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L'approfondimento settimanale di I.ME.SI.
Abolizione della pena di morte nel mondo. Un processo ormai
irreversibile
a cura di Ezio Savasta
Prof. Ezio Savasta |
La pena di
morte può essere considerata la sintesi di molte violazioni dei diritti umani,
rappresenta sempre, infatti, una forma di tortura mentale dei condannati, contraddice
una visione riabilitativa della giustizia, abbassa l'intera società al livello
di chi uccide, legittima una cultura di morte al livello più alto, da parte
dello stato, mentre dice di voler difendere la vita umana colpisce in maniera
sproporzionata minoranze politiche, etniche, religiose e sociali, umiliando
l'intera società.
In un tempo
non lontano tutti i popoli, tutte le nazioni e tutti i gruppi umani ritenevano
che la pena di morte fosse utile, ovvia o necessaria per punire una colpa
grave. Questo tempo è
durato dall'inizio della storia al XVIII secolo. Cesare
Beccaria in questo periodo scriveva un'opera “Dei delitti e delle pene” in cui
si riteneva che la ragione dovesse illuminare il dominio dell'azione penale e
dedicava un capitolo all'abolizione della pena di morte. Da allora
questa cultura giudica e umana è stata recepita da larghi strati della
popolazione mondiale. In Europa ormai la pena di morte è bandita dalla sua
costituzione ed è una delle clausole per l'ammissione di nuovi Stati membri del
Consiglio d'Europa che si devono impegnare ad adottare una moratoria sulle
esecuzioni e a ratificare il protocollo n.6 della convenzione europea dei
diritti dell'uomo (CEDU) che li vincola all'abolizione definitiva della pena
capitale.
In Europa si può
dire quindi che la pena di morte è debellata anche se non completamente:
l'unico stato europeo che la pratica è la Bielorussia, e sono forti le
pressioni politiche affinché la abolisca e l'Europa possa dirsi totalmente
libera da questo retaggio di una cultura giuridica disumana. Questo
processo che è prossimo al completamento in Europa sta marciando a grandi passi
nel resto del mondo. Progressivamente ogni anno il numero di paesi che smettono
la pratica dell'eliminazione fisica del responsabile di gravi reati aumenta.
Una prova
evidente è vedere il cammino della moratoria universale della pena di morte in
sede ONU.
Vediamo
un quadro dello status dei paesi del mondo sulla pena di morte al marzo 2014
secondo i dati forniti da Amnesty International:
98
paesi hanno abolito la pena di morte per ogni reato
7
paesi l'hanno abolita per reati comuni ma la mantengono in condizioni speciali
come in caso di guerra
35
sono i paesi abolizionisti de facto: che hanno la pena di morte nei loro
ordinamenti giuridici ma non eseguono da più di 10 anni
58
sono quelli che mantengono la pena di morte.
Ma
se vediamo le scelte fatte dai vari paesi per l'approvazione della moratoria i
numeri cambiano.
La
moratoria ha l'efficacia di salvare vite umane, come una sorta di “cessate il
fuoco” in attesa che gli ordinamenti degli stati si adeguino giuridicamente per
far sparire dal Codice Penale e dalla Costituzione ogni richiamo alla pena di
morte. La moratoria è
stata proposta per la prima volta dall'Italia nel 1994, la maggioranza dei
favorevoli non venne raggiunta per 8 voti. Nel
1997 la Commissione dell'ONU per i Diritti Umani approvò una risoluzione per "una
moratoria delle esecuzioni capitali, in vista della completa abolizione della
pena di morte”. La
moratoria è quindi diventata un passo più facile da compiere, per non compiere
esecuzioni per quei paesi che hanno all'interno dei loro ordinamenti la pena
capitale ma che ormai nella prassi l'hanno superata o la vogliono superare. Nel
recente voto alla VI Commissione delle Nazioni Unite sulla proposta di
moratoria universale della pena di morte 114 Stati hanno espresso voto
favorevole alla mozione, tre in più rispetto a due anni fa. Nel
mese di dicembre si attende la ratifica del voto in Commissione nella Assemblea
generale dell'ONU. E'
interessante, per valutare il trend positivo verso l'abolizione della
pena capitale, vedere come siano andate le votazioni in sede ONU negli ultimi 7
anni: i contrari sono passati da 52 a 36 (- 30%) e 7 anni sono nulla quando si
parla di questi fenomeni. In
Africa i contrari sono passati da 11 a 6, in pratica dimezzati, in Asia da 25 a
18 (- 28%). Ma
questo processo non è solo giuridico, è culturale. La
società civile di molti paesi sta cambiando in questa direzione anche grazie a
molte iniziative che stanno svolgendo associazioni che lavorano nel campo dei
diritti umani e dell'impegno civile. Tra
le tante iniziative una che merita di essere citata per la sua efficacia sulla
società civile è “Città per la vita: città contro la pena di morte” promossa dal
2002 dalla Comunità di Sant'Egidio che celebra la giornata del 30 novembre e conta
l'adesione di 1950 città del mondo. In
questo giorno le città che aderiscono accendono di una luce particolare un
monumento significativo della propria città e con i cittadini organizzano un
evento pubblico contro la pena di morte. A
Roma il Colosseo è diventato un simbolo di vita e ogni anno il 30 novembre si
illumina di una luce speciale per dire con tutte le altre città che “Non c'è
giustizia senza vita”. Il
30 novembre rappresenta l'anniversario della prima abolizione da parte di una stato
della pena capitale, il Granducato di Toscana il 30 novembre del 1786. Il
movimento delle “Città per la vita”, ha avviato percorsi di sostegno e di
negoziato per paesi mantenitori fino all'abolizione della pena capitale – dal
Burundi al Gabon, dall'Uzbekistan ala Kazakistan – e promuove annualmente una
Conferenza Internazionale dei Ministri della Giustizia che è un laboratorio di
dialogo e un workshop internazionale in chiave abolizionista che
coinvolge anno dopo anno paesi retenzionisti e abolizionisti in un lavoro
comune. Quest'anno
lo sviluppo di questo movimento ha permesso che si potesse organizzare un
Convegno Internazionale contro la pena di morte e la difesa dei diritti umani,
per la prima volta nella storia in Asia, a Manila nelle Filippine. Forse
il cammino per l'abolizione totale della pena di morte nel mondo ha bisogno di
altri passi per poter arrivare alla sua conclusione, ma il processo è
irreversibile, non ha mai subito a livello planetario pause e tanto meno una
inversione di rotta. La
pena di morte diventerà un retaggio del passato come lo sono le violazioni
palesi dei diritti dell'uomo come la schiavitù che ufficialmente è bandita da
tutti gli stati. Nei
bracci della morte vivono tanti uomini e donne, solo negli USA sono 3.500,
sperano che questo processo sia così rapito da poter salvare la loro vita. Non
li possiamo dimenticare: è per loro che molti lottano e vogliono che questo
processo continui ad accelerare fino alla totale abolizione della pena di morte
e salvare molte vite. Queste
sono le parole di una donna di 25 anni nel braccio della morte, in attesa
dell'esecuzione in Iran:
"Sono
una persona come voi, non voglio morire. Ma, proprio ora, mi sento come un
corpo senza vita, un corpo che ha dimenticato la felicità e il sorriso. Sono
terrorizzata dall'impiccagione e sono a un passo dalla morte. Io, come tutti
voi, ho paura di morire.”
Dalle
parole di chi vive nel braccio della morte si rinnova l'impegno perché la giustizia
non possa essere mai esercitata senza il rispetto della vita.
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