Conclusioni del Consiglio europeo, visti turchi e condizioni dei Tartari di Crimea
Intervista all'eurodeputato Antonio Panzeri
L’11
e il 12 Maggio, durante la seduta plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo,
tra i temi affrontati ci sono stati quelli dei visti per i cittadini turchi, e
la questione dei Tatari di Crimea. L’accordo UE-Turchia del 18 Marzo, tra i
tanti punti, stabilisce la necessità di adempire a 72 punti al fine di ottenere i visti per i cittadini
turchi. Tuttavia dalle ultime dichiarazioni del Presidente turco Recep Tayyip
Erdoğan, traspare un comportamento di sfida, fondato sulla minaccia della
sospensione dell’accordo. Allo stesso tempo, spostandosi più a nord, la
questione dei Tatari di Crimea preoccupa l’Europa. Infatti, dopo l’annessione
della Crimea, questa minoranza etnica continua a subire delle repressioni da
parte di Mosca. Il
23 Maggio il Consiglio europeo, riunitosi a Bruxelles, ha discusso tre
argomenti fondamentali: la questione migratoria, la strategia regionale dell'UE
relativa alla Siria e all'Iraq e alla minaccia rappresentata dal Da'esh, e
l’operazione nel Mediterraneo centrale. Il Consiglio ha adottato conclusioni
sulla strategia regionale dell'UE relativa alla Siria e all'Iraq e alla
minaccia rappresentata dal Da'esh in cui definisce le sue priorità nel lavoro
per instaurare durevolmente la pace, la stabilità e la sicurezza in Siria, in
Iraq e nella regione nel suo complesso. L'UE appoggia attivamente un processo
che porti a una transizione politica credibile e inclusiva in Siria,
nell'ambito del gruppo internazionale di sostegno alla Siria e a sostegno
dell'inviato speciale delle Nazioni Unite de Mistura. I ministri degli esteri
si sono poi soffermati sull'attuazione della dichiarazione UE-Turchia del marzo
2016 e hanno sottolineato il loro impegno a affrontare collettivamente la sfida
della migrazione. Infine, Il Consiglio ha convenuto di prorogare il mandato
dell'operazione di un anno e di aggiungere due compiti aggiuntivi: la
formazione della guardia costiera e della marina libiche e il contributo
all'attuazione dell'embargo delle Nazioni Unite sulle armi in alto mare al
largo delle coste libiche. Il 2 giugno a Bruxelles, l’eurodeputato Antonio Panzeri, impegnato attivamente
sulla questione turca e dei Tatari di Crimea ha risposto a delle domande sugli
argomenti sopra citati. L'obiettivo era quello di capire le politiche
principali dell’Unione europea, e le strategie messe in atto per far fronte
alle nuove sfide.
Per
quanto riguarda le conclusioni del Consiglio di giorno 23 Maggio, si è deciso
di incrementare l’operazione Sophia prolungando di un anno l’operazione
EUNAVFOR MED, e quindi adesso le navi europee, in seguito alla richiesta del
governo legittimo libico, possono entrare in acque libiche e possono addestrare
la loro guardia costiera. La mia domanda è: secondo lei questa misura
rallenterà i flussi?
Non
credo, non penso. Semmai avremmo qualche attenzione in più, ma non penso che il
flusso possa essere fermato, perché non ci sono le condizioni territoriali e
politiche. In Libia, aldilà del riconoscimento fatto internazionalmente, di
fatto c’è un lavoro lungo che deve essere fatto: c’è un alto livello di
instabilità. Non siamo nelle stesse condizioni della Turchia.
Nelle
conclusioni si parlava dell’incremento dell’accordo con la Turchia, il ché
significa continuare a mantenere il lato est chiuso. Adesso c’è anche
l’implementazione di questa missione nel Mediterraneo centrale. Secondo lei,
pian piano, l’Europa si va chiudendo?
Che
ci sia un processo di chiusura è dimostrato dall’atteggiamento che diversi
paesi e diversi governi hanno. Abbiamo discusso nelle recenti settimane dei
muri e dei fili spianti e questo è il segno del tempo che stiamo vivendo. Sono
convinto che però la questione della migrazione va giocata su più tasti e non
solo sull’idea della difesa della frontiere esterne. Non
ho una visione positiva dell’accordo turco, perché ha prodotto sicuramente un
rallentamento dei flussi, tuttavia come vengono trattati i migranti nessuno lo
sa, nessuno gestisce la cosa. C’è il problema che diamo soldi ad un regime che
si sta materializzando in una forma di dispotismo, quindi ho molte
preoccupazioni: serve ben altro per affrontare la questione.
Il
leader dell’opposizione siriana è stato presente alla recente riunione dell’AFET,
e ha detto che l’Europa deve sempre più impegni al livello politico. Ma è anche
vero che l’Europa ha investito e continua a investire ingenti somme verso la
Siria, 3 miliardi, 751 miliardi per le emergenze in Africa, 6 miliardi alla
Turchia, partecipazione alla coalizione internazionale contro l’ISIL. Qual è la
chiave di lettura? Fino a quando l’Europa continuerà a versare queste ingenti
somme? Somme che potrebbero essere investite altrove.
Il
problema delle risorse, in realtà non è un problema se avessimo un protagonismo
politico. Per esempio nella questione siriana dovremmo avere un ruolo attivo
che accompagni e permetta la transizione. C’è la necessità che la messa a
disposizione delle risorse finanziarie sia accompagnata da una iniziativa politica,
e che non siano delle quote a fondo perduto.
È
quello che si vede un po’ nel Mediterraneo centrale, perché in una recente
dichiarazione congiunta tra Federica Mogherini e il Segretario generale della
NATO si è parlato di una NATO pronta ad intervenire nel caso in cui il governo
libico lo chiedesse. Alla fine si affronta il problema sempre sotto l’aspetto
della difesa, e non sviluppando un programma di collaborazione economica e
politica con i paesi di origine dei migranti o con la Libia stessa. Secondo lei
l’Europa vuole avere un approccio difensivo?
C’è
questa possibilità. Io ho una mia oggettiva posizione sul far intervenire la
NATO, perché la NATO ha un'altra vocazione, e in ogni caso l’UE non è
sovrapponibile alla NATO. Io continuo a ribadire che serve avere una politica
comune sulla migrazione in modo da affrontare i diversi problemi. Ne elenco
solo alcuni: difesa delle frontiere esterne, un ragionevole sviluppo della
politica di vicinato, la necessità di trovare un equilibrio tra competizione e
cooperazione. Parlo degli accordi sul libero scambio, in modo che possano
beneficiarne non soltanto i paesi africani ma anche la popolazione. Noi siamo
davanti un immigrazione politica, proveniente dalla Siria, ma anche di una
migrazione economica. Perché fuggono? Perché non ci sono piani di sviluppo
adeguati e nello stesso tempo c’è un’oligarchia in questi paesi e c’è una
ricaduta negativa sulle popolazioni. Suona come una bestemmia come così in poco
tempo siamo riusciti a fare il tre più tre, e cioè sei miliardi alla Turchia e
non siamo in grado di mettere in campo una politica migratoria per i paesi
africani.
Secondo
lei questo dipende dalla negligenza europea, o dalle oligarchie presenti in
molti paesi africani? Motivo per cui alla fine la popolazione non beneficia
degli accordi, che hanno un buon fine ma oggettivamente poi non raggiungono gli
obiettivi…
Dobbiamo
cambiare approccio, dobbiamo rivisitare (anche se scade nel 2020) l’accordo di
Cotonou, e dobbiamo fare in modo che l’Europa pigi di più sul tasto della
cooperazione perché quella è la via sulla quale è possibile ingaggiare una
nuova battaglia, in modo che le popolazioni possano ricevere dei benefici
attraverso una politica di sviluppo nel loro paese: cosa che per ora non
avviene per la presenza di queste oligarchie.
A
luglio ci sarà il Summit della NATO a Varsavia, dove i maggiori argomenti
saranno il rapporto con la Russia, l’approccio in Afghanistan, la Crimea,
l’Ucraina. Tutti i paesi stanno cercando di incrementare le loro spese nella
difesa (il 2% del PIL), perché lo fanno con la NATO? Perché invece non
destinano tale somma per sviluppare una solida politica migratoria?
Serve
una coesione e serve una capacità di osservare l’evoluzione geopolitica del
mondo, è più probabile destinare dei fondi alla NATO perché ha delle azioni che
sono ben coordinate e l’UE fatica perché ci sono 28 diplomazie diverse: è il
problema maggiore dell’armonizzazione delle politiche.
Anche
il fatto che in Romania due settimane fa è stata inaugurata la nuova base
antiballistica. La Russia ha interpretato questo atto come minaccia. Invece la
NATO sostiene che la ragione della nuova base sia la politica offensiva russa.
E quindi c’è questo cerchio che non si chiude mai…
Facendo
la tara, aldilà degli errori e degli atti che l’UE ha condannato, se porti la
NATO a pochi chilometri dalla Russia è normale che questa si fa sentire. È indispensabile
avere un approccio più equilibrato, e ricordare che l’Europa è cosa diversa
dalla NATO. La NATO è difesa, ha una vocazione militare.
Lei
non pensa che attualmente la NATO si trovi costretta ad adottare determinate
politiche ad est, per esempio in Romania, Polonia…adesso è stato anche firmato
il protocollo per l’ingresso del Montenegro. Non pensa che la NATO lo fa perché
questi nuovi paesi vedono l’Alleanza come una protezione, e quindi per
rispettare il trattato di Washington la NATO deve agire, quando in teoria non
trae profitto dall’aumento delle sue spese militari.
Io
non vedo alcuna costrizione. Vedo il fatto che alcuni paesi che si sono
liberati dalla presenza sovietica o quelli che si trovano nella zona balcanica
vedono la NATO come un ombrello che garantisce la migliore difesa. Abbiamo
alcuni paesi che si sentono più americani che europei, e questa non è una cosa
buona.
Per
quanto riguarda i VISA per Turchi… è stato presentato il Rapporto della
Commissione sui progressi fatti dalla Turchia. “Solamente” 7 punti rimangono
inadempiti e per due di questi serve più tempo; tuttavia la Commissione sembra
soddisfatta dal lavoro che la Turchia sta facendo per i migranti. Allo stesso tempo
la Commissione esorta il Parlamento ad approvare la proposta del 4 maggio e
cioè di trasferire la Turchia nella lista dei paesi che non necessitano il
visto. Sembra, dai discorsi, ci sia da parte della Commissione l’intenzione di
cedere ai ricatti di Erdoğan. Quali sono i possibili scenari? Se il Parlamento
approva? Se il Parlamento non dovesse approvare?
Che
ci sia l’auspicio di chiudere il cerchio da parte della Commissione questo può
essere, ma non ci sono oggettivamente le condizioni. Non ultimo il fatto che Erdoğan
ha dimissionato il primo ministro e ne sta mettendo uno che corrisponde
pienamente alle sue volontà. Inoltre sta mettendo sotto processo 138
parlamentari, togliendo l’immunità, ma sono in realtà dei parlamentari curdi e
il tentativo è di giungere un parlamento che gli voti a maggioranza qualificata
la modifica della costituzione in senso presidenziale. C’è un involuzione di
quel paese non un evoluzione, ci sono dossier aperti che non trovano soluzione,
e uno fra tutti quello della libertà di stampa, la libertà di espressione, c’è
la vicenda cipriota. Non possiamo concederci di considerare normale il fatto
che un paese che potrebbe essere candidato all’Unione europea occupa un altro
paese che fa parte dell’Unione europea. Io credo che il Parlamento europeo
difficilmente riuscirà a rispondere positivamente a questa sollecitazione
finché le cose non cambieranno. Se
dovesse accettare, nelle condizioni attuali, vorrà dire che il Parlamento
europeo dimostrerà sostanzialmente di essere incapace di avere una visione
autonoma, e incoerente nelle proprie vocazioni per quanto riguarda democrazia,
libertà e diritti umani. Se non dovesse accettare, come mi auguro, questo mette
in fibrillazione i rapporti tra Unione europea e Turchia (già Erdoğan ha
ventilato la possibilità di far saltare l’accordo sull’immigrazione), però
bisognerà gestire le conseguenze.
L’Europa
seconda lei per adesso non è sotto “ricatto” della Turchia, l’Europa ha paura
che salti l’accordo di marzo. Questo è il motivo per cui vuole spingere per
dare un messaggio…
Il
gioco forte lo sta facendo la Germania ma per ragioni che sono ben note,
tuttavia al di la del fatto che possa essere un Europa sotto il ricatto di Erdoğan
la mia opinione non cambia: bisogna rifiutare i ricatti. Allo stato attuale
credo ci sia una maggioranza con questa posizione, ma dal dibattito che si è
aperto a me pare che ci sia una condivisione di questa idea. Secondo il mio
punto di vista no, Erdoğan non è d’accordo nel soddisfare tutti i punti, non è
nelle sue intenzioni. Ma del resto se si è firmato un accordo, questo deve
valere per noi come deve valere per loro. L’accordo prevede che ci sia una
liberalizzazione dei visti, e io non sono ostile ad una ipotesi del genere ma
ci sono tutte le clausole che devono essere soddisfatte.
Ma
secondo lei Erdoğan ha interesse a far entrare la Turchia nell’Unione europea?
Ma
io penso di no, e lo dico anche se sono uno che ha sempre visto in modo
favorevole l’entrata della Turchia in Europa. Credo che ci siano stati errori
anche da parte dell’Unione europea, all’ora, nel non spingere sull’acceleratore.
Perché se ci ricordiamo all’ora il dibattito era aperto, soprattutto su 2
valutazioni: il fatto di portare dentro un paese con ottanta milioni di
abitanti che quindi sarebbe stato il paese più popolato d’Europa, e di
conseguenza dal punto di vista economico e commerciale. Nei mercati c’è un dare
e un avere: ottanta milioni di persone che entrano su un mercato ma soprattutto
che si aprono al mercato. Ma in quel momento la Turchia ha scelto un'altra
strada che è stata quella di diventare il leader regionale, e tentò nel 2011 al
fronte della primavera araba di essere il riferimento dei paesi che si stavano
liberando dai vecchi despoti, e anche all’ora il dilemma era se seguire il
modello di Riyadh o il modello di Ankara. Ma anche lì la Turchia è sembrata
incapace di essere un punto di riferimento. Quella involuzione ha portato a
chiudersi e a spingere una vecchia idea di costruire un nuovo sultanato, ed è
la strada che sta conseguendo che va in direzione opposta all’entrata nell’UE.
Per
quanto riguarda i Tatari di Crimea. La risoluzione del Parlamento europeo, approvata
il 12 Maggio mostra una Russia sempre più offensiva, dichiarando illegittimo
l’organo esecutivo della Crimea, il Mejlis. Molti gruppi politici dichiarano la
loro preoccupazione, tranne il gruppo di estrema destra che parla di
strumentalizzazione, poiché anche l’Ucraina, prima dell’annessione della Crimea
non riconosceva la legittimità del Mejlis. C’è veramente una
strumentalizzazione? L’UE può fare qualcosa? In che misura si può fare
pressione su Putin?
Sono
due le questioni che devono essere sottolineate. Che ci sia una
strumentalizzazione complessiva di taluni in chiave anti-russa questo è nelle
diverse cose che si fanno. Che ci sia un problema dei Tatari bisogna anche
riconoscerlo. Esisteva prima, esiste tutt’ora. Il problema è che dovrebbe essere
affrontato con un certo realismo. Ammesso e concesso che l’Europa e gli Stati
Uniti non hanno mai riconosciuto l’annessione della Crimea, tuttavia il dato
fondamentale è che il 90% della popolazione della Crimea si sente pienamente
russa. E i tatari sono una minoranza, e sono quella minoranza che non accetta
l’idea di una Crimea russa. Allora
bisogna agire concretamente nell’ambito di questo limbo, perché da una parte
non c’è riconoscimento dall’altra però non c’è nessuna iniziativa che possa
riportare la Crimea sotto l’egida dell’Ucraina, allora bisognerà governare al
meglio le cose. Pur in presenza di una situazione che non riconosciamo che però
nei fatti è così la minoranza tartara possa trovare una migliore convivenza: su
questo dobbiamo spingere.
Non
è che l’Ucraina stia cercando di fare una politica strumentalizzata? Non è che
non vede l’ora che succeda qualcosa per attirare l’attenzione internazionale in
funzione anti-russa?
Io
credo che la situazione in Ucraina sia molto confusa e abbiamo delle classi
dirigenti che si sono dimostrate non capaci nei vari processi di transizione.
Penso che siano stati fatti gravissimi errori anche da parte dell’UE, nel
momento in cui ha trattato la vicenda con un furore dettato da ragionamenti di
pancia più che di testa. L’accordo di associazione va bene, ma l’idea che
accanto l’accordo di associazione sia aperto un dibattito sulle possibilità primo
dell’integrazione europea, secondo della presenza NATO, tutto questo non ha
fatto altro che esacerbare gli animi e creare le condizioni per creare l’alibi
ai russi. Quei paesi che sono al confine tra l’UE e la Russia devono essere dei
paesi neutrali, autonomi, che non siano tirati né verso Bruxelles né verso
Mosca.
Dei
nuovi paesi cuscinetto?
Dei
nuovi paesi cuscinetto, perché è l’unica garanzia sostanzialmente per mantenere
l’integrità territoriale di questi paesi e fare in modo che ci sia un processo
di convivenza.
Ma
nelle risoluzione c’era anche scritto una specie di sollecitazione per le
istituzioni europee competenti a far pressioni su Putin. In che modo?
So
che ogni caso è storia a sé. Ma in ogni caso c’è uno scenario che esiste,
bisogna trovare la quadra, guardando con un certo realismo e cercare di
spingere i russi a riconoscere i diritti umani e la questione delle minoranze.
Per salvaguardarli.
Si
ma l’Unione europea va incontro a Putin e gli dice “guardi cerchi di
riconoscere i diritti dei Tatari, sono più di trecento anni che vengono
spostati, sono stati perseguitati…”. Quando si fa una discussione e si deve trattare
bisognerebbe essere ad armi pari. Io mi immagino una discussione a due, chiusi
in una stanza, in cui l’Unione europea ammonisce Putin, e alla fine Putin
risponde: NO! E l’Unione europea che fa? Esce dalla porta e dice “scusi il
disturbo, arrivederci”?
Putin
può rispondere di no, perché può dire che anche l’UE non riconosce l’annessione
della Crimea. Bisogna guardare con realismo sia la vicenda Crimea-Ucraina, sia il
fronte siriano e io immagino una discussione che allacci tutti questi problemi
qui e si trovi un equilibrio, e nel trovare un equilibrio ci saranno delle
condizioni per chiedere a Mosca di fare alcune cose.
E
quali garanzie diamo a Mosca? Mosca vorrà qualcosa in cambio.
Si,
tra le righe mi è parso di far comprendere cosa [ride]…
Ho
capito a cosa si riferisce, ma l’Unione europea non accetterà mai di
riconoscere l’annessione della Crimea per garantire i diritti dei Tatari…
Non
posso dire cosa l’UE deve riconoscere, ma dico solo che serve un processo e
questo processo deve essere realizzato guardando con realismo le cose che sono
avvenute e che stanno avvenendo. Rivendicare che la Crimea ritorni all’Ucraina,
che è cosa giusta, ed essendo allo stesso tempo nell’impotenza totale perché
questo si realizzi significa che c’è qualche elemento che deve farci riflettere
su come, nelle condizioni attuali, tentiamo di ristabilire un rapporto con
Mosca più equilibrato. E in questo rapporto più equilibrato possiamo avanzare
delle richieste che devono essere trovare una risposta positiva.
Maria Elena Argano