LA PAROLA ALL’ESPERTO
La rubrica mensile di IMESI che riporta la voce degli esperti sulle maggiori tematiche di politica internazionale
La rubrica mensile di IMESI che riporta la voce degli esperti sulle maggiori tematiche di politica internazionale
Cambiamenti globali e sfide energetiche: l'intervista a Matteo Verda, ricercatore ISPI
a cura di Martina Bonaffini
a cura di Martina Bonaffini
Questo mese nella rubrica “La parola all'esperto” ospitiamo
MatteoVerda, http://www.ispionline.it/en/ricercatore/matteo-verda, ricercatore dell'Istituto per gli Studi di
Politica Internazionale (Ispi), esperto in politiche energetiche e di sicurezza
. In questa intervista ci spiegherà la dipendenza degli Stati dai combustibili,
in che modo l'industrializzazione abbia giocato un ruolo determinante sotto il
profilo dei consumi e delle dipendenze “inter “ stati, e come si siano sviluppate le politiche energetiche in vista
delle nuove sfide globali.
Quanto conta il petrolio nella vita degli stati per definire
la loro posizione nei mercati?
La domanda posta in questi termini è senza dubbio molto
vasta. Diciamo che il petrolio resta la fonte energetica più importante sui
mercati internazionali. Per i paesi industrializzati e importatori,
l’approvvigionamento energetico tende a essere un’attività economica svolta da
soggetti privati. I governi si limitano a garantire un livello minimo di
sicurezza tramite l’accumulo di riserve strategiche e intervengono
diplomaticamente e militarmente in caso di gravi minacce. Per i paesi esportatori, il settore energetico rappresenta
spesso un elemento centrale dell’economia nazionale ed è oggetto di intervento
diretto e costante del governo. Tipicamente, attraverso il controllo pubblico
di una compagnia energetica nazionale.
Quali sono i paesi produttori e chi ne dipende?
I principali produttori mondiali sono gli Stati Uniti,
l’Arabia Saudita e la Russia, che insieme estraggono circa un terzo di tutto il
petrolio consumato nel mondo. Arabia Saudita e Russia sono anche grandi
esportatori, seguiti da Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Venezuela. Per quanto riguarda gli importatori, i principali sono
l’Unione Europea, la Cina, l’India e il Giappone. Anche gli Stati Uniti sono
ancora un importatore netto, ma meno che in passato, grazie all’aumento della
produzione domestica da non convenzionale.
Quali politiche dovrebbero adottare gli stati per
raggiungere il grado di competitività nel mercato, al pari di U.S.A e Giappone,
ad esempio.
Questa è una domanda molto complessa, la cui risposta
dipende dalle condizioni specifiche del paese considerato. Per esempio, per replicare
il boom del non convenzionale nordamericano servono le condizioni geologiche,
industriali e legali statunitensi, di certo non replicabili in molti altri
paesi. Quanto al Giappone, gli investimenti in ricerca tecnologica e
l’efficienza energetica sono aspetti sicuramente importanti.
È possibile un black out energetico mondiale? Se accadesse
gli stati come potrebbero reagire considerata la dipendenza dall'energia?
No, non è possibile nulla del genere. La molteplicità delle
fonti energetiche e dei fornitori rende difficile ipotizzare un’interruzione
generalizzata delle forniture in ogni parte del mondo.
Quali sono le energie che muovono gli stati e quindi le
economie?
L’energia è una sola. Esistono invece molte fonti e molti
vettori diversi. Attualmente, l’energia consumata a livello mondiale viene
soprattutto dalle fonti fossili: petrolio, carbone e gas naturale contano per
l’80% del totale. Accanto a queste, si trovano le rinnovabili (15%) e il
nucleare (5%).
Vi è spazio per le energie rinnovabili?
Senza dubbio. Ma per diffondersi e diventare dominanti nel
paniere energetico, dovranno diventare economicamente competitive. Occorre
investire molto in ricerca, in particolare con un occhio di riguardo alle
tecnologie che consentano di accumulare l’energia prodotta con le fonti
discontinue, come il fotovoltaico e l’eolico.
Quali paesi
potrebbero adottare “politiche rinnovabili “?
Ogni paese può farlo, in realtà. Poi, certamente avere ampi
territori non urbanizzati o godere di un irraggiamento solare molto forte e
costante sono indubbi vantaggi competitivi.
Qualora nel mercato l'offerta non dovesse più soddisfare la
domanda cosa accadrebbe? Inversione di rotta verso altri combustibili o
collasso dell'economia con conseguente guerra petrolifera?
Come per ogni mercato, quando la domanda supera l’offerta, i
prezzi tendono a salire. Se i meccanismi di mercato funzionano male o saltano,
allora l’approvvigionamento energetico diventa una questione di sicurezza, da
affrontare con strumenti militari. Si tratta però di un’ipotesi estrema e molto
cambia in base alla fonte energetica che si considera. Il mercato petrolifero e
quello del carbone, per esempio, sono molto diversi da quello del gas. Nei
primi, il trasporto avviene soprattutto via nave ed è relativamente economico.
Nel caso del gas naturale, invece, il trasporto avviene soprattutto via tubo e
dunque produttori e consumatori sono costretti a cooperare, se vogliono trarre
vantaggio reciproco. In linea di principio, ogni fonte è sostituibile, la questione
è il costo di farlo. Banalmente, tuttavia, quello che in tempo di pace è
impensabile, in caso di emergenza può diventare una misura indispensabile.
Com'è cambiata la concezione della produzione energetica in
Giappone dopo Fukushima?
Inizialmente, l’ondata emotiva è stata comprensibilmente
grande. Riassorbito lo shock, resta una grande consapevolezza nell’élite del
paese di quanto la tecnologia nucleare sia indispensabile per garantire il
benessere e la sicurezza del Giappone nel lungo periodo. Peraltro,
l’alternativa al nucleare in questi anni è stata una maggiore dipendenza dalle
importazioni di gas e carbone, con effetti molto negativi sulla bilancia
commerciale giapponese e sul livello di emissioni climalteranti.
Qual è il ruolo dell'italia nei mercati internazionali, e quali sono le
strategie adottate dalle imprese?
L’Italia è una paese dipendente dalle importazioni, sia di
petrolio sia di gas naturale. Nel caso del petrolio, i consumi italiani valgono
poco più dell’1% del mercato mondiale: in questo settore, la sicurezza energetica
del paese dipende dalla stabilità e dal corretto funzionamento dei mercati
internazionali. Nel caso del gas naturale, la stabilità delle forniture dipende
invece dai fornitori collegati via tubo alla rete nazionale. Per questi
produttori, il mercato italiano rappresenta invece uno sbocco molto importante
e la cooperazione, anche istituzionale, gioca spesso un ruolo importante. Per quanto riguarda le imprese, Eni, Enel, Edison e alcuni
grandi gruppi di municipalizzate hanno una lunga storia di attività in Italia e
rappresentano un settore industriale importante per il paese. Al pari degli
altri paesi europei, però, l’Italia ha scelto la via dell’apertura del mercato
alla concorrenza e di riduzione dell’intervento pubblico. Oggi, i grandi
operatori nazionali rispondono a strategie essenzialmente economiche e alla
logica di creazione di valore per i propri azionisti.
Quanto costa all'Europa la sicurezza energetica? Da chi
viene pagata?
È impossibile quantificare, perché ogni misura di politica
energetica ha molte ricadute in ambiti diversi. Per esempio, i generosi sussidi
alle rinnovabili pagati da Italia e Germania hanno aumentate la produzione
interna e quindi ridotto i rischi alla sicurezza derivanti dalla dipendenza
dalle importazioni. Sarebbe però difficile dire quanta parte dei 13 miliardi di
sussidi pagati in bolletta dagli italiani ogni anno sia da considerarsi un
costo di sicurezza e quanto una misura ambientale o di redistribuzione sociale. In generale, è però possibile dire che l’esistenza di un
mercato ampio e liquido, dove realizzabile, è lo strumento più efficace per
garantire la sicurezza dei consumatori. Perché quando ci sono molti fornitori
in reale concorrenza tra loro, se uno viene meno, altri possono sostituirlo.
Come accade nel mercato del carbone, di cui non a caso si sente poco parlare,
in termini di rischio per la sicurezza, nonostante rappresenti una quota dei
consumi energetici mondiali analoga a quella del petrolio.
La crisi ucraina ha messo a repentaglio le forniture di
energia per l'Europa, quali politiche “salva gas “ sono state attuate dagli
stati per placare questa possibile rottura?
La migliore politica “salva gas” è quella di collaborare con
chi il gas già ce lo fornisce, ossia con la Russia. Nonostante le divergenze
politiche su altri temi, le forniture da parte russa non sono mai state messe
in discussione. Per Gazprom, l’Unione Europea è di gran lunga il mercato più
importante: la compagnia russa dipende dall’accesso al mercato europeo perfino
più di quanto gli importatori europei dipendano dal gas russo. Questa reciproca
dipendenza rende i flussi di gas russo più affidabili di quanto non appaia
mediaticamente.
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