#Pensatopervoi
La rubrica settimanale con le nostre proposte
L’Italia e l’Europa si trovano al centro di due
scenari di crisi - quello nordafricano-mediorientale e quello ucraino - che non
si possono considerare separatamente. In entrambi Mosca è presente in prima
linea e c’è il rischio di un acuirsi dell’attrito Nato-Russia (è utile
ricordare che il golpe di Majdan è scoppiato poco dopo l’accordo sull’arsenale
chimico siriano). In Medio Oriente implode l’ordine derivante dagli accordi
scritti a tavolino dai plenipotenziari Mark Sykes e François Picot nel 1916 e
riemergono le crisi post-ottomane; in Ucraina si è ravvivata la mai sopita
contesa Nato-Russia che aveva avuto nella guerra di Georgia e nel
riconoscimento del Kosovo le ultime manifestazioni. E’ utile rispolverare “La
Grande Scacchiera” (1997) di Brzezinski per comprendere come la questione
ucraina, all’interno della più grande partita eurasiatica, non sia nata oggi;
le previsioni del politologo statunitense sono state in buona parte sconfessate
dalla convergenza sino-russo-iraniana (che ha trovato una conferma geopolitica
in Siria nelle recenti parole di Assad[i])
ma il dibattito sulla necessità del contenimento della Russia, oggi molto
diversa rispetto agli anni novanta, è molto attuale e Brzezinski (rinnovato)
non passa mai di moda. In Siria, con la liberazione di Palmyra, si cominciano
ad avvertire gli effetti dell’intervento russo e appare chiaro che i
bombardamenti senza operazioni di terra concordate sono inutili. I bombardamenti
della coalizione a guida Usa hanno concluso ben poco a differenza del più
recente ma efficace intervento di Mosca che ha saputo cavalcare anche il
malcontento dei curdi siriani, in particolare dopo l’abbattimento del jet russo
da parte della Turchia (componente della Nato). In Libia regna il caos e
restano molto vaghe le prospettive di un accordo stabile e duraturo fra i tre
governi, i poteri informali tribali e le varie milizie armate.
Mentre si discuteva di una nuova campagna libica
con un ruolo forse “determinante” dell’Italia (parzialmente frenata
dall’azzeccata cautela italiana), indiscrezioni provenienti dal quotidiano
francese “Le Monde”[ii]
ci informavano su un ruolo attivo di militari francesi sotto copertura in Libia
e un articolo del “Telegraph” faceva riferimento alla presenza di forze
speciali britanniche e statunitensi a Misurata[iii].
Una riedizione del ruolo franco-britannico in terra libica in occasione della
guerra contro Gheddafi – questa volta con obiettivi diversi – ma che testimonia
l’estremo interesse delle due potenze ex-coloniali per il paese nordafricano.
La Francia nutre interesse per le zone confinanti con la Françafrique (in
particolare nel Fezzan libico) ed è stata il principale sponsor della guerra
del 2011. Fatto certamente curioso è che nel 2011 i militari francesi operavano
in complicità con le milizie ribelli ai danni di un governo avverso al
fondamentalismo, mentre adesso si intestano la campagna anti-jihadista. D’altra
parte, il Mali, la Siria e la Libia ci hanno ben illustrato l’ambigua politica
francese dai doppi standard nei confronti del cosiddetto jihadismo.
La (soltanto presunta) “potenza mediterranea”
italiana vuole adesso preservare la sua porzione di interessi energetici
localizzati in Tripolitania (parte occidentale). A cent’anni dalla campagna di
Libia del 1911 (che ha contribuito anche ad accendere la miccia per lo scoppio
del primo conflitto mondiale), il nostro paese ha contribuito alla
destabilizzazione del proprio fronte Sud con la partecipazione alla guerra
contro Gheddafi nel 2011, agendo anche contro i propri interessi. Durante la
guerra civile del 2011 i ribelli libici venivano spesso dipinti come agguerriti
liberal magari con il “Saggio sulla libertà” di John Stuart Mill tra le
braccia, ignorando due tra le componenti fondamentali della guerra civile:
tribalismo e islamismo. Una guerra dagli esiti catastrofici, in particolare per
l’Italia (oltre che per i libici), viene presentata comunemente come uno
“sbaglio”, come se non fosse stata pianificata e condotta con cura. Parole
ragionevoli sono state recentemente espresse da Romano Prodi che, interrogato
sulla partecipazione italiana alla guerra in Libia, ha risposto così: «Non uno
sbaglio, ma un errore tragico! Non ho mai visto un paese pagare per una guerra
fatta contro se stesso»[iv].
La politica mediterranea italiana, che molto ha
puntato sui rapporti con il Generale al-Sisi, viene adesso messa in crisi anche
nel fronte egiziano: si vorrebbe (giustamente!) reclamare la verità per il nostro
connazionale brutalmente ucciso e contemporaneamente mantenere le buone
relazioni con l’Egitto dove, insieme alla lotta al terrorismo, gli apparati di
sicurezza non esitano a reprimere con forza movimenti sociali e opposizioni di
ogni sorta e lo “stato profondo” non è facilmente controllabile dal potere
centrale. L’Italia non può certamente arrendersi di fronte alle contrastanti
verità di comodo fornite dall’Egitto e la ricerca della verità sull’uccisione
del nostro connazionale deve essere una priorità inderogabile. L’Egitto è anche
invischiato nel conflitto libico dove nutre forti ambizioni egemoniche in
Cirenaica (sostiene il generale Haftar).
Per gli alleati euro-atlantici siamo più una base
logistica che un attore geopolitico. Abbiamo contribuito alla destabilizzazione
del nostro fronte Est balcanico (con il conseguente aumento di traffici
criminali) e poi del fronte Sud libico. Geograficamente al centro del
Mediterraneo, geopoliticamente secondari e subalterni. Vorremmo inoltre provare
a distendere le relazioni con la Russia ma i nostri margini di manovra sono
minimi e abbiamo dovuto accettare le sanzioni contro Mosca (e le conseguenti
controsanzioni russe), pur essendo nocive per la già non brillante economia
italiana, lasciando decidere ai paesi della “nuova Nato” dell’Est il futuro
delle relazioni euro-russe. Dal prossimo anno centinaia di carri armati e
veicoli militari saranno schierati lungo i confini orientali della Nato come
deterrente contro “l’aggressività russa”: è certamente scontata l’opposizione
di Mosca all’ennesima manovra accerchiante di contenimento ma non devono
stupire le proteste dei paesi più oltranzisti all’interno della Nato – Polonia
in primis – che vorrebbero “precauzioni” militari ancora più forti e stabili
contro la Russia[v].
In Siria ci siamo accodati per anni a rimorchio
delle ambizioni turco-saudite salvo poi renderci conto che forse un altro Stato
fallito, punto di snodo per jihadisti di ogni sorta, non era la soluzione
migliore. Oggi con abbondante ritardo e con le doverose cautele del caso (non
bisogna indispettire troppo gli “alleati”) anche l’Italia riconosce il
fondamentale ruolo della Russia nel tentativo di risoluzione della crisi
siriana.
Per quanto riguarda gli equilibri dell’Eurozona, la
“lezione” greca è stata istruttiva per chiunque osi mettere in discussione
l’attuale assetto europeo e il dogma dell’austerità; forse Tsipras sperava in
un più marcato impegno anti-austerity dell’Italia che però non è arrivato. “In
questa partita si è meglio profilata la geopolitica dell’Eurozona. Al centro,
la Germania, dominante ma non egemone, con attorno un ambiguo corteo nord- e
mitteleuropeo, nel quale si sono stavolta segnalati per vocazione satellitare
slovacchi e baltici. Un paio di gradini sotto, la Francia, cui i tedeschi
concedono, con rattenuta insofferenza, di apparire loro legittima associata”[vi];
così Lucio Caracciolo, direttore di “Limes” ha descritto la geopolitica
dell’Eurozona a seguito dall’esito delle vicende greche.
Se volessimo provare a definire chiaramente la
politica estera e la proiezione geopolitica dell’Italia, probabilmente non ci
riusciremmo. Parte di un’Europa inesistente dal punto di vista politico (e in
cui contiamo poco), ci troviamo schiacciati dalle ambizioni di egemonia
geoeconomica tedesca e siamo contemporaneamente incapaci di rappresentare gli
interessi del cosiddetto Sud Europa. A livello globale gli Stati Uniti provano
a rilanciare la loro centralità geoeconomica e geopolitica con la formazione di
due aree di scambio: TTIP (per rinsaldare i legami euro-atlantici) e TPP nel
Pacifico: la prima senza la Russia, la seconda in ottica anticinese. Su questo
il dibattito europeo è ridotto al minimo e in Italia – dove ci si anima per ben
altre cose – è sostanzialmente inesistente. “Cose troppo più grandi di noi”,
qualcuno è certamente portato per istinto a pensare. Se da un lato è
consigliabile armarsi sempre di un sano realismo politico (ma questo andrebbe
consigliato soprattutto ai promotori di un intervento italiano in Libia),
d’altra parte sarebbe catastrofico rinchiuderci in un approccio deterministico
– in base al quale possiamo agire soltanto nei limiti imposti da chi ci sta
sopra (o pretende di starci) – rifiutando di contare alcunché in Europa e nel
mondo. Continueremo per il resto a chiedere il contentino di turno, che sia la
diga di Mosul o un qualche ruolo in Libia, rinunciando totalmente a una visione
di lungo periodo. Figure come quella di Enrico Mattei – che non era un politico
– appartengono davvero a un altro secolo.
Federico La Mattina
Note
[i] http://rbth.com/international/2016/03/31/syria-to-lean-on-russia-china-iran-for-rebuilding-assad_580591.
[ii] N. Guibert, La guerre secrète de la
France en Libye, “Le Monde”, 24/02/2016, https://t.co/pNP5ENNxYT.
[iii] R. Sherlock, British ‘advisers’ deployed
to Libya to build anti-Isil cells, “The Telehraph”,27/02/2016
[iv] R. Prodi, Missione incompiuta, intervista su
politica e democrazia, a cura di Marco Damilano, Bari, Laterza, 2015, p. 128.
[v] Si veda G. Lubold, J. E. Barnes, Pentagon Readies
More Robust U.S. Military Presence in Eastern Europe, “The Wall Street
Journal”, 30/3/2016. Vedi anche J. R. Deni, Poland Wants More Than NATO
Can Give, “The National Interests”, 10/02/2016.
[vi] L. Caracciolo, Grecia, il protettorato in maschera,
“la Repubblica”, 14/07/2015
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