Nasce "Radio bruxelles"
La nuova rubrica dell'Istituto Mediterraneo Studi Internazionali per raccontare l'Europa
Da oggi nasce una nuova rubrica, pensata per approfondire i temi, giuridici e politici, della partecipazione italiana all'Unione Europea e, in generale, sull'intera politica istituzionale e normativa dell'Unione stessa. La rubrica sarà curata dall'Ufficio di Segreteria Generale dell'IMESI, coordinato da Marco Caradonna e con la collaborazione di Denise Catalano e Davide Spinnato. Ovviamente, in ragione anche della mia competenza universitaria in materia, non mancheranno i miei contributi. Svilupperemo un percorso di approfondimento sulla nascita dell'Unione Europea, sul suo sviluppo storico, sul suo attuale impianto costituzionale, sul processo di integrazione e adeguamento della normativa interna a quella dell'Unione ed esamineremo anche le più importanti pronunce sia della Corte di Giustizia Europea sia della CEDU. Sostanzialmente, svilupperemo in maniera graduale un piccolo corso on line di Diritto dell'Unione Europea, sicuri di fare cosa gradita a tutti gli studenti che, per diverse ragioni, non hanno avuto la possibilità durante il proprio corso di studi di approfondire queste tematiche ovvero per coloro i quali li stanno già approfondendo. In questo primo numero, inizieremo a definire cosa è l'Unione Europea sul piano del diritto internazionale. Si rimane molto colpiti dal leggere un passo dell'intervento di Winston Churchill, Primo Ministro inglese, nel famoso “discorso alla gioventù accademica” tenuto all’Università di Zurigo nel 1946. Churchill formulo le conclusioni che aveva tratto dalla lezione della storia: “Esiste un rimedio che... in pochi anni renderebbe tutta l’Europa... libera e ... felice. Esso consiste nella ricostruzione della famiglia dei popoli europei, o in quanto più di essa
riusciamo a ricostruire, e nel dotarla di una struttura che le permetta di vivere in pace, in sicurezza ed in libertà. Dobbiamo costruire una sorta di Stati Uniti d’Europa. ” Già nel 1941, Spinelli e Rossi, con il Manifesto di Ventotene, avevano vagheggiato l'idea della nascita, su base federale, di un unico grande Stato chiamato Europa. Ecco un passo significativo del Manifesto: “ il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani. Il crollo della maggior parte degli stati del continente sotto il rullo compressore tedesco ha già accomunato la sorte dei popoli europei, che o tutti insieme soggiaceranno al dominio hitleriano, o tutti insieme entreranno, con la caduta di questo in una crisi rivoluzionaria in cui non si troveranno irrigiditi e distinti in solide strutture statali. Gli spiriti sono giù ora molto meglio disposti che in passato ad una riorganizzazione federale dell'Europa “. L'idea, quindi, dei padri fondatori di quella che oggi chiamiamo Unione Europea, ( Paul- Henri Spaak, Robert Schuman, Jean Monnet, Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer solo per citarne alcuni), era la nascità di una entità sovrastatale che fosse in grado di prevenire la tragedia oggetto delle due guerre mondiali, attraverso la creazione di un'area politica e economica comune, da fare gestire appunto ad una entità sovrastatale, cui cedere parte delle proprie sovranità statuali. E non a caso, infatti, la prima istituzione europea a vedere la luce fu, col Trattato di Parigi del 1951, la CECA, nata dopo la famosa dichiarazione Schuman, rilasciata dall'allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman il 9 maggio 1950, e che proponeva la creazione di una Comunità europea del carbone e dell'acciaio, i cui membri ( paesi fondatori: Francia, Germania occidentale, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo ) avrebbero messo in comune le produzioni di carbone e acciaio. Cinque anni dopo, nel 1957, col Trattato di Roma nascerà una seconda comunità, a carattere più propriamente economico, finalizzata al cd. Mercato comune. Dalla nascita della CECA e della CEE fino alla nascita dell 'Unione Europea, nell'attuale sua formulazione venuta fuori dal Trattato di Lisbona del 2009, progressi e fallimenti si sono susseguiti ed alternati, tra cui certamente, prima di Lisbona, il fallimento dell'adozione di una Costituzione Europea, per l'avversione olandese e francese. Tuttavia, appare assolutamente innegabile il passo avanti, verso una maggiore unione politica, fatto con il Trattato di Lisbona; se è vero che la mancata adozione di una vera e propria Costituzione è stata certamente una occasione mancata, tuttavia l'assetto istituzionale dell'Unione ne è uscito rafforzato: in primo luogo, col superamento dei cd. tre pilastri ( mercato comune, politica estera, giustizia e diritti) si è accentuato il metodo comunitario a scapito di quello intergovernativo, in tal modo rafforzando i poteri degli organi dell'Unione stessa a scapito dei particolarismi dei singoli Stati membri; in secondo luogo, il rafforzamento dei poteri del Parlamento Europeo, sempre più protagonista della politica legislativa comunitaria, ha ulteriormente accentuato il carattere “particolare” dell'U.E. nell'ambito delle organizzazioni internazionali. Uno dei temi, infatti, che ha sempre impegnato gli studiosi di diritto internazionale è quello della definizione dell'Unione Europea. Proprio per le sue peculiarità, essa è certamente una organizzazione internazionale, soggetta alle norme internazionali consuetudinarie e pattizie, avente una propria soggettività giuridica, distinta da quella degli Stati membri; è una organizzazione, tuttavia, sui generis, un ibrido tra uno Stato federale ( l'Unione è l'unica organizzazione internazionale ad avere un organismo legislativo ad elezione diretta, il Parlamento Europeo; inoltre, i suoi atti normativi, tra cui i regolamenti, hanno efficacia piena e diretta in tutti gli Stati, essendo norme cd. self-executing ) e una Confederazione, poiché ciascuno Stato membro dell'Unione è e rimane uno Stato sovrano. La defnizione, allora più calzante sembrerebbe essere quella di “ente sovranazionale”, cioè un ente dotato non di meri poteri di coordinamento degli Stati membri, come avviene ad esempio nella Lega Araba o nell'Unione Africana, ma un ente capace di superare, in quei settori a potestà esclusiva o concorrente, la sovranità del singolo Stato componente. Fermo restando, ovviamente, che lo Stato membro cede “volontariamente” all'Unione parte della propria sovranità; il che comporta che, in ogni momento, lo Stato membro può recedere dal patto “comunitario” e tornare ad avere una sovranità piena. Ed ecco allora riproporsi, anche per l'Unione Europea, il problema del fondamento giuridico dell'obbligatorietà delle proprie norme; che, per il nostro Paese, risiede nell'art. 11 della Costituzione e che, se vogliamo, somiglia molto a quel principio di autolimitazione sviluppato da Hegel e da Jellinek. Su questo tema, tanto difficile quanto affascinante, avremo modo di tornare più avanti.
Dott. Avv. Rosario Fiore
Segretario Generale IMESI
Docente di Diritto Internazionale – UNIPA
con la collaborazione di Marco Caradonna
Coordinatore Uffcio Segreteria Generale IMESI
Ottime osservazioni!
RispondiEliminaUn termine che trovo appropriato nel tentativo di definire l'UE è regionalismo. Se consideriamo il processo comunitario da un punto di vista prettamente economico, il tentativo dei singoli Stati europei di creare un collegamento diretto con l'economia globale piuttosto che contare sui propri capitali nazionali (su cui vanno progressivamente perdendo il controllo), il divario tra Nord e Sud europeo è ancora ampio.
Consiglio questo articolo per un ulteriore approfondimento: http://www.foreignaffairs.com/articles/52645/john-newhouse/europes-rising-regionalism