#Specialeelezioni
Grexit,
tra mito e realtà
SYRIZA
stravince, i Greci Indipendenti dovrebbero superare lo sbarramento, e la
prospettiva di alleanze problematiche sembra essere scongiurata. La palla è in mano a Tsipras, che ora deve giocare in trasferta. La partita verterà
sulle regole europee. Ma cosa chiede di preciso e che assi può schierare?
Metafore
calcistiche a parte, è d’obbligo ricordare che il programma di SYRIZA non
prevede assolutamente l’uscita della Grecia dall’Eurozona. In questi mesi sia il responsabile economico del partito
Yanis Varoufakis sia lo stesso Tsipras non hanno certo lesinato dichiarazioni
volte a rassicurare i malpancisti, a Bruxelles come a Francoforte, rispetto a
questo tipo di ipotesi.
Il programma
economico del partito greco prevede in estrema sintesi di:
-Cancellare una parte (non esplicitata) del valore nominale
del debito pubblico;
-Chiedere di indire una "Conferenza europea sul
debito", volta appunto ad alleggerire il debito;
-Includere una "clausola di crescita" nel
rimborso della parte restante del debito pubblico in modo che il pagamento
degli interessi sia finanziato dai progressi del Pil;
-Includere una moratoria al pagamento degli interessi per
finanziare investimenti;
-Escludere gli investimenti pubblici dai vincoli
del Patto di stabilità e di crescita;
-Avviare un “New Deal” europeo di investimenti
pubblici finanziati dalla Banca Europea per gli Investimenti;
-Avviare da parte della BCE acquisti diretti di
obbligazioni sovrane;
Contestualmente sul versante interno, SYRIZA promette politiche volte al sostegno della domanda attraverso un piano di investimenti pubblici (almeno 4 miliardi), diretti ad aumentare salari minimi e pensioni (che hanno perso il 30-40% del loro valore nominale dall’inizio della crisi), ripristinare lo stato sociale e aumentare le risorse destinate a ricerca, istruzione e innovazione tecnologica. La prima parte è naturalmente la più interessante, in quanto vede la totale rinegoziazione del Memorandum firmato con la Troika. Il significato strettamente economico di tali proposte, è però controverso. Il solo fatto di concentrarsi quasi esclusivamente sul problema del debito pubblico, rivela un notevole iato di analisi nei confronti delle cause alla base della crisi greca. Come studi scientifici di molti economisti, e la stessa BCE per bocca di Vitor Costancio (vicegovernatore) affermano, le radici della crisi dei debiti sovrani dei PIIGS nascono da una prolungata accumulazione di debito privato. Nei primi 7 anni di euro il debito privato è aumentato complessivamente del 27% nell’eurozona, solo in Grecia del 217%. In breve, la bilancia dei pagamenti nazionale (differenza netta tra import ed export di beni, servizi, ecc..), negli anni precedenti alla crisi, ha visto registrare una crescente posizione debitoria (importano più di quanto esportano) di questi paesi con l’estero. Lo scoppio della crisi finanziaria del 2007/2008 negli USA ha fatto il resto. Le Banche creditrici del nord Europa, quelle più compromesse col terremoto statunitense, devono rientrare dai crediti esigibili. Le economie periferiche dell’eurozona si trovano nella situazione di dover remunerare il massiccio afflusso di crediti esteri di cui prima. Così con la crisi degli “Spread” 2010/2011, una crisi di finanza privata si trasforma in una di conti pubblici, gli stati dovranno garantire i creditori. Questi anni di austerità sono serviti in Grecia (ma anche in Italia) a “mettere a posto” proprio i conti con l’estero, contestualmente l’esposizione degli istituti bancari nord-europei in attività greche ad oggi è irrisoria, motivo per cui una improbabile uscita della Grecia dalla zona euro presenterebbe un bassissimo rischio di contagio. Il debito pubblico è invece continuato a salire, raggiungendo dal 129% sul PIL del 2009 il 175% odierno. Dunque, l’enfasi sul debito pubblico e sulle misure di austerity del programma di SYRIZA è rivolta sostanzialmente alle conseguenze anziché alle cause della crisi in corso. Per di più avere in mente di praticare politiche espansive, all’interno di un’UEM non dotata di meccanismi di riequilibrio, contribuirebbe a rimettere in crisi proprio la posizione debitoria netta con l’estero, l’elasticità delle importazioni greche rispetto al PIL è infatti di 1,8 (elaborazioni su dati Eurostat). La questione delle proposte economiche va però analizzata anche sul versante della loro praticabilità politica. Come si sa, la partita europea è una partita tra stati. L’UE non è un istituzione politica unitaria, e le richieste di un eventuale Governo Tsipras dovranno essere contrattate con gli altri esecutivi europei. Il leader greco questo lo sa bene, come sa di dover lottare per un compromesso. Lo scenario più probabile, è quello di un Governo greco che tenterà di trovare appoggi politici nei governi “social-democratici” del sud, Francia e Italia in primis, per tentare di dare un maggiore sostegno ad alcune sue rivendicazioni mal digeribili dalle elites nord-europee. Se Tsipras, smentendo la prudenza di questi mesi, di fronte a veti o dinieghi dei paesi forti ribaltasse il tavolo, non è escluso a priori che sotto la morsa dei mercati la Grecia sia costretta ad un abbandono non pianificato, ne indolore della moneta unica. In ogni caso se di un uscita dall’euro si deve parlare, comincerei a prestare attenzione proprio alla Germania. Ma così si rischia di cadere nella divinazione.
Contestualmente sul versante interno, SYRIZA promette politiche volte al sostegno della domanda attraverso un piano di investimenti pubblici (almeno 4 miliardi), diretti ad aumentare salari minimi e pensioni (che hanno perso il 30-40% del loro valore nominale dall’inizio della crisi), ripristinare lo stato sociale e aumentare le risorse destinate a ricerca, istruzione e innovazione tecnologica. La prima parte è naturalmente la più interessante, in quanto vede la totale rinegoziazione del Memorandum firmato con la Troika. Il significato strettamente economico di tali proposte, è però controverso. Il solo fatto di concentrarsi quasi esclusivamente sul problema del debito pubblico, rivela un notevole iato di analisi nei confronti delle cause alla base della crisi greca. Come studi scientifici di molti economisti, e la stessa BCE per bocca di Vitor Costancio (vicegovernatore) affermano, le radici della crisi dei debiti sovrani dei PIIGS nascono da una prolungata accumulazione di debito privato. Nei primi 7 anni di euro il debito privato è aumentato complessivamente del 27% nell’eurozona, solo in Grecia del 217%. In breve, la bilancia dei pagamenti nazionale (differenza netta tra import ed export di beni, servizi, ecc..), negli anni precedenti alla crisi, ha visto registrare una crescente posizione debitoria (importano più di quanto esportano) di questi paesi con l’estero. Lo scoppio della crisi finanziaria del 2007/2008 negli USA ha fatto il resto. Le Banche creditrici del nord Europa, quelle più compromesse col terremoto statunitense, devono rientrare dai crediti esigibili. Le economie periferiche dell’eurozona si trovano nella situazione di dover remunerare il massiccio afflusso di crediti esteri di cui prima. Così con la crisi degli “Spread” 2010/2011, una crisi di finanza privata si trasforma in una di conti pubblici, gli stati dovranno garantire i creditori. Questi anni di austerità sono serviti in Grecia (ma anche in Italia) a “mettere a posto” proprio i conti con l’estero, contestualmente l’esposizione degli istituti bancari nord-europei in attività greche ad oggi è irrisoria, motivo per cui una improbabile uscita della Grecia dalla zona euro presenterebbe un bassissimo rischio di contagio. Il debito pubblico è invece continuato a salire, raggiungendo dal 129% sul PIL del 2009 il 175% odierno. Dunque, l’enfasi sul debito pubblico e sulle misure di austerity del programma di SYRIZA è rivolta sostanzialmente alle conseguenze anziché alle cause della crisi in corso. Per di più avere in mente di praticare politiche espansive, all’interno di un’UEM non dotata di meccanismi di riequilibrio, contribuirebbe a rimettere in crisi proprio la posizione debitoria netta con l’estero, l’elasticità delle importazioni greche rispetto al PIL è infatti di 1,8 (elaborazioni su dati Eurostat). La questione delle proposte economiche va però analizzata anche sul versante della loro praticabilità politica. Come si sa, la partita europea è una partita tra stati. L’UE non è un istituzione politica unitaria, e le richieste di un eventuale Governo Tsipras dovranno essere contrattate con gli altri esecutivi europei. Il leader greco questo lo sa bene, come sa di dover lottare per un compromesso. Lo scenario più probabile, è quello di un Governo greco che tenterà di trovare appoggi politici nei governi “social-democratici” del sud, Francia e Italia in primis, per tentare di dare un maggiore sostegno ad alcune sue rivendicazioni mal digeribili dalle elites nord-europee. Se Tsipras, smentendo la prudenza di questi mesi, di fronte a veti o dinieghi dei paesi forti ribaltasse il tavolo, non è escluso a priori che sotto la morsa dei mercati la Grecia sia costretta ad un abbandono non pianificato, ne indolore della moneta unica. In ogni caso se di un uscita dall’euro si deve parlare, comincerei a prestare attenzione proprio alla Germania. Ma così si rischia di cadere nella divinazione.
Luca Scaglione
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