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L'approfondimento settimanale di I.ME.SI.
Diversamente nati: il «turismo procreativo» è davvero un problema?
a cura di
Matteo M.
Winkler, Assistant
Professor presso HEC Paris
Il 22 settembre scorso la
Cour de Cassation francese ha
rilasciato un importante «doppio» parere (nn. G1470006 e J1470007), concernente una prassi
sempre più ricorrente in Francia come nel resto d’Europa: il ricorso a procedure
di fecondazione medicalmente assistita
all’estero (PMA). Volgarmente chiamato, nel dibattito tipicamente povero
del nostro Paese, «turismo procreativo».
Il caso dal quale il
parere trae origine riguarda una coppia di donne francesi e la loro figlia,
nata appunto grazie alla PMA. La compagna della madre biologica chiedeva di
poter adottare la bambina, ma questa ipotesi non è espressamente disciplinata
in Francia, dal momento che la legge del 17 maggio 2013 sul matrimonio
egualitario (Mariage pour tous), che
tanto ha fatto discutere, si è limitata a riconoscere l’accesso delle coppie
gay e lesbiche al matrimonio e all’adozione, senza spendere nemmeno una parola
sulla PMA. Secondo la legge attualmente in vigore, possono quindi sottoporsi a
PMA soltanto le coppie di sesso diverso, coniugate, affette da infertilità
ovvero soggette al rischio di trasmettere patologie gravi al bambino o alla
madre. Secondo alcuni tribunali francesi, quella della PMA all’estero sarebbe una prassi illegale, in quanto volta a
stemperare il rigore della legge francese e dunque a scavalcarla.
Oltrepassare i confini
nazionali per poi rientrare e domandare diritti che non vengono riconosciuti
sul piano interno rappresenterebbe, secondo questa visione, non solo una
patente violazione della legge, ma anche un’autentica «frode alla legge» (fraud à la loi).
La Cour de Cassation ha però smentito questa interpretazione: il fatto
che le due donne abbiano fatto ricorso alla PMA all’estero, infatti, «non urta alcun principio fondamentale del
diritto francese».
Il
caso
Il caso in questione, che
in Francia ha fatto molto discutere generando reazioni di segno opposto,
raccoglie da una parte il dilemma della determinazione dello statuto giuridico
delle «nuove famiglie» (ricomposte, omogenitoriali, monogenitoriali), che si
stanno aprendo una strada nel travagliato sentiero del diritto di famiglia.
Dall’altra parte, sarebbe ipocrita mascherare l’autentica genesi del problema,
che risiede nel fatto che, oggi, i confini nazionali presentano una porosità senza precedenti, e che
quindi, come scrive Hugues Fulchiron, «il
turismo procreativo prospera sulla diversità dei sistemi giuridici che,
comunque li si veda, risultano interdipendenti, dai più rigorosi ai più
liberali».
Le risposte nazionali
appaiono pertanto del tutto insufficienti, ed è ben difficile che gli Stati si
accordino su un trattato internazionale in materia, visto l’alto tasso di
criticità della materia stessa, che va a toccare nervi sensibili del dibattito
pubblico, in bilico tra etica, morale, diritto ed esigenze di vita concreta.
La
questione
Per fare un po’ d’ordine,
è anzitutto importante considerare che i figli dei procedimenti di PMA non
godono, alla luce della maggior parte delle leggi nazionali, di uno statuto
giuridico specifico, ma sono vittime innocenti di un sistema ingiusto che
discrimina le famiglie da cui provengono. Basti pensare, a tale riguardo, che
la PMA è dichiaratamente, in molti Paesi, un rimedio contro l’infertilità,
mentre in altri è una tecnica al servizio di un «progetto genitoriale» posto in
essere dalla coppia; in altri ancora, essa rappresenta uno strumento
finalizzato ad assicurare un diritto individuale alla procreazione.
Dal modo di intendere la
PMA e, di conseguenza, dalla disciplina concreta approntata dal legislatore nazionale
in materia, dipende il carattere proibitivo o liberale dell’ordinamento di
riferimento. In Italia, ad esempio, l’attuale impianto normativo, costituito
com’è noto dalla Legge 19 febbraio 2004,
n. 40, somiglia ormai, più che a un sistema coerente di regole e principi,
a una minuscola forma di gruviera: fatto a pezzi progressivamente dai giudici
di merito e dalla Corte costituzionale, da ultimo con la sentenza che ha dichiarato
incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa, esso si pone di traverso
rispetto a un più generale diritto — del quale non possono che essere titolari
tutti, senza distinzioni fondate sul genere o sull’orientamento sessuale — «di diventare genitori e di formare una
famiglia che abbia anche dei figli[, quale] espressione della fondamentale e
generale libertà di autodeterminarsi»
(Corte cost., 10.6.2014, n. 162, § 6). Il modello scelto dal nostro
legislatore, che è uno dei più restrittivi al mondo, non è dunque più in grado
di sostenere l’urto dell’onda dei diritti fondamentali.
Ad ogni buon conto, a
prescindere dal modello prescelto, una cosa è certa: i figli nati da PMA non possono
essere diversi dagli altri bambini, se non altro perchè non è il modo con cui
nasciamo a determinare la nostra esistenza futura. La Cassazione francese lo
dice forte e chiaro nel suo parere: alla compagna della madre biologica deve
essere riconosciuto lo status di
madre perché in Francia la filiazione va stabilita «senza alcuna restrizione relativa al modo con cui il bambino è stato
concepito». Privilegiare la famiglia cosiddetta «tradizionale», nella quale
prevale sempre — e senza pietà — il legame
biologico e la discendenza da un
rapporto sessuale, magari occasionale, trascura quella che Stefano Rodotà
chiama «la famiglia fondata sulla
spontaneità degli affetti».
Il
ruolo del giurista
Il giurista che si
interroghi sul problema dei figli nati da PMA all’estero deve allora fare i
conti non solo con un mondo sempre più globale e con un diritto di famiglia
sempre più variegato, ma pure con la logica pregnante dei diritti fondamentali,
che attribuisce dignità umana anche
ai figli nati da tecniche di PMA.
Non solo. Come ha
correttamente evidenziato la Corte costituzionale austriaca in una sua importante decisione del 2013, quando si dà
la giusta rilevanza al progetto
procreativo deve necessariamente concludersi che, senza tale progetto, I
bambini nati da PMA non esisterebbero. Coloro che hanno veramente a cuore la
tutela degli indifesi non possono semplicemente ignorare questo principio
elementare e di civiltà.
Bibliografia
recente
— H. Fulchiron, La lutte contre le tourisme procréatif: vers
un instrument de coopération internationale?, in «Journal du droit
international», 2014, 563 ss.
— S. Tonolo, La trascrizione degli atti di nascita
derivanti da maternità surrogata: ordine pubblico e interesse del minore,
in «Rivista italiana di diritto internazionale privato e processuale», 2014, 81
ss.
— G.O. Cesaro, P.
Lovati, G. Mastrangelo (cur.), La
famiglia si trasforma. Status familiari costituiti all’estero e loro
riconoscimento in Italia, tra ordine pubblico e interesse del minore,
Milano, 2014.
— S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Milano,
2012.
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