitare
questo diritto fa ricorso alla violenza perde ogni legittimità". L'Ue sta cercando di risolvere con misure
d'urgenza una improvvisa crisi che è però legata ad un fenomeno attivo già da
molto tempo. Finora i politici hanno sempre optato per la soluzione militare:
Frontex è attiva dal 2005. E sono ormai dieci anni che agisce per il rimpatrio
forzoso di chi riesce ad arrivare in Europa dall'Africa (e più di recente dal Medio-Oriente). I rappresentanti dell'Unione parlano di guerra
alla schiavitù (e ora anche di guerra al terrorismo, data la presenza dell'ISIS
in Libia) ma agiscono in modo inefficace per risolvere il problema, infatti
bloccare i barconi non gli impedirà di ritentare o trovare vie alternative come
Melilla. Infatti l'estate si annuncia torrida. Circondata su tre lati dal
Marocco, la piccola enclave spagnola dista più di 200 chilometri dalla
madrepatria: il filo spinato che la circonda è l’ultimo ostacolo che separa
migliaia di migranti e rifugiati dal sogno europeo. Gli esperti che hanno scritto la lettere
propongono ai rappresentanti dell'Ue di mettere da parte la retorica
anti-schiavista e agire tenendo conto della “libertà di movimento” e del
“diritto di movimento” elaborato nell’ottocento dagli attivisti africani e
statunitensi. Sottolineano in particolare che è sbagliato parlare di schiavitù
in questo caso perchè nessuno oggi costringe i migranti ad allontanarsi dalle
loro case contro la loro volontà, a pagare migliaia di dollari per il viaggio e
a rischiare la loro vita durante la traversata se non loro stessi. Chi arriva o
cerca di arrivare in Europa (non bisogna dimenticarsi delle perdite di vite in questi
anni, persone che sono diventate semplici dati statistici) lo fa perchè spinto
dalle necessità economiche, dal sogno del benessere occidentale, dalle guerre
locali, dalle persecuzioni religiose. Scappa in cerca di un futuro meno
incerto.
Eunavfor Med
Questo è il nome dato all'operazione navale
approvata dai ministri degli esteri e della difesa europei e che avrà lo scopo
di individuare e poi distruggere i barconi nelle acque e nei porti libici. Eunavfor Med avrà sede a Roma e sarà guidata
dall'ammiraglio Enrico Credendino, precedentemente a capo della Operazione
Atalanta anti-pirateria in Somalia . Il mandato iniziale sarà di un anno (le
operazioni potrebbero iniziare a fine giugno) e per i primi due mesi sono già
stati stanziati circa dodici milioni di euro. Altri investimenti saranno fatti
dopo che le Nazioni unite daranno il loro consenso all'operazione navale. Ad
oggi il piano su cui si sono accordati i ministri europei prevede tre fasi. Una
prima fase di raccolta di informazioni, sorveglianza e valutazione della rete
dei trafficanti. I governanti europei ritengono di poterla avviare anche senza
il consenso delle Nazioni Unite agendo solo in acque internazionali. Seconda e
terza fase prevedono l’individuazione, la cattura e la distruzione delle
risorse dei trafficanti “in modo conforme al quadro giuridico internazionale e
in collaborazione con le autorità libiche”, così è scritto nel piano. Il 18 Maggio, in una conferenza stampa a
Bruxelles, Federica Mogherini, alta rappresentante della politica estera
dell’Ue, ha precisato che per
smantellare le reti dei trafficanti l’Ue dovrà collaborare non solo con il
governo di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, ma anche con i
gruppi rivali che detengono il potere a Tripoli e a Misurata (nessuno dei due
governi ha mostrato alcun segno di voler cooperare a questo piano). Durante la stessa conferenza Michael Fallon, segretario per la
Difesa della Gran Bretagna ha confermato l'aiuto del suo paese nello sviluppo
del piano militare. L'Ue prevede anche di stringere dei rapporti di
cooperazione con i paesi africani in cui transitano i migranti per rendere più
semplice rimandare indietro coloro che non hanno i requisiti per essere
considerati rifugiati. Non è chiaro se distruggere le imbarcazioni
sulla costa fermerà o rallenterà il flusso di migranti, è certo però che questa
operazione richiederà una significativa presenza di intelligence sul
territorio. E l'Ue non ha una presenza ufficiale in Libia. L'operazione Atalanta in Somalia (2012) è vista
come un modello da seguire in questa nuova missione nel Mediterraneo. Ma Ban
Ki-moon, segretario generale delle Nazioni Unite, è cauto e poco favorevole ad
azioni militari. La parte del piano più a rischio è la terza, che prevede
operazioni navali in acque libiche e vicino le coste del paese, che è criticata
dai due governi libici. I rappresentanti europei hanno più volte ripetuto che
in questa fase la regola da seguire sarà "no boots on the ground".
Non basterà il solo impiego dei droni e degli elicotteri (utilizzati per la
raccolta di informazioni) a fermare la partenza dei barconi, se i due governi
non cambieranno idea sull'operazione.
Ripartizione Migranti (la Francia dice no)
Dopo l’arrivo di migliaia di migranti sulle
coste del Mediterraneo nelle ultime settimane, l’Unione europea ha approvato un
piano per la riallocazione temporanea dei richiedenti asilo che sono già in
Europa. La ripartizione tiene conto di quattro parametri: pil, popolazione,
livello di disoccupazione e rifugiati già presenti sul territorio nazionale.
Secondo il piano l'Italia dovrebbe accoglierne solo l'11.84% (siccome accoglie
già un numero di richiedenti asilo equivalente alla quota prevista, non dovrà
ospitarne altri), la Francia il 14.17% e la Germania 18.42%. Le quote dei
restanti paesi dell'area mediterranea sono più contenute (Spagna 9%, Portogallo
5%). E ancora di più quelle dei paesi dell'Est Europa. Il piano di ripartizione ha creato un certo
malumore diffuso. Durante una conferenza a Berlino Hollande ha chiarito la
posizione della Francia:“È fuori discussione che vi siano delle quote di
immigrati perché abbiamo già delle regole” sul “controllo delle frontiere e
anche politiche per arginare l’immigrazione”, ha detto il presidente francese.
Regole evidentemente non adatte a prevenire o arginare la crisi odierna. Solo a
metà maggio è stato approvata una agenda (2015-2020) per stabilire le politiche
comuni sui flussi migratori. Ad oggi Regno Unito, Danimarca e Irlanda
potranno avvalersi della possibilità di non partecipare al piano di
ripartizione. Questo piano e l'operazione navale restano, a
dispetto di tutti gli ostacoli, una significativa reazione da parte dell'Europa
per attivarsi contro un problema che riguarda tutti i paesi membri e di cui
finora solo alcuni si sono dovuti far carico più degli altri.
Conclusione
L'Europa sta cercando di risolvere il problema
nel modo più diretto e semplice possibile: bloccando chi cerca di attraversare
il mediterraneo e distruggendo la rete di chi organizza questo traffico. Sono
azioni sul filo del rasoio, in parte contrarie ai diritti fondamentali dei
migranti (Frontex non ha un proprio ufficio interno per i reclami contro il
trattamento che le persone espatriate subiscono) e in parte contrarie alle
stesse norme europee. Sono però le uniche che l'Ue, una immensa macchina burocratica,
ritiene fattibili in questi mesi in cui la crisi è sentita come più pressante. Finché i movimenti migratori saranno presentati
come una minaccia alla sicurezza e non come un fenomeno legato al lavoro, ai
ricongiungimenti familiari e al diritto umanitario, Frontex continuerà a
crescere e a far crescere il mercato delle tecnologie di sorveglianza, le
persone continueranno a morire ai confini dell’Unione europea e noi a farci
trascinare dai nostri governi in guerre sempre meno immaginarie. Stiamo creando
il problema del domani. Già adesso stanno crescendo movimenti di
protesta e proposte alternative per cercare di risolvere il problema ma nessuno
li ascolta o gli da il giusto peso. Frontexplode, Frontexit, Watch the Med sono
solo alcuni fra i più attivi. I migranti e i loro diritti saranno i
protagonisti dei dibattiti dei prossimi anni nelle commissioni europee, nelle
assemblee fra i ministri e i capi di stato e nelle manifestazioni popolari. L'Europa non è non deve essere una fortezza nel
Mediterraneo. Non siamo soli in questo mare. Dobbiamo avere un ruolo più
attivo, proteggerci e regolare il flusso dei migranti ma anche aiutarli a
scappare dai una situazione insostenibile. Questo potrebbe essere un banco di
prova per l'Ue per creare una propria area di influenza (la Cina ha il sud-est
asiatico, gli USA il pacifico e il centro america, la Russia parte dell'Asia).
Bisogna solo capire se e come intervenire in nord Africa e trarre i massivi
vantaggi possibili per noi e per loro.
Salvatore Carrubba
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